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Messaggi del 08/04/2021

 

Il dipinto rubato (1 capitolo)

Post n°2736 pubblicato il 08 Aprile 2021 da paperino61to

 

Per fortuna il tempo è tornato al bello dopo vari giorni di pioggia in questo agosto del 1932.

“Commissario, ma dobbiamo andare a piedi?” mi domanda Perino.

“Tranquillo, non ti faccio faticare, anche perché vedo che sei piuttosto claudicante oggi. Che ti è successo?”.

“Una partita a pallone ieri pomeriggio con gli amici, una botta sulla caviglia e ora sono zoppo”.

“Potevi dirmelo, facevo venire un altro tuo collega”.

“In questura siamo rimasti in pochi, mi sarebbe dispiaciuto non poter dare il mio aiuto”.

“Dai saliamo sul tram che ci porta fino alla Gran Madre poi dallo stradone Genova prendiamo la funicolare che arriva al Monte dei Cappuccini”.

Perino mi guarda perplesso, non osa domandare cosa andiamo a fare dai frati.

“Ieri sera mi ha chiamato padre Enzo, è un vecchio amico di famiglia, lo conosco da quando ero bambino. Ha chiesto il mio aiuto, senza specificarne il motivo, ma solamente di andare da lui al più presto”.

“Sa che non ci sono mai stato in quel convento e tantomeno al Club Alpino Italiano?”.

“Male, Perino, è molto bello da visitare, dovresti portare la tua fidanzata”.

“Commissario, già devo piangere cinese quando voglio portarla all’ippodromo, figuriamoci se le dico di andare a trovare dei frati”.

Il convento si trova a circa duecento metri dalla riva destra del Po, dopo il ponte Vittorio Emanuele I, e dalla collina torinese domina lo stradone sottostante di Corso Genova.

La funicolare ci lascia sulla sommità della collina, coprendo una distanza di circa trecento trenta metri. Perino con quella caviglia malandata non riuscirebbe a farla.

Entriamo dal retro, l’ufficio di padre Enzo si trova in quel lato del convento.

“Benvenuto Marco e grazie per essere stato così celere”.

“Buongiorno padre Enzo, è mio dovere quando una persona chiede aiuto, questo è il mio collega Perino”.

Il buon frate non è cambiato molto nel corso degli anni, a parte il colore dei capelli, da scuri a grigi cenere. La sua stazza è la stessa di quando era giovane: grande e grosso con la stessa folta barba.

“Prego entrate pure. Accomodatevi, prima di dirvi perché vi ho chiamato devo portarvi a vedere una cosa nella cappella del convento”.

Il silenzio è d’obbligo in quel luogo ma noto subito che sul lato sinistro dell’altare vi è un drappo scuro con un cartello appoggiato con scritto: “Non toccare pericolante!”.

Padre Enzo si avvicina ad esso e noi con lui, poi guardandosi in giro e vedendo che non vi erano fedeli toglie il drappo.

“Cosa vedi Marco?”.

La domanda mi pare un tantino stupida, c’è solo una cornice vuota.

“Vedo che è vuota, ma non capisco…”.

“So che ti potrà sembrare stupida questa domanda, ma non lo è affatto. Qui fino all’altro ieri vi era un dipinto del Coccia detto il Moncalvo”.

“Se lei dice che c’era, ne deduco che ora sia stato rubato”.

“Per questo ti ho fatto venire caro Marco. Il dipinto su tela ad olio raffigura San Martino, ed è originale, quindi puoi capire il valore non solo religioso ma anche in denaro”.

“Quanti frati ci sono in questo convento? Potrei avere l’elenco?”.

“Venite nel mio ufficio, l’ho già preparato”.

L’elenco contiene i nomi di cinque persone oltre padre Enzo: i frati Adelmo, Pietro, Carlo, Angelo e Eusebio.

“I suoi confratelli sono presenti ora nel convento? Vorrei interrogarli”.

“Devi avere pazienza Marco, sono in preghiera”.

“Aspetterò! La notte viene chiuso il portone principale del convento?”.

“Si! Tutte le notti, prima di coricarmi faccio un giro di ispezione. Ora seguimi, andiamo verso quella porticina che dà sull’esterno del convento.”.

La serratura della porticina segnala delle graffiature, come se qualcuno avesse tentato di sforzarla per poi entrare a rubare il quadro.

Noto che Perino osserva in silenzio.

“Probabilmente il ladro è entrato da qui” esclama padre Enzo.

Non rispondo, guardo intorno a me e vedo un piccolo sentiero che porta sulla strada, chiunque avrebbe potuto fermare l’auto e proseguire a piedi senza esser visto.

“Ci sono case qui intorno?”.

“Un paio di ville, ma uno dei proprietari è via da parecchio tempo, l’altra villa è occupata dalla contessa De Tosiatti. Aggiungo inoltre che la povera donna è su una carrozzella”.

“Quindi lei è da escludere, però magari ha sentito, nel silenzio della notte dei rumori. Dove si trova la villa? Vado adesso mentre i frati sono ancora in preghiera.

Padre Enzo fatemi un favore, chiamate un taxi per il mio collega, e tu Perino te ne torni a casa, non accetto lamentele in merito, ti prendi un paio di giorni di riposo fino a quando la caviglia non si è rimessa a posto”.

La villa della contessa è a dieci minuti a piedi dal convento. Suono il campanello e viene ad aprirmi un domestico. Presento a lui il biglietto da visita chiedendo di poter parlare con la signora.

“Vado a domandare se la contessa può ricevervi, aspettate un attimo”.

Difficilmente gli occupanti della villa potrebbero aver visto qualcuno, tutt’al più il rumore di un auto che si ferma, questo sicuramente non gli sarebbe sfuggito.

“Buongiorno commissario a cosa devo la sua visita? Prego si accomodi, vuole qualcosa da bere?”.

Rispondo di no: “Mi spiace disturbarla signora contessa…”.

“Lasci perdere il titolo nobiliare, la prego mi chiami Letizia”.

“Come vuole…Letizia, sono qui per porle alcune domande sia a lei che alla sua servitù”.

“Caterina, fammi il favore chiama qui la servitù, il commissario ha bisogno di parlare anche con loro”.

La contessa è una donna decisa, con il volto aggraziato, i capelli color corvino e il naso alla francesina. L’età, probabilmente sulla sessantina, forse qualcosa in meno.

“Ecco commissario, questo è il personale che abita e lavora nella villa, ponga pure le domande, sono curiosa di sapere il motivo della sua presenza”.

(Continua)

 
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