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Dipinti e letteratura giapponese.

Post n°8 pubblicato il 09 Febbraio 2008 da sentierodisole
 

"La scena dell'inferno" di Akutaga e' la storia di un pittore a cui viene commissionata la realizzazione di un quadro sull'inferno buddista.

Al di là dell'argomento un pò lugubre, questo e' uno dei racconti più belli di Akutagawa Ryunosuke e si basa su una antica favola giapponese;

Nel 1969 ne venne realizzata una trasposizione cinematografica.

"Appena parlo del paravento già mi sembra di vedere quella scena terrificante proprio davanti ai miei occhi.

La scena dell'inferno dipinta da Yoshihide era molto diversa rispetto a quelle degli altri pittori anzitutto per la sua composizione. In un angolo di una facciata del paravento dipinse minutamente il Juo(1) e i suoi seguaci, e tutto il resto del paravento era coperto da una sfrenata vampata di fuoco che sembrava che bruciasse anche il monte degli alberi di spade. Quindi tranne i colori gialli e blu dei costumi alla cinese dei vari governatori dell'inferno, che spiccavano sulla scena, si vedevano dappertutto soltanto fiamme violente dalle quali uscivano spirali di fumo nero che sollevavano insieme fuliggine e scintille color oro.

Sarebbero bastate queste scene a spaventare la gente, ma in più c'erano un po' dovunque personaggi di rilievo in preda alle fiamme atroci. Nessuno di loro per il solito appariva in scene infernali dipinte da altri pittori. Invece Yoshihide aveva messo tra i suoi dannati tutti i ceti sociali dai nobili ai mendicanti. C'erano un alto funzionario in un rigoroso costume, una giovane dama di compagnia seducente in un magnifico abito, un bonzo col rosario, un goliardo con gli zoccoli alti, una giovanissima serva in un kimono attillato e lungo, un sacerdote con una bacchetta... se dovessi descriverli a uno a uno non finirei mai. Dunque tutta questa gente, tormentata dai Gozumezu (2), fuggiva in tutte le direzioni tra il fuoco e il fumo simile a foglie spazzate dalla tempesta. La donna che, con i capelli attorcigliati da una forca, si rannicchiava peggio di un ragno poteva essere stata una sacerdotessa o qualcosa del genere. L'uomo con la spada lunga infilata nel suo cuore che si era steso supino con le braccia aperte come un vampiro doveva essere un basso governatore provinciale o qualcosa di simile. E gli altri, massacrati con la frusta di ferro, pestati con una macina pesantissima, afferrati dal becco di uccelli strani, addentati dalla mascella di un drago velenoso... il modo di castigare era infinito quanto il numero dei dannati ma ce n'era uno particolarmente appariscente e terrificante. Una carrozza veniva giù dall'alto quasi sfiorando le cime degli alberi di spade simili alle zanne di una bestia. Numerosi erano i morti infilati ai rami degli alberi di spade. Nella carrozza, sulla stuoia arrotolata dal vento dell'inferno, si vedeva una dama di compagnia di alto rango che, splendidamente abbigliata e con i lunghi capelli neri travolti dal fuoco, agonizzava con la bianca nuca gettata indietro e la sua figura e la carrozza in fiamme non potevano fare a meno di trasmettere il terrore dell'inferno. Sembrava che tutto lo spavento di quella grande scena fosse concentrato su di lei. Era un' opera tanto eccellente che chi la guardava cominciava ad avere il dubbio di sentire un grido disperato.

Per dipingere quella scena dell'inferno doveva essergli successo qualcosa di terribile. Altrimenti come faceva, anche se si trattava di Yoshihide, ad esprimere l'orrore dell'inferno in modo così vivo? Egli dovette subire la sorte crudele di sacrificare la vita in cambio di quell'opera del paravento. L'inferno dipinto da lui era quell'inferno nel quale un: giorno il miglior pittore del suo tempo doveva finire.

