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Omicidi con ballo ( 10 capitolo)

Post n°3147 pubblicato il 29 Gennaio 2024 da paperino61to

 

Riassunto: Il commissario indaga su tre omicidi, tutte le tre vittime sono collegate a una sala da ballo, il Royal. Quale filo lega i tre omicidi non lo sa, di uno solo è sicuro, Buso che lavorava per il titolare del Royal: Bersezio, sicuramente ricattava qualcuno, e secondo Berardi quella persona è l’assassino delle prime vittime. La Valenti cliente del Royal viene salvata dal commissario dagli uomini di Bersezio e nascosta nella parte nord della città. Viene anche a scoprire che l’ossessione di Cialli per una ragazza che lavorava al Royal ha un nome e un volto: Iside Pavan, la quale conferma che è scappata non per le avance dell’uomo né tantomeno per quelle di Bersezio, ma perché ha visto e sentito cose che non avrebbe dovuto. La sala da ballo è una copertura, la vera attività è lo spaccio di droga per i clienti con prostituzione di alcune ragazze che vi lavorano e che Cialli voleva entrare nel giro, ma c’era qualcuno che glielo impediva, la descrizione dell’uomo è sempre la stessa: alto, occhiali scuri e con un anello a triangolo al dito, molto sfuggente. Descrizione confermata anche dalla Valenti. Il questore impedisce la chiusura del locale e dell’arresto di Bersezio, vuole prove concrete e non parole di testimoni. Berardi ipotizza che l’assassino stia prendendo il possesso del Royal, né ha la conferma quando viene a sapere che il Cialli è stato aggredito ed è in fin di vita, portato alle Molinette il commissario parla con il dottore, costui le lascia un foglietto dove la vittima ha mormorato qualche parola tutte monche e incomprensibili. Per il commissario Cialli cercava di far capire chi è che lo ha assalito. Berardi intuisce che la prossima vittima possa essere Bersezio e decide di andargli a parlare.

 

Al Royal veniamo accolti da un tirapiedi di Bersezio il quale dice che non c’è e non sa dove si trovi.

 

“Non trovi strano Tirdi che un lacchè non sappia dove sia il suo capo?”.

“Molto strano commissario, sarei tentato di dire che sta mentendo”.

“Direi di sì, ha lo sguardo di uno che mente, vero che menti?”.

L’uomo non risponde.

“Fa nulla, peggio per il tuo capo, fagli sapere che sarebbe meglio per lui venire in questura che in obitorio…sappiamo che la prossima vittima sarà lui!”.

Torniamo in ufficio e chiedo se ci sono notizie di Cialli, purtroppo l’unica notizia è che è peggiorato.

“Dammi quel dannato biglietto, vediamo se riusciamo a decifrarlo”.

Ma nulla da fare sono frasi senza senso, decido di andare alle Molinette e parlare con l’infermiera che ha trascritto quello che ha tentato di dire Cialli.

Dalla chiacchierata non emerge nulla, l’infermiera è sicura di quello che ha scritto.

“Commissario, ho provato a domandargli all’uomo cosa volesse dire, ma in quelle condizioni sapevo che era difficile avere delle risposte. Tra l’altro parlava con un rantolo flebile, mi spiace di non esservi stato di aiuto”.

“La ringrazio, sta a noi capire cosa volesse dire, se ci sono novità mi chiami, arrivederci”.

Di fronte all’ospedale c’è un bar e decidiamo di prenderci un caffè. Al suo interno ci sono alcuni operai che parlano ad alta voce, stanno lavorando all’isolato a fianco del locale.

“Chiel a lè propri un gran teston, non capisce che travajè parej a va nen bin”.

“Hai ragione, ma chiel a lè il cap!”.

Un pugno in faccia non mi avrebbe fatto l’effetto di questo dialogo tra i due operai. Chiedo di fare una telefonata: “Perino, hai sottomano il foglio con quelle parole dette da Cialli?”.

“Si commissario gliele leggo”.

“Grazie, Perino, ora ho capito in parte il messaggio, ci vediamo in ufficio”.

“Signori permettetemi di pagarvi un giro di vino…barista pago io e grazie per l’aiuto, andiamo Tirdi, si torna in ufficio”.

Il collega mi domanda cosa sia successo e gli rispondo che manca solo un tassello per capire chi è l’assassino.

“Guardate il foglio lu…è stat…l…ma…ma…pa…apo…apo”.

“Si ma cosa voleva dire Cialli?”.

“Le indicazioni me le hanno date quegli operai traducendo il loro dialogo in italiano significava: Lui è proprio un gran testone, non capisce che lavorare così non va bene, e l’altro gli risponde che aveva ragione, ma che lui è il capo”.

I colleghi ascoltano con attenzione e guardano le frasi sconnesse e arrivano anche loro alla conclusione.

“Quindi se L vorrebbe dire Lui…E’ Stat potrebbe essere sicuramente E’ Stato, poi di nuovo Lui, il ma forse dico forse è un imprecazione come maledetto e Apo potrebbe voler dire Capo”.

