Creato da: paperino61to il 15/11/2008
commenti a caldo ...anche a freddo..

Area personale

 

Tag

 

Archivio messaggi

 
 << Febbraio 2019 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28      
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

I miei Blog Amici

Citazioni nei Blog Amici: 88
 

Ultime visite al Blog

elyravQuartoProvvisoriocassetta2nomadi50paperino61tog1b9rbx1dglDoNnA.Sjezabel777zoppeangelogianbrainOPIUMPASSIONEilcorrierediromakipli
 

Ultimi commenti

Sei in montagna? :)
Inviato da: elyrav
il 19/06/2024 alle 08:58
 
Bella musica sempre da te :) buongiorno
Inviato da: elyrav
il 17/06/2024 alle 11:24
 
Cara Giovanna se a scuola ci fosse stata una materia come...
Inviato da: paperino61to
il 16/06/2024 alle 11:46
 
Ciaooo Roberta bentornata, buona domenica baci
Inviato da: paperino61to
il 16/06/2024 alle 11:44
 
Mai conosciute, ma la tua amicizia è sempre un ...
Inviato da: g1b9
il 15/06/2024 alle 17:13
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

Messaggi del 06/02/2019

 

La ghiacciaia di Porta Pila( Primo capitolo)

Post n°2432 pubblicato il 06 Febbraio 2019 da paperino61to

 

 

E’ un’estate calda quella del 1935, Torino è coperta da una cappa di calura mai vista prima. Il caldo ha dato le sue avvisaglie già a metà marzo, e come non bastasse è da un paio di mesi che non piove.  Uno dei lavori più invidiati  in questo periodo è quello dei lavoratori che operano nelle ghiacciaie di Porta Pila. Queste persone che con attrezzi appositi frantumano il ghiaccio per poi portarlo a destinazione; il ghiaccio rimasto serve per conservare la carne macellata o il pesce.

“Berto, vame a piè un po’ d’giassa, muoviti perché il carico per il ristorante deve partire tra poco”.

“Va bene signor Luigi, corro”.

Il ragazzino prende il secchiello con gli attrezzi e correndo sui marciapiedi deserti di  Porta Pila, si infila nella rampa che porta sotto terra.  Una fiaccola illumina il lungo corridoio che sembra non finire mai. Berto è convinto che, a forza di scendere, arriverà al centro della terra, come il protagonista del  libro che ha appena letto.

Posa il secchiello, tira fuori gli attrezzi ma deve fare presto perché il signor Luigi lo sta aspettando. Dopo un paio di minuti si ferma sentendo uno scalpiccio arrivare alle sue orecchie. Domanda chi c’è, ma non ottiene risposta. Posa gli attrezzi e torna indietro, alla svolta del corridoio vede un corpo inanime a terra in una pozza di sangue che si allarga sempre più.  Accanto al corpo una piccozza.

“Ma dove si è cacciato quel disgraziato?” urla Luigi e chiudendo il negozio si avvia verso la ghiacciaia imprecando.

“Berto, dannato moccioso andova ses?”.

Lo vede immobile, tremante, si avvicina e gli domanda cosa è successo. Berto col il dito indica il corpo. In quel momento Luigi capisce perché il ragazzo non è tornato nel negozio; lo scuote con violenza e il ragazzino sembra destarsi.

“Berto, fila a ciamè la madama, te capi? Vai, sto io qui”.

“Quando avete finito di scattare le fotografie portatelo pure all’obitorio”.

“Si commissario, abbiamo quasi finito”.

“Allora signor Luigi, è stato il ragazzino ad aver trovato il corpo?” .

“Si, l’avevo mandato a prendere del ghiaccio, poi quando ho visto che tardava sono andato a cercarlo ed ho visto che…”.

“Come si chiama il vostro bocia?”.