Affrettandomi a parlare. di quel paravento può darsi che non abbia seguito bene il filo del racconto. Ora ritorno al punto dove il signore ordinò a Yoshihide di dipingere la scena dell'inferno sul paravento.
Finale a sorpresa.
(traduzione italiana "Rashomon e altri racconti" Akutagawa Ryunosuke - Unione tipografico - Torino 1983.

地獄変の屏風と申しますと、私はもうあの恐ろしい画面の景色が、ありありと眼の前へ浮んで来るやうな気が致します。
 同じ地獄変と申しましても、良秀の描きましたのは、外の絵師のに比べますと、第一図取りから似て居りません。それは一帖の屏風の片隅へ、小さく十王を始め眷属(けんぞく)たちの姿を描いて、あとは一面に紅蓮(ぐれん)大紅蓮(だいぐれん)の猛火が剣山刀樹も爛(たゞ)れるかと思ふ程渦を巻いて居りました。でございますから、唐(から)めいた冥官(めうくわん)たちの衣裳が、点々と黄や藍を綴つて居ります外は、どこを見ても烈々とした火焔の色で、その中をまるで卍のやうに、墨を飛ばした黒煙と金粉を煽つた火の粉とが、舞ひ狂つて居るのでございます。
 こればかりでも、随分人の目を驚かす筆勢でございますが、その上に又、業火(ごふくわ)に焼かれて、転々と苦しんで居ります罪人も、殆ど一人として通例の地獄絵にあるものはございません。何故(なぜ)かと申しますと良秀は、この多くの罪人の中に、上は月卿雲客(げつけいうんかく)から下は乞食非人まで、あらゆる身分の人間を写して来たからでございます。束帯のいかめしい殿上人(てんじやうびと)、五つ衣(ぎぬ)のなまめかしい青女房、珠数をかけた念仏僧、高足駄を穿いた侍学生(さむらひがくしやう)、細長(ほそなが)を着た女(め)の童(わらは)、幣(みてぐら)をかざした陰陽師(おんみやうじ)――一々数へ立てゝ居りましたら、とても際限はございますまい。兎に角さう云ふいろ/\の人間が、火と煙とが逆捲く中を、牛頭(ごづ)馬頭(めづ)の獄卒に虐(さいな)まれて、大風に吹き散らされる落葉のやうに、紛々と四方八方へ逃げ迷つてゐるのでございます。鋼叉(さすまた)に髪をからまれて、蜘蛛よりも手足を縮めてゐる女は、神巫(かんなぎ)の類(たぐひ)でゞもございませうか。手矛(てほこ)に胸を刺し通されて、蝙蝠(かはほり)のやうに逆になつた男は、生受領(なまずりやう)か何かに相違ございますまい。その外或は鉄(くろがね)の笞(しもと)に打たれるもの、或は千曳(ちびき)の磐石(ばんじやく)に押されるもの、或は怪鳥(けてう)の嘴(くちばし)にかけられるもの、或は又毒龍の顎(あぎと)に噛まれるもの――、呵責(かしやく)も亦罪人の数に応じて、幾通りあるかわかりません。
 が、その中でも殊に一つ目立つて凄(すさま)じく見えるのは、まるで獣(けもの)の牙のやうな刀樹の頂きを半ばかすめて(その刀樹の梢にも、多くの亡者が々(るゐ/\)と、五体を貫(つらぬ)かれて居りましたが)中空(なかぞら)から落ちて来る一輛の牛車でございませう。地獄の風に吹き上げられた、その車の簾(すだれ)の中には、女御、更衣にもまがふばかり、綺羅(きら)びやかに装つた女房が、丈の黒髪を炎の中になびかせて、白い頸(うなじ)を反(そ)らせながら、悶え苦しんで居りますが、その女房の姿と申し、又燃えしきつてゐる牛車と申し、何一つとして炎熱地獄の責苦を偲(しの)ばせないものはございません。云はゞ広い画面の恐ろしさが、この一人の人物に輳(あつま)つてゐるとでも申しませうか。これを見るものゝ耳の底には、自然と物凄い叫喚の声が伝はつて来るかと疑ふ程、入神の出来映えでございました。
 あゝ、これでございます、これを描く為めに、あの恐ろしい出来事が起つたのでございます。又さもなければ如何に良秀でも、どうしてかやうに生々と奈落の苦艱(くげん)が画かれませう。あの男はこの屏風の絵を仕上げた代りに、命さへも捨てるやうな、無惨な目に出遇ひました。云はゞこの絵の地獄は、本朝第一の絵師良秀が、自分で何時か墜ちて行く地獄だつたのでございます。……
 私はあの珍しい地獄変の屏風の事を申上げますのを急いだあまりに、或は御話の順序を顛倒致したかも知れません。が、これからは又引き続いて、大殿様から地獄絵を描けと申す仰せを受けた良秀の事に移りませう。