“Esatto ragazzi la frase sensata è: Lui è stato lui, maledetto maledetto…pa…capo, capo!”.

“Manca il pa…cosa voleva dire?”.

“Credo volesse dire il nome del capo, perché a questo punto non è Bersezio di sicuro, anzi come sappiamo è sparito dal Royal”.

“Stavo pensando commissario, noi abbiamo una descrizione di questo misterioso capo…”.

“Vai avanti Perino”.

“E se fosse qualcuno che Cialli conosce? Se ha tentato di fare il nome è perché sa chi è”.

“Giusto, bravo Perino. Io torno dalla Valenti e sento se sa qualcosa sugli amici del Cialli”.

Sento che siamo a un punto di svolta dell’indagine, se trovassimo Bersezio completiamo l’opera, vederlo in galera sarebbe un sollievo per questa città.

Come l’altra volta mi faccio lasciare a debita distanza da dove si trova la Valenti.

Da Mammoliti vengo a sapere che tutto è tranquillo e se può, con il mio permesso  vorrebbe recarsi un attimo a casa a prendere un ricambio di abiti.

“Vai pure tranquillo ci sono io adesso, fai solo attenzione se qualcuno dovesse seguirti”.

La Valenti è terribilmente depressa, Adelma mi dice che sorride solo se ci sono io: “Commissario io non sono più giovane, ma so quando una donna è innamorata”.

Un rossore compare sul mio volto ma non dico nulla.

“Come stai Edna?”.

“Ora che ti vedo Marco sto bene…e tu?”.

“Bene grazie, ho delle novità da darti ed ho bisogno del tuo aiuto”.

“Vieni andiamo a fare due passi, sono stufa di stare chiusa qua dentro, ti prego non dirmi di no”.

Usciamo dalla casa e ci rechiamo nei campi vicini, il granoturco sta crescendo a vista d’occhio.

“Cosa vuoi sapere di Cialli?”.

“Chi frequentava, e non parlo né di te né di altre donne, ma di uomini, l’assassino è uno che conosce”.

“Se affermi questo è perché ne sei sicuro, aveva pochi amici, come ti ho detto è una persona odiosa, possessiva, arrogante”.

“Sai i nomi di queste persone?”.

“Uno è senz’altro Bersezio, poi c’è il Rigardi anche se è da un po’ che non lo vedo al Royal, di uno so solo il nome Salvatore e…poi non so…no scusa Marco diverse volte l’ho visto con un uomo…ma non so il nome, so solo che era alto, con un anello al dito e che portava sempre occhiali scuri. Credi che sia lui il capo?”.

Torna sempre la stessa descrizione di questa persona.

 “Non lo so, trovassi il Bersezio glielo chiederei ma è sparito dalla circolazione, i miei uomini non l’hanno più visto rientrare al Royal”.

“So che aveva una casa dalle parti di Bardonecchia, ma non so dirti dove di preciso”.

“E’ un indizio Edna, meglio che niente, di quel misterioso uomo non sai nulla di più?”.

“No! Cialli me lo ha presentato una volta sola e mi è bastato, mi è sembrato viscido, non so se a te capita mai questa sensazione quando vedi una persona che non conosci”.

“Capisco cosa vuoi dire, adesso rientriamo meglio non abusare della fortuna di non essere visti”.

“D’accordo, come vuoi”.

 “Tirdi chiama Perino e partiamo per Bardonecchia”.

Lui mi guarda perplesso, spiego che la Valenti sa che il titolare del Royal ha una casa da quelle parti ma non conosce l’indirizzo preciso.

La giornata è bella, i miei pensieri vanno sempre e solo in una direzione, e hanno un nome e cognome, ma il mio cuore sente la lontananza di Maria.

“Eccoci arrivati commissario”.

“Bene ragazzi andiamo al bar e poi inizieremo le indagini, occhi aperti se vedete Bersezio”.

“Crede che si farà vedere in giro?” domanda Perino.

“Non lo so, se l’assassino sa che ha una casa nei paraggi non si farà vedere di sicuro”.

Entriamo nel bar e ci accomodiamo. Pago il conto e domando se hanno visto l’uomo che cerchiamo, fornisco la descrizione di colui che cerchiamo. Ma la risposta è negativa.

“Vi sono altri bar nella via e vedo anche dei negozi, dividiamoci così facciamo prima e poi ci ritroviamo alla macchina”.

Purtroppo non ci sono indizi, sembra scomparso del tutto.

“Non è che la Valenti si sia sbagliata?”.

“Rimane solo un’ultima carta, proviamo dai nostri colleghi, la loro sede è vicina alla stazione dei treni”.

Spiego a loro chi siamo e cosa cerchiamo, il collega ci fa accomodare nella sala di aspetto, dopo diversi minuti arriva e consegna un foglio con un indirizzo.

“E’ fortunato commissario, la persona che cerca, l’anno scorso ha preso una multa per eccesso di velocità qui da noi”.

“E’ lontano questo posto?”.

“No! È la frazione successiva, in auto è a dieci minuti…prendete…”.

