Creato da SonBobbo il 04/12/2010

Raccontando...

cose vere mai raccontate...

 

 

E ci si lamenta ancora.

Post n°32 pubblicato il 13 Aprile 2013 da gioiablak

Voglio far sapere che il post che ho messo qui, girava su Fb, mi è sembrato normale condividerlo anche qui , chi non sa che si condivide tutto  su Fb io non ci posso fare niente, lo sapete che su FB si usa  condividere  moglie , amante, la ragazza , persino le mutande....vi scandalizzate che ho copia incollato un post PRESO SU FB?e che male c'è, anzi, era argomento per discuterne e ognuno dire la sua.

Ma siccome a noi va tutto bene e si bacchetta invece chi ha un briciolo di iniziativa  non c'è da meravigliarsi se tutto funziona  nel marciume.

Anna

 
 
 

Lamentarsi.. lamentarsi a oltranza

Post n°31 pubblicato il 09 Aprile 2013 da gioiablak
 

...e poi leggo che le persone "smettono di cercare un lavoro"...e mi sale un veleno di cristo. Sì, la difficoltà è enorme, i tempi sono terribili, sei demoralizzato, hai 12 lauree e non vuoi raccogliere pomodori...tutto vero...eppure, le tue lotte sociali hanno contribuito alla situazione disastrosa in cui versiamo. Per esempio: vieni assunto in un'azienda a tempo indeterminato, perché la legge lo impone. Hai uno stipendio regolare, tredicesima, quattordicesima, assegni familiari, ferie pagate, contributi versati...e ti butti 5 mesi in malattia con la certezza di non poter essere licenziato, perché all'azienda serve una "giusta causa". Rientri una settimana e poi altri 3 mesi in malattia. (si stima che il 3% dei lavoratori usi queste tecniche e che la fabbrica FIAT di Termini Imerese abbia chiuso per queste ragioni). Le aziende, il cui unico interesse è il profitto, decidono di non volerti regalare lo stipendio e spingono per modificare le leggi. Nascono i contratti part time, contratti di collaborazione, cooperative. Tutele minori per i lavoratori e maggiori per le aziende. Intanto un rumeno fa il tuo stesso lavoro con un decimo dei tuoi diritti e del tuo stipendio, senza lamentarsi. Il rumeno fa carriera e tu te lo prendi riccamente nel  didietro lamentandoti degli immigrati. La verità è che SEI TU il danno maggiore e la causa dei tuoi stessi mali. Non difendo nessuno, accuso la mentalità di m...a nel nostro paese: fare il minimo, con il massimo del profitto...e lamentarsi...lamentarsi a oltranza...

Ditemi se questo è falso..

Buona serata a tutti ..

 

 

 
 
 

Per tutti gli amici, per te,per me,viva l'amicizia.

Post n°30 pubblicato il 19 Febbraio 2013 da annamatrigiano

 
 
 

Per non dimenticare. Articoli di Saviano.

Post n°28 pubblicato il 19 Gennaio 2013 da SonBobbo
Foto di SonBobbo

Con quel ragazzo ucciso a Napoli é morta la democrazia.

MI CHIEDO che Paese siamo diven­tati. Che Paese è quello in cui un ragazzo va a salutare la pro­pria fidan­zata prima di una par­tita a cal­cetto, scende di casa e viene mas­sacrato da una sven­tagli­ata di mitra. Che Paese è quello in cui i media con­sid­er­ano questa, tutto som­mato, una notizia che può esser data in coda alle altre, e non la notizia prin­ci­pale, da dare per prima. Una delle tante. Quel ragazzo si chia­mava Pasquale Romano: lo chia­ma­vano Lino, ma nes­suno ricorda già più il suo nome.