All'interno di un altro romanzo "Il grido silenzioso" di Oe Kenzaburo ricompare un quadro misterioso, ma il suo  vero significato verrà svelato solo alla fine del romanzo.

"Salimmo nell'edificio principale del tempio e guardammo il dipinto dell'inferno. Scoprii per la seconda volta nel bosco e nel fiume di fiamme il rosso ardente che avevo visto sul dorso delle foglie della sanguinella colpite dal sole di un' alba nuvolosa, dopo aver vissuto per un centinaio di minuti all'interno di una fossa. In particolare, le macchie scure che chiazzavano le onde scarlatte del fiume di fuoco si legarono direttamente al ricordo delle screziature che intaccavano il rosso autunnale delle foglie della sanguinella. Mi concentrai subito sul dipinto. Il colore del fiume di fiamme e le linee morbide delle onde, sottili e tratteggiate con cura, acquietavano lo spirito. Un senso di immensa pace scorreva dal fiume di fiamme nel mio intimo. Nel fiume di fiamme la moltitudine dei morti gridava con le braccia alzate e i capelli ritti in testa, come fosse agitata da un vento violento. Altri dannati esponevano all'aria solo gambe e natiche magre e appuntite. Tuttavia, anche in quelle diverse espressioni di sofferenza c'era qualcosa che acquietava il mio spirito. Benché il loro tormento fosse manifesto, si aveva l'impressione che i corpi che lo esprimevano partecipassero a un solenne divertimento.

Sembravano quasi essere intimi con la sofferenza. I morti che stavano sulla riva mettendo in mostra il loro squallido pene, mentre rocce infuocate li colpivano alla testa, al ventre e ai fianchi, davano la stessa impressione. Le donne morte, spinte verso la foresta di fiamme da diavoli che brandivano verghe di ferro, sembravano addirittura voler difendere strenuamente l'intima catena dei rapporti di sofferenza - i vincoli tra il tormentatore e il tormentato - che le legavano ai diavoli. Spiegai all'abate le mie sensazioni.

«I dannati hanno sofferto ininterrottamente per un periodo di tempo così lungo che si sono abituati alla sofferenza; forse assumono un' espressione sofferente solo per conservare l'ordine del sistema», rispose, l'abate, condividendo il mio punto di vista. «La durata delle sofferenze all'inferno buddista viene calcolata in modo davvero strano. Per esempio, in questo inferno di fiamme la lunghezza di una notte e di un giorno corrisponde a sedicimila anni, ogni giorno e notte dei quali equivale a sua volta a milleseicento anni del mondo umano. È un tempo lunghissimo! Eppure i morti di questo inferno continuano a soffrire per almeno sedicimila anni, secondo questo criterio sovrabbondante. Quindi anche il morto più ritardato vi si abitua».

«Vede quel diavolo ,che sembra un ammasso di pietre, quello rivolto dall'altra parte, in piedi che lavora con accanimento? Il suo corpo è pieno di buchi neri - non capisco se sono le ombre dei muscoli o cicatrici - e sembra piuttosto debilitato. Invece le donne che colpisce sembrano in buona salute. I morti paiono così abituati e affezionati ai diavoli da non provarne paura, vero Mitsu?».