Mi domanda se abbiamo bisogno di aiuto, rispondo di no e ringrazio dell’aiuto.

“Ci siamo ragazzi, forza andiamo a parlare con il nostro amico”.

La casa è a ridosso di un sentiero, l’unico che permette l’accesso. Mettiamo la macchina di traverso di modo che dalla casa non possano scappare.

Arrivati sullo spiazzo noto l’auto, in casa c’è qualcuno. Tirdi vede la tendina della finestra muoversi.

Suono il campanello nessuno risponde.

“Bersezio…lo so che sei in casa forza apri, è nel tuo interesse”.

Sento un debole vociare, evidentemente sta tenendo un concilio con i suoi uomini, poi la porta si apre.

Entriamo, l’uomo è in compagnia di alcuni suoi tirapiedi.

“Finalmente ci si rivede”.

L’uomo mi guarda ma non dice nulla.

“Credo mmagini il motivo del perché siamo qui vero? Quindi senza girarci attorno, hai due scelte: o fai il nome dell’assassino oppure ti dovrai guardare le spalle di continuo da lui…a te la scelta”.

“D’accordo commissario parlerò, ma mi creda non conosco il suo nome, né tantomeno c’entro nulla con gli omicidi, quell’uomo è un pazzo!”.

“Tu non sei uno stinco di santo…”.

“Vero, ma non ho mai ucciso nessuno, minacciato, picchiato questo sì, ma mai ucciso”.

“Ragazzi vedete che sant’uomo è il nostro Bersezio? Che dite, gli facciamo avere un encomio al merito?”.

“Allora questo nome?”.

“In cambio voglio…”.

Non gli lascio il tempo per finire la frase: “Tu non detti condizioni anzi ti posso dare un consiglio, prendi la tua roba e i tuoi uomini e sparite da Torino! Sai bene che sbatterti dentro e buttare via la chiave. So tutto del traffico di droga e prostituzione che gira al Royal”.

Bersezio china il capo anche i suoi uomini sanno bene cosa rischiano se metto in atto la minaccia di arrestarli.

“Ho la sua parola commissario? Se racconto quello che so di lui sparisco dalla città e dalla sua vista. Quel pazzo appena sa che ho parlato mi ucciderà ovunque mi trovi se non lo fermate prima…”.

“Non succederà hai la mia parola, lo arresteremo prima”.

Torniamo in questura con la stessa descrizione del misterioso uomo: alto, occhiali scuri, capelli neri e anello al dito, ma del suo nome niente, Bersezio non sa come si chiama: “Me lo aveva presentato Cialli ma non nominandolo mai. E’ deciso a mettere le mani sul Royal, lo avevo capito da tempo, e una parte della mia banda obbediva ai suoi ordini suoi”.

Torniamo in commissario con una sola certezza, Bersezio non c’entra nulla con gli omicidi.

“Che si fa ora commissario?”.

Non faccio in tempo a rispondere a Perino che squilla il telefono, è il dottore che ha in cura il Cialli:” Commissario, purtroppo devo dirle che Cialli è morto, mi spiace, so che volevate interrogarlo”.

“Cialli è morto ragazzi!”.

Tirdi e Perino non dicono nulla ma la smorfia che compare sui loro volti la dice lunga.

“Era l’unico testimone che poteva fare il nome dell’assassino”.

“Riprovo ad andare dalle ragazze, tu con Perino vai dalla Pavan e vedi se riesci a farle ricordare qualcosa che possa aiutarci a descrivere quel maledetto”.

Ma sia Paola, Adele e la Pavan (quest’ultima la sento telefonicamente) non sanno dirci altro tranne la solita descrizione che abbiamo già da tempo.

“Alto, occhiali scuri, capelli neri, occhiali scuri e anello”.

Quel dannato anello mi perseguita, sono sicuro di averlo già visto ma non riesco a ricordare dove né quando e soprattutto chi lo indossava.

Vado a pranzo da mamma Gina è parecchio tempo che non la vedo. Il suo sorriso è una panacea per il mio umore. Parlando dice una cosa interessante: “A volte capita non ricordarsi ma quando meno te lo aspetti il ricordo arriva, fidati di me Marco”.

Per tornare in questura decido di passare per via Accademia delle Scienze, voglio andare a trovare il mio amico che lavora nel museo, so che hanno aperto un nuova sala con dei reperti arrivati da poco, ne annunciava a gran titolo la Stampa e per curiosità voglio vederla, vedo dei turisti in lontananza che comprano i biglietti per il museo Egizio.

“Egizio…egizio, Egitto il paese, il Nilo, le piramidi i grandi tempi e…” parlo a gran voce.

“Sicuramente sarà incuriosito dalla forma strana del mio anello, sono stato in Egitto l’anno scorso, terra meravigliosa glielo assicuro. Allora cosa posso fare per voi?”.

Questa frase mi torna in mente, è come un lampo. Mi metto a correre, le poche persone davanti all’ingresso del museo mi guardano come se fossi un matto.

Finalmente ho dato un volto e un nome all’assassino che cerchiamo.

(Continua)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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