Come è stato pos­si­bile assue­farsi a tutto questo? Forse si pensa che se accade lì, in terre di clan, è “nor­male”? È così? La democrazia nel mez­zo­giorno ital­iano è morta il 15 otto­bre 2012, insieme a Lino Romano, e insieme a lui è stata sep­pel­lita ieri, dopo i funer­ali. Ed è morta non solo per­ché Lino è caduto inno­cente, ma per­ché per urlare che si trat­tava dell’ennesimo ragazzo inno­cente ucciso a sangue freddo e senza motivo, si è aspet­tato di capire a che famiglia apparte­nesse, chi fos­sero i suoi par­enti. Ma per­ché — mi domando — se avesse avuto un lon­tano par­ente affil­iato o coin­volto in fatti di camorra, sarebbe stato forse meno innocente?

Ma è così che vin­cono le mafie: facendo credere che nes­suno è inno­cente. Il mes­sag­gio che i clan vogliono far pas­sare è che tutto appar­tiene a loro in maniera diretta o indi­retta. Tutti fanno parte della loro log­ica, nes­suno può dirsi imma­co­lato. Tutti hanno un par­ente, un concit­tadino, un vicino di casa, tutti hanno fatto un lavoro per loro o hanno un amico che fa parte del Sis­tema. E allora mag­ari nascere a Cardito, crescere a Sec­ondigliano, andare a casa della pro­pria fidan­zata a Mar­i­anella, tutto som­mato, diventa, nella coscienza nazionale, una sorta di colpa. Il retropen­siero è: “Beh, però è nor­male che se vivi lì queste cose pos­sano accadere”.

E invece non è così, non è nat­u­rale ed è un’aberrazione ragionare in questo modo. Lino Romano era una per­sona per bene. Era un lavo­ra­tore e veniva da una famiglia per bene. La mag­gior parte delle per­sone che vivono in questi ter­ri­tori sono per­sone per bene. Per bene potrà sem­brare un’espressione super­fi­ciale, fin troppo sem­plice, ma non lo è. Per bene sig­nifica che si tratta di per­sone che lavo­rano dura­mente, che vivono con dis­ci­plina e soprat­tutto che resistono in ter­ri­tori dove è molto facile poter cedere a cor­ruzioni e ille­gal­ità. Quindi per bene, lavo­rare per il bene, è l’espressione più appro­pri­ata per queste famiglie che si cre­dono nor­mali, ma che in realtà hanno una sin­go­lare tempra.

Che Paese è quello che non ha sen­tito il bisogno di andare in massa alla fiac­co­lata per Lino Romano? E il gov­erno, per­ché non è andato ai funer­ali? Avrebbe dato un seg­nale fon­da­men­tale. In questi ter­ri­tori manca gius­tizia, istruzione, ordine pub­blico, lavoro, impresa, l’ambiente è a pezzi: tutti i min­istri avreb­bero trovato cose da dire e, soprat­tutto, avreb­bero avuto molto, moltissimo da ascoltare. Non si trat­tava di fare visita o di rice­vere i gen­i­tori di Lino Romano, si trat­tava di essere lì pre­senti per­ché in quelle terre, dalla prima grande faida che ha fatto centi­naia di morti, nulla è cam­bi­ato. Nelle piazze di spac­cio si spar­ava otto anni fa, nelle stesse piazze di spac­cio si torna a sparare ora. Clan Di Lauro con­tro “scis­sion­isti” otto anni fa, “scis­sion­isti” con­tro i “girati” alleati ai Di Lauro ora.

Quat­tro gov­erni dalla prima faida a oggi e nes­suno ha avvi­ato alcun tipo di rif­les­sione sul mer­cato delle droghe, sul nar­co­traf­fico, su come strap­parlo ai cartelli crim­i­nali. Tutti si sono sot­tratti sino a ora anche ai dibat­titi avviati in altri Paesi. L’Italia in questo è lati­tante. Al mas­simo c’è stata mil­i­ta­riz­zazione, che nulla ha risolto. Bisogna esserci, invece, su quel ter­ri­to­rio che sem­bra total­mente abban­do­nato. La crisi sta rega­lando ai cartelli crim­i­nali l’intero mez­zo­giorno ital­iano e si affac­cia sulla total­ità del paese. E non si può deman­dare tutto solo al cor­ag­gio e alla cre­ativ­ità delle asso­ci­azioni di volontari.