Anche mia moglie, con questa affermazione, aveva accolto il mio punto di vista, ma non sembrava trarre da quel dipinto il profondo senso di pace che io stavo provando. Piuttosto, il radioso buon umore che aveva dimostrato da quella mattina stava a poco a poco impallidendo. E, volgendomi verso Takashi, vidi che si era allontanato da noi e ora era immobile, chiuso in un ostinato silenzio nel buio dorato del santuario all'interno del tempio.

«Taka, che ne dici?», lo chiamai; lui si voltò e, ignorando la mia domanda, replicò duramente.

«Non sarebbe il caso di andare a prendere le ceneri di S, piuttosto che parlare di quadri?».

Allora il giovane abate ordinò a un giovane confratello - che ci guardava incuriosito dalla veranda dell' edificio principale - di andare a prendere l'urna insieme a Takashi.

«Taka ha sempre avuto paura del dipinto dell'inferno, anche da bambino», disse l'abate. ..."

Oe ha una buona conoscenza della "Divina commedia di Dante" perchè quando era bambino suo padre gliene leggeva dei brani.

1 - La divinità che giudica i morti secondo il Buddismo.
2 - Torturatori dell'inferno con il corpo umano e con la testa di bue o di cavallo.

 
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L'arringa difensiva di Porzia

Post n°6 pubblicato il 24 Gennaio 2008 da sentierodisole
 

La bella Porzia, sotto le mentite spoglie di principe del foro, difende Antonio, l'amico di Bassanio dalle richieste di Shylock.
Una nota personale: penso sia stata l'unica volta in vita mia che ho pianto mentre guardavo una commedia.
l'intero testo si può trovare qui :
http://www.liberliber.it/biblioteca/s/shakespeare/il_mercante_di_venezia/html/testo.htm


Doge - Ma di gran cuore! Vadano tre o quattro
ad introdurlo cortesemente in aula.
Nel frattempo la Corte ascolterà
quel che dice Bellario nella lettera.

(Legge)"Sappia la Grazia Vostra che al momento in cui ricevo la sua lettera, mi trovo assai indisposto; ma che nello stesso momento in cui è venuto il vostro messo, era presso di me, in gradita visita, un giovane giurista di Roma. Il suo nome è Baldassarre. L'ho informato della controversia fra l'ebreo e il mercante Antonio, e abbiamo insieme consultato un buon numero di testi. Egli conosce perfettamente la mia opinione; la quale, rafforzata dalla sua personale dottrina - della cui vastità non so fare abbastanza lodi - giunge a voi insieme con lui, ed egli, per mia sollecitazione, risponderà in mia vece all'invito di Vostra altezza serenissima. La pochezza dei suoi anni non gli sia, vi supplico, di impedimento a che non gli scarseggi da parte vostra una rispettosa stima; perché non ho mai conosciuto intelletto così maturo in una persona tanto giovane. Lo affido quindi alla vostra graziosa accoglienza, sicuro che la prova che farete di lui renderà più chiara la sua lode."

(Entra Porzia vestita da dottore della legge)

Avete udito tutti
quel che ci scrive il sapiente Bellario;
ed è il dottore di cui egli parla,
immagino, colui ch'è testé entrato.
Qua la mano. Venite da Bellario?

Porzia - Sì, vostra grazia.

Doge - Siete il benvenuto,
e vi piaccia sedere al vostro posto.
Immagino che siate a conoscenza
della vertenza innanzi a questa corte?

Porzia - Perfettamente, la conosco a fondo.
Chi è il mercante qui, e chi l'ebreo?

Doge - Vengano avanti Antonio e il vecchio Shylock.

Porzia - Il vostro nome è Shylock?

Shylock - Shylock, sì.

