Quattro firme al referendum contro l'austerità,
quattro "si" per cambiare la politica economica europea
"Austero" era parola con una connotazione positiva, solo qualche tempo fa!
Evocava qualcosa di solenne, rigoroso, forse anche severo, ma pur sempre un modello di riferimento autorevole.
L'austerità che conosciamo ora, invece, quella che per paura o rassegnazione abbiamo sin qui tollerato, quella che, per intenderci, vestiva il loden di Mario Monti, è il peggio che ci potesse toccare in sorte.
"D'austerità si muore", scrive Realfonzo del comitato promotore dei quesiti referendari ed economista keynesiano.
Ma questa non è più solo una visione di parte.
Ormai la maggioranza degli economisti denuncia gli effetti recessivi delle politiche di austerità, cioè di quelle manovre fatte per aumentare il volume delle entrate fiscali, così da superare quello della spesa pubblica.
Il grande momento della teoria dell'"austerità espansiva", osannata dai più, tranne dai keynesiani, è oggi quasi completamente dimenticato.
"Austerità espansiva", uno stratagemma letterario, un ossimoro politico, avrebbe dovuto produrre dei consolidamenti fiscali da un eccesso di prelievo rispetto all'entità della spesa pubblica globale.
Questo esubero avrebbe, quindi, dovuto determinare aspettative positive nei consumatori e nelle imprese, una specie di cappello a cilindro da cui far uscire riduzione dei tassi di interesse, diminuzione della pressione fiscale, prossima e futura, aumento della domanda attuale di beni e servizi e, infine, buoni ultimi, la crescita economica e l'aumento dell'occupazione!
Ops! Qualcosa non ha però funzionato!
Forse la magia delle parole "austerità espansiva" non vale quanto la più banale "abracadabra" o la più sofisticata "simsalabim"!
Anche l'"ortossia economica" riconosce oggi ampiamente che l'obbiettivo è stato mancato.
Persino l'Fmi, con uno studio realizzato nel 2012, afferma che i tagli della spesa pubblica riducono purtroppo anche il Pil e tutto quello che a cascata ne discende.
L'Fmi quantifica questo sgorbio economico: "Un taglio di 10 mld abbatte il Pil di 18 mld di euro".
E poi è la realtà stessa dell'economia a occuparsi di smentire che l'austerità possa produrre crescita.
A confronto Eurozona e Usa.
Nell'Eurozona vigono norme restrittive che bloccano la tendenza automatica alla crescita della spesa pubblica che, in periodo di crisi, aumenta per gli ammortizzatori sociali.
Negli Usa si è attuata, invece, una politica aggressiva, il Recovery Act, che, con un prestito di 800 mld di dollari, ha messo in moto politiche industriali, interventi infrastrutturali e persino, "udite, udite!", sostegno al reddito.
Risultati
Il Pil dell'Euro zona inferiore al Pil 2007 di 1,5 punti percentuali
Il Pil Usa maggiore del Pil 2007 di 8 punti percentuali
È il risultato di un'"austerità ottusa", come è stata chiamata, un'austerità che non produce crescita, ma recessione, una zappa sui piedi, insomma, e produce anche lo stesso dolore!
Anche la ricerca esasperata di flessibilità crescente nel lavoro, per aumentare l'occupazione, è un'altra ottusità patologica conclamata.
In Italia, dopo la Fornero, (quella che per portarsi avanti con la riforma del lavoro ha cominciato a lacrimare per prima lei stessa, che tanto, poi, di nostro noi ci abbiamo dovuto mettere il sangue!), è venuto Poletti con il suo decreto.
Grazie al fatto di provenire dal partito comunista italiano, ha fatto di tutto per farcelo dimenticare, come da manuale del perfetto comunista trasmigrante, ha agito ancora sui contratti a termine, convinto com'è che una liberalizzazione aggiuntiva di questo tipo contrattuale possa decisamente ridurre la disoccupazione.
E qui è d'obbligo l'emoticon dello stupore 😲!
Così, allegramente, il ministro Poletti, ministro del lavoro "suo", interviene eliminando l'obbligo di indicazione della causale economico- organizzativa, aumentando il numero delle proroghe possibili, trasformando il vincolo ad assumere in sanzioni amministrative.
Queste politiche di deregolamentazione e riduzione della protezione del lavoro non hanno prodotto, però, i risultati vantati.
Ocse: in Italia l'indicatore di protezione del lavoro è passato da 3,82 del 1990 a 2,26 del 2013, con una riduzione del 40%.
Eurostat: l'elaborazione intrecciata dei dati indica che l'aumento della flessibilità del lavoro è legata solo all'aumento della disoccupazione.
Questa strada, quindi, non è più percorribile!
Ecco perché dobbiamo convintamente votare e far votare "sì" contro l'austerità.
Con i quattro quesiti annulliamo quel sovrappiù di rigore che noi italiani, della lega degli autolesionisti anonimi, abbiamo aggiunto alle già severissime norme europee con la legge attuativa n.243 del 2012.
Il referendum non può abrogare i trattati internazionali, né il pareggio di bilancio inserito in Costituzione.
Il "popolo sovrano" può però fissare uno stop alle tecnocrazie europee e far così riconoscere il loro fallimento sulla strada dell'austerità, prima che affiorino le emergenze sociali e frani il progetto europeo cui siamo geneticamente profondamente legati...in modo, questo sì, austero!
gabriella zamboni