Ripeto: che Paese siamo diven­tati? Che Paese è un Paese che non riesce nem­meno più a esprimere indig­nazione col­let­tiva? Qualche mese fa, giugno, era suc­cesso lo stesso. A Caso­ria, un barista pulisce la strada davanti al suo bar. C’è una spara­to­ria e un proi­et­tile lo colpisce. L’intero paese scende in piazza per dire che Andrea Nollino era una brava per­sona, che non c’entrava nulla. Un intero paese di lavo­ra­tori, dis­oc­cu­pati, per­sone nor­mali, per­sone umili scende in piazza. C’era “Lib­era”, l’associazione di Don Ciotti, ma non politici, nes­suno che si assumesse la respon­s­abil­ità di dire: “Mai più”. Così come c’era “Lib­era” a fianco della famiglia Romano.

Come per Andrea Nollino, ora per Lino Romano val­gono le stesse con­sid­er­azioni. Nulla di più forte con­tro la crisi, per arginarla, esiste che ridare fidu­cia a un ter­ri­to­rio e a chi lo abita. Nulla di peg­gio può essere fatto in tempo di crisi che nutrire la sen­sazione, che diventa certezza, che tutto sia inutile o per dirla con Cor­rado Alvaro, che “vivere ones­ta­mente sia inutile”.

Mi sono trovato a scri­vere queste parole molte volte. Quando hanno ucciso Attilio Romanò, quando hanno ucciso Dario Scher­illo, quando hanno ucciso Andrea Nollino e adesso che hanno ucciso Lino Romano. Quei ter­ri­tori sono di nuovo in guerra, la faida è ries­plosa e ter­ri­bili pos­sono essere le con­seguenze. Flussi di coca, eroina, hashish si stanno riasse­s­tando e dif­fondendo come sem­pre da Scampia, ma ce ne accorg­er­emo quando i morti cad­ranno a decine, come la prima volta. È facile in Italia essere pro­fetici quando dici cose che sono sotto gli occhi di tutti ma che nes­suno (o quasi) vuole vedere.

Dalla prima faida a oggi si sono inserite le asso­ci­azioni di volon­tari­ato uniche a denun­ciare negli anni cosa stava ancora acca­dendo ma nulla di davvero nuovo è iniziato. Quindi che si inizi ad ascoltare chi in quelle zone ci lavora e ne conosce i prob­lemi. Tutti, ma pro­prio tutti, par­lano della neces­sità di ripar­tire dalla scuola; sarebbe impor­tante capire cosa è stato real­mente fatto, e con quali fondi. L’attuale sot­toseg­re­tario all’istruzione Marco Rossi Doria è stato il fonda­tore della Onlus “Maestri di strada”, chi più di lui in questo momento può fare da ponte tra la per­iferie di Napoli e questo gov­erno in tema di istruzione?

Ma soprat­tutto, com’è pos­si­bile che a dis­tanza di otto anni dalla faida in alcun modo si sia affrontato il dis­corso sul proibizion­ismo in mate­ria di droghe? Scampia è il più grande mer­cato a cielo aperto del mondo occi­den­tale. Camorra e ‘ndrangheta si spar­tis­cono il bot­tino del nar­co­traf­fico dive­nendo inter­locutrici dei più impor­tanti cartelli sudamer­i­cani, ma nel corso di questi anni non è stato fatto nulla per affrontare il prob­lema dello spac­cio, sperando, cini­ca­mente, che la pax tra cartelli con­tin­u­asse. O pen­sando, ancora più cini­ca­mente, davanti alle stragi: bene che si ammazz­ino tra loro.

