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Omicidi con ballo ( 11 capitolo)

Post n°3148 pubblicato il 31 Gennaio 2024 da paperino61to

Riassunto: Un nuovo colpo di scena entra nell’indagine del commissario Berardi in merito ai tre omicidi legati alla sala da ballo Royal. Cialli, direttore della Schiapparelli e coinvolto nelle indagini muore a causa delle percosse subite. Berardi intuisce subito che questa morte è da attribuire al misterioso assassino e ipotizza che la prossima vittima sia Bersezio proprietario della sala e spacciatore di droga all’interno della stessa. Cialli seppur moribondo farfuglia qualche parola che l’infermiera trascrive, parole mozzicate e senza senso a prima vista. Per una fortuita combinazione il commissario riesce a dare un senso a quello che voleva dire la vittima, stava indicando il nome del misterioso assassino. Berardi si reca al Royal ma Bersezio è sparito con alcuni suoi uomini, dalla Valenti viene a sapere che ha una casa a Bardonecchia ma non sa l’indirizzo esatto. Da costui viene sapere ben poco, la descrizione è sempre la stessa: un uomo alto, con occhiali scuri e anello a forma di triangolo. Bersezio ammette di non c’entrare nulla con i delitti ed è scappato perché quell’uomo lo vuole morto per impossessarsi del Royal e del giro di droga:”I miei uomini lo stanno seguendo”. Il caso vuole che il commissario si trovi a passare davanti al Museo Egizio, e come un lampo le torna in mente una frase sentita tempo prima, in quell’attimo capisce chi è l’assassino.

 

 

Entro come una furia in ufficio, Tirdi che è seduto al suo posto ha un sobbalzo.

“Commissario che succede?”.

 “Tirdi, so chi è l’assassino! Ed ho in mente un piano per incastrarlo, chiama il dottore che aveva in cura Cialli e fammi parlare con lui”.

“Pronto dottore, sono Berardi avrei bisogno del suo aiuto…so chi è stato ad uccidere Cialli…ecco il mio piano”.

Convoco Perino e assieme a Tirdi spiego il mio piano.

“Tirdi, consegna questa lettera al guardiano della Schiapparelli e poi vieni subito all’ospedale con un paio dei nostri, io e Perino saremo già là”.

“Il guardiano la consegnerà al nostro amico?”.

“Si! E’ indirizzata a lui”.

Perino domanda: “Se sentisse odore di trappola e non venisse?

“E’ un rischio che dobbiamo correre, per ora abbiamo solo indizi ma prove certe nulla”.

Usciamo tutte e tre, con noi all’ospedale chiamo anche altri due agenti, il nostro amico è molto pericoloso e non credo che si arrenderà facilmente.

“Venga commissario, vi ho dato la stanza in fondo al corridoio, è al pianterreno, ecco come vede nel letto ho fatto mettere un manichino che era nello scantinato. Dall’ingresso della porta non si noterà di certo perché è coperto con le lenzuola e anche la luce è debole”.

“Perfetto dottore, la ringrazio, ora dobbiamo trovare un posto dove nasconderci”.

“Ho pensato anche a questo, la stanza di fronte, è uno sgabuzzino non molto grande, ma due persone possono starci tranquillamente”.

“Bene ragazzi, io e Perino ci nascondiamo lì mentre voi state all’inizio del corridoio, una cosa soltanto dottore, all’accoglienza avete avvisato qualcuno di quello che potrà succedere?”.

“No! Avevo timore di parlare senza la sua approvazione”.

“Ha fatto bene, allora Allais tu vai all’accoglienza e quando il nostro amico arriva e chiederà di Cialli gli dirai dove trovarlo, poi seguilo senza farti notare. Tu Gardini fatti dare un camice da dipendente delle pulizie”.

 

In situazioni come queste il tempo non passa mai anzi sembra proprio non passare mai, si deve solo aspettare e avere pazienza che il pesce abbocchi all’amo.

Perino sussurra qualcosa e rispondo che quello che sulla c’è scritto lettera deve venire per forza, è in gioco la sua libertà.

“Zitto! Sento dei passi…”.

I passi sembrano felpati, si fermano davanti allo stanzino, poi sentiamo aprire la porta della stanza innanzi a noi.

“Forza usciamo, cerchiamo di non fare rumore”.

Vedo arrivare gli altri due colleghi, Allais mi fa segno che è il nostro amico.