Porzia - Di ben strana natura, in verità,
è la vostra pretesa; e tuttavia,
è tale che la legge veneziana
non può eccepirvi eccezioni di sorta,
se voi siete deciso a perseguirla.

(Ad Antonio)
Siete nelle sue mani, lo sapete?

Antonio - Così egli dice.

Porzia - Confessate il debito?

Antonio - Lo riconosco.

Porzia - Allora
l'unica cosa che vi può soccorrere
è che l'ebreo si dimostri clemente.

Shylock - E per qual costrizione dovrei esserlo?
Me lo sapreste dire?

Porzia - La clemenza per sé non mai soggiace
a costrizione; essa scende dal cielo
come pioggia gentile sulla terra
due volte benedetta:
perché benefica chi la riceve
come chi la dispensa. Presso i grandi
più che altrove potente, del monarca
adorna il capo meglio d'un diadema;
ché se lo scettro è segno
della terrena sua forza e potere,
attributo d'altezza e maestà,
ma anche sede della soggezione
e del timore che ispirano i re,
la clemenza è potere che trascende
la maestà scettrata,
il suo trono è nel cuore dei sovrani,
è un attributo dello stesso Dio;
e al potere di Dio quello terreno
si fa simile quando la clemenza
mitiga in esso il rigor della legge.
Perciò, Giudeo, se pur la tua pretesa
sia conforme alla legge, pensa a questo:
che nessuno di noi si salverebbe
se giudicato secondo giustizia.
Preghiamo Dio invocando clemenza,
e ciò ci deve tutti ammaestrare
a infondere clemenza nei nostri atti.
Ho voluto parlare tanto a lungo
fiducioso d'indurti a mitigare
la giusta causa della tua richiesta;
ma se tu sei deciso a perseguirla,
questa severa Corte di Venezia
dovrà per forza pronunciar condanna
contro questo mercante.

Shylock - I miei atti ricadan sul mio capo!
Io qui rivendico, a norma di legge,
la penale prevista dal contratto.

Porzia - Non è in grado di darvi egli il contante?

Bassanio - È in grado, sì, e l'offro io per lui,
davanti a questa Corte.
Anzi, di più: due volte la sua somma;
e se per lui non fosse sufficiente,
m'obbligo a dargli dieci volte tanto,
rilasciandogli anche come pegno
le mie mani, la mia testa, il mio cuore.
Se anche questo non sarà bastante,
dovrà apparire chiaro ai vostri occhi
che la perfidia schiaccia l'onestà.
Fate, per una volta, vi scongiuro,
che prevalga la vostra autorità;
per fare un atto di grande giustizia,
fate un piccolo torto,
piegate questo dèmone crudele
della sua volontà.

Porzia - Non è possibile.
Non c'è a Venezia alcuna autorità
ch'abbia il potere di modificare
un decreto in vigore;
questo potrebbe essere invocato
come un pericoloso precedente
e dietro quell'esempio
molti abusi potrebbero infiltrarsi
nel corpo dello Stato.

Shylock - (Gridando) Oh, un Daniele,
un Daniele è venuto finalmente
a rendere giustizia! sì, un Daniele!
Saggio giovane giudice,
come ti onoro!

Porzia - Ti prego, Giudeo,
ch'io possa esaminare il tuo contratto.

Shylock - (Porgendogli il contratto)
È qui, reverendissimo dottore.

Porzia - (Dà una rapida occhiata al contratto, poi, alla Corte)
Ebbene, quest'obbligazione è valida;
l'ebreo può legalmente reclamare
in base ad essa una libbra di carne
da ritagliarsi di sua propria mano
dalla parte del cuore del mercante.

(A Shylock)
Sii clemente. Contentati del triplo
del tuo denaro, che ti viene offerto;
e dimmi di stracciar questo contratto.