“Berto. E’un bravo ragazzo, ligio al dovere e senza grilli per la testa. E’ il nipote di mia moglie…poverino, immagino come si senta dopo aver visto quel…quel cadavere, a le mort vero?”.

“Si, la piccozza gli ha rotto la testa. Quell’uomo non  l’avete mai visto da queste parti ?”.

“No, mai visto, comunque non siamo solo noi a servirsi della ghiacciaia”.

“Immagino, potrebbe farmi una lista? Appena è pronta me la faccia portare dal suo Berto”.

“A va bin commissario”.

“Andiamo Tirdi, hai preso i documenti della vittima?”.

“Presi. Si chiamava Ettore Beraudo è nato in un paesino vicino a Ivrea. Come professione risulta essere insegnante di latino”.

“Vediamo se ha parenti, era sposato?”.

“Sulla carta è scritto celibe”.

“In questura diramiamo i suoi dati ai colleghi del Piemonte, poi chiamo il nostro amico alla Stampa e  chiederò di pubblicare la foto che gli manderemo. Se siamo fortunati qualcosa salterà fuori”.

La piazza si sta animando degli ambulanti e dei clienti ma per ora la notizia del morto non è ancora trapelata. Passo da Romolo, una nostra vecchia conoscenza, che sovente ci ha dato informazioni sulla malavita locale.

“Ciao Romolo”.

“Berardi, che piacere rivederla, immagino che abbia bisogno del mio aiuto! Sempre a sua disposizione”.

Chiedo se conosceva un certo Ettore Beraudo, ma la risposta è negativa.

“Se mi concede del tempo posso chiedere in giro. Che ha combinato per avere la sua attenzione?”.

“Lo hanno ammazzato”.

“Poveretto, pace all’anima sua, chiederò in giro oggi stesso e se vengo a conoscenza di qualcosa l’avviso”.

Arrivati in questura chiamo il redattore della Stampa dicendo che in capo a breve riceverà la fotografia della vittima con il suo nome e cognome”.

“Commissario, ha chiamato Maria, chiede se può passare da lei al negozio”.

“Le è successo qualcosa Perino?”.

“Non credo, non ha detto nulla, ma sa come sono le donne…”.

Sbrigo alcune vecchie pratiche e poi mi incammino verso il negozio dove lavora Maria. Evidentemente sul mio volto traspare una nota di preoccupazione.

“Marco tranquillo non è successo nulla, è che non avevo voglia di tornare a casa da sola, ti va di fermarci da qualche parte a cenare?”.

La tensione sparisce e sorrido rispondendo di si,  così ci avviamo verso via Po’ per cenare al locale di Mamma Gina.

Maria mi racconta della sua giornata, chiedendomi se la mia è stata noiosa come la sua. Rispondo che a parte un morto a Porta Pila, il resto della giornata è trascorsa nel compilare scartoffie.

“Pover’uomo, sapete chi è?”.

“Si, aveva i documenti addosso, è un professore ma non sappiamo se ha famiglia”.

“Come si chiama? Magari è un cliente”.

Dico il nome della vittima e vedo Maria sbiancare.

“Lo conosci?”.

“Abbiamo una cliente con quel cognome, si chiama…si ricordo, Alice…Alice Beraudo”.

“Sai anche dove abita?”.

“Mi sembra in via Stampatori, ma non ne sono certa”.

Arrivati da Mamma Gina chiedo di fare una telefonata.

“Sei tu Tirdi? Ascolta, vai in via Stampatori e guarda se trovi una certa Alice Beraudo…non so dirti il numero civico, tu guarda sui campanelli o prova a domandare ai negozi intorno. Avvisami se la trovi, io sono da Mamma Gina con Maria”.

Come sempre Mamma Gina è insuperabile come cuoca, peccato non possa gustarmi la cena per intero poichè una chiamata mi avvisa di recarmi in via Stampatori. Hanno trovato la signora Alice Beraudo.