Pen­sieri banali e qualun­quisti. La pax mafiosa li rende più forti. E anche la guerra li rende più forti: per ogni morto di mafia se ne affil­ier­anno altret­tanti. Uno Stato che offre solo repres­sione favorisce, igno­ran­done le cause, situ­azioni che por­tano, come in questo caso, alla morte di un inno­cente. L’omicidio di Lino Romano ha degli ese­cu­tori mate­ri­ali che devono esse trovati, proces­sati e se ritenuti colpevoli con­dan­nati; ma il respon­s­abile occulto di questo omi­cidio è una tiran­nica indif­ferenza sul sud e sul potere crim­i­nale. Il sud è il prob­lema prin­ci­pale della nos­tra democrazia ma è anche la grande occa­sione e risorsa del nos­tro paese.

Gli uffici del Comune di Napoli dovreb­bero essere spo­stati a Scampia. Le sedi attuali, ele­ganti, cen­trali, pom­pose, non rispec­chi­ano più l’anima della città. Il cuore di Napoli ora è nelle sue per­iferie, è lì che la città pulsa e muore.

Anni fa uccis­ero un ragazzo inno­cente vicino Napoli. Por­tarono via il corpo, rimase il sangue a terra. Ricordo che un uomo, forse un prete, si inginoc­chiò dinanzi a quel sangue, mis­chi­ato alla segatura. Come a cer­care di chiedere scusa a quella vita che vol­eva scor­rere e che invece era stata costretta a sec­ca­rsi nei tru­ci­oli. Poi arrivò un’auto. Diede un colpo di clac­son. L’uomo fu costretto ad alzarsi. L’auto parcheg­giò lì, sul sangue. Tutto finito.

 

 
 
 

Se Berlusconi restasse senza platea

Post n°27 pubblicato il 19 Gennaio 2013 da SonBobbo
Foto di SonBobbo

La cosa sor­pren­dente di questa cam­pagna elet­torale è che l’ex primo min­istro, lo stesso che ha avuto a dis­po­sizione decenni di comu­ni­cazione tele­vi­siva e gior­nal­is­tica, oggi torna a pre­tendere e ottenere un pul­pito. E da esso con­quisti anche larga audi­ence. Accade poi che, gra­zie a quel pul­pito, sem­bra guadagnare come dec­o­razioni al mer­ito, un’immagine nuova, diversa, svec­chi­ata. Quella che doveva apparire come la più logora e stan­tia delle pro­poste politiche, d’improvviso sem­bra diventare, per un trucco medi­atico, il nuovo che attrae. Lo si segue in tele­vi­sione, si clic­cano i video delle sue inter­viste, si resta lì, incol­lati allo schermo, ipno­tiz­zati, invece di cam­biare canale, per decenza.

Ci dovrebbe essere un unanime “ancora lui, basta” e invece no. E ciò che tutti un anno fa cre­de­vamo sarebbe stata l’unica reazione pos­si­bile alla incred­i­bile ricom­parsa sulla scena polit­ica di Sil­vio Berlus­coni non si sta ver­i­f­i­cando. Una certa indig­nazione — nat­u­ral­mente — tal­volta una presa di dis­tanza, ma non rifi­uto, non rigetto.

Quando Berlus­coni va in tv sa esat­ta­mente cosa fare: la ver­ità è l’ultimo dei suoi prob­lemi, il giudizio sui suoi gov­erni, il dis­as­tro eco­nom­ico, le leggi ad per­sonam, i fatti — insomma — pos­sono essere tran­quil­la­mente aggi­rati anche gra­zie all’inconsapevolezza dei suoi inter­locu­tori. Il Cav­a­liere mette su sipari, sceneg­giate, bat­tutine. È smal­iziato, non ha paura di dire fes­serie, non ha paura di essere insul­tato, di cadere in luoghi comuni, di ripetere sto­rielle false sulle quali è già stato smascher­ato. Occupa la scena. E c’è chi cade nel tranello: questo trucco da prim’attore, incred­i­bil­mente, ancora una volta crea una sorta di strana empa­tia, di immedes­i­mazione. C’è chi dice: sarà anche un buf­fone, ma meglio lui dei sedi­centi buoni.