La porta della stanza è socchiusa, l’uomo si avvicina lentamente al letto, si guarda intorno nella penombra, la luce è debole. Vedo che dalla giacca tira fuori qualcosa, sembra un coltello. Colpisce un paio di volte e poi scopre le lenzuola, rimane di sasso nel vedere un manichino, non fa in tempo ad uscire che decido di intervenire.

 “Buona sera signor Patris ci si rivede, è da tempo che io e miei colleghi la stavamo cercando, ammetto che è stato molto furbo e abile nel nascondersi tutto questo tempo”.

L’uomo non dice nulla ma posso immaginare cosa passa per il suo cervello.

Alza le spalle e con nonchalance dice: “Di cosa sono accusato? Non c’è una legge che vieta di colpire un manichino o sbaglio?”.

“Sicuramente, ma se lei uccide delle persone la cosa cambia non trova…e lasci cadere il coltello, è un ordine!”.

Si guarda intorno e con mossa fulminea mi scaglia contro il coltello poi fa un salto sfondando la finestra.

“Maledizione…non facciamolo fuggire!”.

Esco pure io dalla finestra e mi precipito dietro a Patris, appena girato l’angolo del cortile sento una voce a me famigliare.

“Ti conviene stare fermo, altrimenti sparo, alza le mani!”.

“Ciao Tirdi sei arrivato in tempo”.

“Commissario è da un pezzo che ero qui, ho preferito nascondermi qui”.

“Forza mettetegli le manette e portatelo in questura…aspettate un attimo. Patris volevi sapere di cosa sei accusato? Di essere l’assassino di Castello, costui se denunciava a noi il giro di droga e in parte di prostituzione sarebbe crollato il castello di cui  volevi impossessarti, di Cialli, che cercava di soffiarti il posto da capo e della signorina Gisolo che ha avuto la sfortuna di fotografarti e soprattutto di avere capito chi aveva ucciso Castello nonché di Buso che ha tentato di ricattarti e credeva di farla franca illudendosi di salvare la pelle, inoltre del tentato sequestro a scopo di omicidio nei confronti della signora Valenti convinto che fosse una testimone scomoda ma che in realtà non sapeva nulla, oltre che essere il principale artefice dello spaccio di droga e prostituzione al Royal”.

Un paio di giorni dopo sono alla stazione di Porta Susa, un treno è in partenza.

“Allora Edna te ne vai per davvero?”.

“Si Marco, scusi commissario volevo dire, più niente mi lega qui. Vado a Losanna da un’amica, voglio cambiare vita anche se avrei preferito cambiarla con lei”.

Non dico nulla ma dentro di me una parte sa che piangerà.

“Non posso fare nulla per trattenerti?”.

“Potresti, ma so che una parte di te ama un’altra donna, e quando una persona ne ama un’altra la battaglia è impari”.

“Ti aiuto con la valigia, la prendo io”.

“Grazie!”.

L’accompagna allo scompartimento, mentre il capo stazione segnala la partenza del treno.

“Ti conviene scendere commissario” poi mi sfiora le labbra mentre una lacrima le solca il viso.

“Ciao Edna se avessi bisogno ci sarò sempre ricordalo”.

“Grazie Marco, lo terrò presente mi ha salvato la vita ed è una cosa che ricorderò per sempre. Addio mio bel commissario”.

Il treno parte e io torno indietro verso l’uscita, la giornata è bella anche se il mio umore non è granché, mi dirigo verso piazza Carlo Felice ma cambio idea e torno in stazione e vado alla biglietteria.

“Per favore mi dia un biglietto per Savona”.

Lo prendo, e mi reco al binario immaginando la faccia che farà Maria nel vedermi arrivare e non solo lei ma anche di Ettore e di sua moglie.

 

                                            Fine

 

                                                      

 

 Un grazie di cuore a voi che avete seguito l'ennesima indagine del commissario. Un'indagine alquanto complicato con vari personaggi e con un dilemma interiore per il protagonista, un dilemma di cuore. I nomi come sempre sono di pura fantasia, l'unica cosa vera è la fabbrica Schiapparelli fondata nel 1823  impegnata nella lavorazione e vendita di prodotti chimici e farmaceutici ad uso medico e industriale, nel 1935 trasferitasi a Torino in borgo Vanchiglia e nel 1998 chiude definitavemente i battenti. Ps. mio papà ha lavorato per un certo periodo in quella fabbrica nel dopo guerra. 

 

 
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