“Scusami Maria ma devo andare, rimani qui o vuoi che ti faccia accompagnare da un’agente a casa?”.

“Se a Gina va bene rimarrei qui, mi fa piacere scambiare due parole con lei”.

“Figliola, puoi rimanere quanto vuoi, tanto lo vedi anche tu, degli uomini non ci si può fidare, chi scappa davanti a questo fritto misto a lè ne tant a post”.

Maria ride di gusto mentre io concordo con Mamma Gina.

Dopo una ventina di minuti arrivo in via Stampatori e trovo Tirdi ad aspettarmi.

“Venga commissario, la signora abita al numero dieci. Non sono salito, mi sono limitato a chiamarla”.

“Hai fatto bene, è stata Maria a darmi il suo indirizzo è una loro cliente…potrebbe anche non c’entrare nulla con la vittima”.

La signora abita al secondo piano, la porta  ci viene aperta direttamente da lei. E’sui trent’anni, capelli biondi e un viso tondo. Domanda chi siamo.

“Ci spiace disturbarla signora Beraudo, siamo della polizia. Io sono il commissario Berardi e lui è l’agente Tirdi. Conosce un certo Ettore Beraudo?”.

La signora risponde che è suo fratello :” Non capisco…gli è successo qualcosa?”.

“Possiamo entrare?”.

L’appartamento è modesto, c’è una stanza sola, una brandina vicino alla finestra; il bagno è sul ballatoio all’interno del cortile.

“Purtroppo è stato ucciso”.

La donna viene sorretta da Tirdi perché ha avuto un mancamento. La fa sedere, lei si prende il volto tra le mani ed inizia a piangere, poi domanda come sia successo.

“E’ stato ritrovato nella ghiacciaia di Porta  Pila. L’ha trovato un ragazzino e in tasca aveva il documento di identità”.

“Immagino non sappiate chi sia l’assassino!” le parole le escono a fatica.

“Non ancora, stiamo cercando testimoni. Lei sa dirci qualcosa? Chi frequentava suo fratello? I suoi amici, il lavoro…”.

“Lavorava come  insegnante al liceo Belli, in fondo a corso Cairoli. Solo l’altra sera è venuto a trovarmi, mi ha detto di non preoccuparmi perchè sarebbe stato via per qualche giorno”.

“Quindi non abitava con lei? Sa dove andava?”.

“Ettore abita in via Vanchiglia al numero dieci. No, non mi ha detto nulla, anche se io ho chiesto un paio di volte la destinazione”.

“Aveva amici? Una fidanzata?”.

“No, fidanzata direi di no, me lo avrebbe detto. Era piuttosto solitario, di amici…una volta mi aveva nominato un certo Claudio…Claudio Ferrini”.

“Sa dove possiamo trovarlo?”.

“Non ho idea, io l’ho visto una volta sola, erano venuti da me, ma sto parlando di un anno fa, se non di più”.

“Che impressione le ha fatto questo Ferrini?”.

La donna volta lo sguardo verso la finestra, poi risponde che non gli piaceva : “A pelle mi era antipatico, mi dava l’impressione che si sentisse superiore non solo a me ma anche a Ettore”.

“Capisco. Purtroppo devo chiederle domani di recarsi alla sala mortuaria delle Molinette per il riconoscimento, l’accompagneranno i miei agenti”.

“Se devo…ora mi scusi commissario ma non c’è la faccio a rispondere alle sue domande…mi comprenda. Io ed Ettore eravamo molto legati, anche se non sempre mi diceva tutto”.

“La capisco signora, nessun problema, quando si sentirà meglio venga in questura e domandi di me…se le viene in mente qualcos’altro che ritiene utile per l’indagine me le comunichi”.

L’indomani mattina all’interno della Stampa compare la fotografia della vittima con accanto il suo nome. Verso metà mattinata ricevo una telefonata anonima :” Al suo posto lascerei perdere commissario, mi dia retta…lasci perdere l’indagine!”.