E allora sedie spolver­ate, segni delle manette, lavagnette in testa. Torna lui, lui che ci ha ridotti sul las­trico, lui che ha can­didato chi­unque, lui che ha detto tutto e il con­trario di tutto ed è stato smen­tito mille volte. Eppure quei pul­piti diven­tano per lui nuove pos­si­bil­ità di partenza: chi vuole osta­co­lare questo processo già visto e già vis­suto dovrebbe evitare di fare il suo gioco, di prestarsi al ruolo di spalla — come al teatro — dovrebbe impedirgli di montare e smontare sipari.
Più Berlus­coni va in tv, più dileg­gia chi gli sta di fronte, più piace. Per­ché sa disin­nescare chi lo inter­vista. Non ha paura, anzi sem­bra diver­tito dalla paura degli altri. Sente l’odore del sangue dei suoi avver­sari e attacca. In una com­pe­tizione in genere vince chi non ha nulla da perdere e lui, scred­i­tato sul piano nazionale, inter­nazionale, politico e per­son­ale; con pro­cessi pen­denti che riguardano le sue aziende e le sue abi­tu­dini pri­vatis­sime; con l’impero eco­nom­ico che cola a picco, è l’unico vero soggetto che da questa situ­azione non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare. E se la sta gio­cando fino in fondo. Appunto, gio­cando. È diver­tito, esaltato.

Berlus­coni non può più essere con­sid­er­ato un inter­locu­tore, chi lo fa gli dà la pos­si­bil­ità di men­tire lad­dove i fatti lo hanno già con­dan­nato. Fatti politici, ancor prima che giudiziari. Più lo si fa par­lare, più lo si aiuta, più si assec­onda la sua pretesa alla pre­senza perenne, all’onnipresenza tele­vi­siva come fosse un diritto da garan­tire a un can­didato, cosa che non è. E tutto come se prima di questo momento non avesse mai avuto la pos­si­bil­ità di farci conoscere le sue idee e i suoi pro­grammi. Come se non avesse avuto modo di esprimersi, da primo min­istro, sui temi che oggi sta affrontando spac­cian­dosi da out­sider, da nuovo che avanza, da nuovo che sgomita e lotta per ricon­quistare lo spazio che gli è dovuto. Ha avuto una mag­gio­ranza che gli avrebbe con­sen­tito di poter mod­i­fi­care le leve e cam­biare tutto. E non lo ha fatto. Ha solo legit­ti­mato quel “liberi tutti” fatto di eva­sione e dere­spon­s­abi­liz­zazione che ha reso il nos­tro paese un paese povero. Povero di infra­strut­ture, povero di risorse, povero di sper­anza e invivi­bile per la mag­gior parte degli ital­iani. Anche per chi Berlus­coni lo ha votato, anche per chi in lui si è riconosciuto.

E allora smet­ti­amola di pren­derlo sul serio, smet­ti­amola di rid­ere alle sue bat­tute per tremare poi all’idea che possa ricon­quistare ter­reno. Trat­ti­amolo piut­tosto per quello che è: un bam­bino di set­tan­ta­sei anni. Quando i bam­bini esager­ano con le paro­lacce, con i capricci, i gen­i­tori li igno­rano, fin­gono di non aver sen­tito. È l’unico modo per­ché il bam­bino perda il gusto della provo­cazione. La stessa cosa dovremmo fare con lui: farlo par­lare, ma senza prestar­gli atten­zione. Evi­ti­amo i sor­risi alle sue bat­tute stantie, per­ché non possa più ostentare sicurezza davanti ai suoi, per­ché non possa più spac­ciare la falsa tesi sec­ondo cui i politici sono tutti uguali. Non sarò mai per la cen­sura: Berlus­coni ovvi­a­mente deve par­lare in tv — certo dovrebbe farlo nelle regole sem­pre infrante della par condi­cio — come tutti i leader delle coal­izioni. Siamo noi che dob­bi­amo smet­terla di gio­care con lui. Las­ci­amolo senza platea.

 
 
 
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