Shylock - Quand'esso sarà stato soddisfatto
secondo il suo tenore.
Voi siete un degno giudice, e si vede:
conoscete la legge;
l'avete egregiamente interpretata.
Io vi chiedo, nel nome della legge,
di cui siete un degnissimo pilastro,
di procedere. Non c'è lingua d'uomo,
ve lo posso giurar sulla mia anima,
ch'abbia il potere di farmi recedere.
Resto fermo alla mia obbligazione.

Antonio - Supplico caldamente questa Corte
di pronunciare la propria sentenza.

Porzia - Ebbene, allora la sentenza è questa:
dovete preparare il vostro petto
per il suo taglio...

Shylock - O nobile giurista!
O giovane eccellente!

Porzia - ... e ciò perché
sia l'intento che il fine della legge
giustificano appieno la penale
che appare qui dovuta per contratto...

Shylock - Giustissimo! O saggio e retto giudice!
Oh, quanto meno acerbo
sei tu dell'esteriore tua sembianza!

Porzia - Perciò scoprite il petto.

Shylock - Sì, il suo petto...
Così dice il contratto: non è vero,
nobile giudice? "Vicino al cuore",
queste son le specifiche parole.

Porzia - È così infatti. C'è qui una bilancia
per pesare la carne?

Shylock - Eccola pronta.

Porzia - Un momento. Bisognerà però,
Shylock, che abbiate vicino un chirurgo,
a vostre spese, per fermare il sangue
e impedire che muoia dissanguato.

Shylock - È detto nel contratto?

Porzia - Non proprio espressamente, ma che conta?
Sarebbe bene che voi lo faceste,
non fosse che per carità del prossimo.

Shylock - Nel contratto non c'è... Non l'ho trovato.

Porzia - (Ad Antonio)
E voi, mercante, nulla da eccepire?

Antonio - Ben poco: sono armato di coraggio
e preparato... Diamoci la mano,
Bassanio, addio. Non ti devi angustiare
se son giunto a tanto a causa tua,
perché in questo caso la Fortuna
si mostra più gentile che non suole.
Sempre ella è usa a fare che il fallito
sopravviva alla perdita dei beni,
così ch'egli rimanga a contemplare,
gli occhi infossati e la fronte scavata
da rughe, gli anni della sua miseria;
con me essa viene da liberatrice
dalla lenta e penosa sofferenza
d'una tale miseria.
Ricordami alla tua nobile sposa,
raccontale com'è finito Antonio,
dille quant'egli t'ha voluto bene,
parlale bene di me in mia morte.
E quando avrai finito,
dille di giudicare da lei stessa
se Bassanio non ebbe un vero amico.
Non ti rammaricare
di dover perdere con me l'amico,
come l'amico tuo non si rammarica
di saldare il tuo debito per te;
ché se l'ebreo taglierà bene a fondo,
lo pagherò all'istante, con il cuore.

Bassanio - Antonio, io son sposato ad una donna
che m'è più cara della stessa vita;
ma per me la mia vita, la mia sposa
e tutto il mondo non hanno il valore
della tua vita; tutto vorrei perdere,
sacrificare qui, a questo demonio,
per liberarti da questo tormento.

Porzia - Vostra moglie, se fosse qui presente
e v'ascoltasse far queste profferte,
non vi ringrazierebbe certamente.

Graziano - Ho anch'io una moglie, della quale
confesso, sono molto innamorato;
ma vorrei si trovasse in paradiso
per impetrare da qualche potenza
di far mutar questo cane di ebreo.

Nerissa - Buon per voi che lo dite alle sue spalle!
Altrimenti codesto vostro voto
vi creerebbe in casa un pandemonio!

Shylock - (A parte)
E questi sono i mariti cristiani!
Io ho una figlia... Vorrei che il marito
fosse uno del ceppo di Barabba,
piuttosto che un cristiano!...

(Forte)Ma qui si perde tempo...
Vi prego, pronunciate le sentenza.

Porzia - Una libbra di carne del mercante
è tua. La legge te ne dà il diritto,
e questa Corte te l'attribuisce.

Shylock - O giustissimo giudice!