“Chi è lei? Pronto…pronto…”

Ha messo giù, Tirdi mi chiede chi era: rispondo che solo l’assassino ha interesse a fare cessare l’indagine.

“Credo che sia qualcuno che conoscesse Beraudo…magari quel Ferrini, a proposito sappiamo nulla di quel tizio?”.

“Ho mandato un’agente all’anagrafe”.

Solo dopo pranzo  l’agente torna con l’informazione che aspettiamo.

“Buongiorno commissario, sono riuscito a trovare l’indirizzo di Claudio Ferrini e della sua occupazione. E’ segretario della sezione fascista di via Alfieri e abita in Corso Parigi numero due ed è sposato con Clelia Arbuni”.

“La figlia di Adorno Arbuni?”.

“Esatto, il padre è un noto notaio in questa città, fervente fascista della prima ora”.

“Buon lavoro agente. Tirdi andiamo a parlare con questo Ferrini”.

Via Alfieri non dista tanto dalla questura, ma la calura che copre la città sembra raddoppiare i metri che percorriamo.

Entriamo nella sede fascista con l’immancabile saluto romano. Un paio di miliziani mi guardano torvo. Sanno benissimo chi sono.

“Cerchiamo Claudio Ferrini”.

“Perché lo cerca commissario Berardi?” domanda un miliziano.

Lo guardo e non rispondo : “ Si trova qui in sede?”.

Il miliziano risponde con la domanda precedente: perché lo sto cercando.

“A te non deve interessare, dimmi solo se è qui presente…occhio a non mentire altrimenti ti arresto per complicità in un delitto…e sai che non scherzo!”.

“Ufficio in fondo al corridoio, prima porta a destra”.

Una voce ci intima di entrare, è Ferrini. L’uomo è seduto alla scrivania, i capelli impomatati, un viso lungo e magro, un paio di occhiali, il labbro leporino.

“Chi è lei e cosa vuole? Si qualifichi!”.

“Sono il commissario Berardi…devo rivolgerle delle domande in merito…” non mi fa finire la frase.

“Io non ho nulla da rispondere qualsiasi sia l’argomento, ora esca dal mio ufficio, ho del lavoro da sbrigare”.

“Come vuole, nessun problema…una cosa sola, domani mattina alle nove in questura…altrimenti sarò costretto a richiedere un mandato di arresto”.

“Come si permette? Ma chi crede di essere? Lei non ha la minima idea di chi sono io!”.

“Claudio Ferrini amico di Ettore Beraudo”.

A sentire quel cognome il segretario si risiede e cambia tono di voce, meno arrogante e più accondiscendente.

“Va bene commissario, ricominciamo da capo. I miei nervi sono piuttosto scossi in questo periodo, cosa vuol sapere di Ettore, in quale guaio si è cacciato?”.

“E’ morto, lo hanno assassinato alla ghiacciaia di Porta Pila”.

Il segretario mi guarda sorpreso da questa affermazione, se mente è da attore consumato.

“Come morto? Ettore?...ma ne è sicuro?”.

“Si, la sorella ha confermato l’identità, ucciso da una piccozza lasciata sul posto. Purtroppo non ci sono impronte sul manico”.

“ Ghiacciaia? E cosa faceva li?”.

“E’ quello che stiamo cercando di capire, lei sa chi frequentava? Aveva una fidanzata? Parlava mai del suo lavoro?”.

“Una donna lo escludo, non perché fosse come quegli essere lascivi e disgustosi, ma perché era un solitario, amava starsene per conto suo. Ci vedevamo un paio di volte a settimana, si parlava soprattutto di come il nostro beneamato Duce spazzerà via gli oppositori e di come farà grande il nostro paese. E per quanto riguarda il suo lavoro so che era insegnante al liceo Belli, ma non me ne parlava quasi mai, anzi era piuttosto reticente in merito”.

( Continua)

 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963