Porzia - E tu dovrai tagliare questa carne
dal suo petto. La legge lo permette,
e la Corte lo riconosce giusto.

Shylock - Oh, dottissimo giudice!
Quale sentenza!...

(Ad Antonio)
Ebbene, su, prepàrati.

Porzia - Un momento; c'è ancora qualcos'altro.
Questo contratto qui
non ti assegna una goccia del suo sangue;
dice soltanto: "Una libbra di carne".
Prenditi dunque quello che ti spetta,
vale a dire la tua libbra di carne;
ma, nel tagliarla, se farai versare
solo una goccia di sangue cristiano,
in forza delle leggi di Venezia,
ti saran confiscate terre e averi
a favor dello Stato di Venezia.

Graziano - Oh, giustissimo giudice!...
Vedi, giudeo, che giudice sapiente!

Shylock - Dice così la legge?

Porzia - Ecco, tu stesso puoi leggerne il testo;
ché, dal momento che tu vuoi giustizia,
giustizia avrai più di quanta desideri,
puoi star sicuro.

Graziano - Oh, giudice sapiente!
Vedi, giudeo, che giudice sapiente?

Shylock - Quand'è così, accetto l'altra offerta:
mi sia versato il triplo dei miei soldi
e il cristiano sia sciolto da ogni debito.

Bassanio - Ecco il denaro.

Porzia - Al tempo!
L'ebreo deve ottener piena giustizia.
Al tempo, senza fretta. A lui non spetta
che la penale scritta nel contratto.

Graziano - Oh, giudeo! Quale giudice sublime,
qual giudice sapiente!

Porzia - Perciò prepàrati a tagliar la carne,
ma bada bene a non versare sangue,
ed a non ritagliar, né più e né meno,
che una libbra di carne ben precisa;
perché se ne tagliassi in più o in meno,
foss'anche questo "più" o questo "meno"
la ventesima parte d'uno scrupolo,
sì, dico, anche qualcosa
che sposti la bilancia d'un capello,
per te sarà la morte,
e tutti tuoi averi confiscati.

Graziano - Un secondo Daniele!...
Un Daniele, giudeo! Ora, infedele,
sono io che ti tengo per il collo!

Porzia - Che fa il giudeo, perché sta fermo e muto?
Prenditi dunque quello che ti spetta.

Shylock - Datemi il mio danaro,
e lasciatemi andare.

Bassanio - L'ho qui pronto;
prendilo, è tuo.

Porzia - No, no, l'ha rifiutato
in faccia a questa Corte; deve avere
la giustizia da lui stesso richiesta,
vale a dire l'esatto adempimento
del suo contratto, e basta.

Graziano - Un Daniele, lo dico e lo ripeto,
un secondo Daniele! Ti ringrazio,
ebreo, che m'hai insegnato questo nome!

Shylock - Non riavrò nemmeno il mio denaro?

Porzia - Giudeo, tu devi aver quello e nient'altro
ch'è stato stabilito nel contratto,
da prelevare a tuo completo rischio.

Shylock - E allora al diavolo la mia penale,
e che buon pro gli faccia!
Non starò qui a discutere più a lungo.

Porzia - Un momento, giudeo. Aspetta, aspetta.
La legge ha un altro appiglio su di te.
È scritto nelle leggi di Venezia
che se è provato contro un straniero
che questi abbia cercato di attentare
con maneggi diretti od indiretti
alla vita d'un cittadino veneto,
la parte contro cui egli ha tramato
dovrà ottenere metà dei suoi beni,
l'altra metà essendo devoluta
alle casse private dello Stato,
e la vita del reo resta affidata
alla mercé del Doge, senza appello.
E tu ricadi in questa fattispecie;
poiché dal tuo agire emerge chiaro
che in maniera diretta ed indiretta
hai tramato a insidiar la stessa vita
del convenuto, e sei perciò incappato
nella sanzione che ho indicato sopra.
Ti conviene pertanto inginocchiarti
ed invocar dal Doge la clemenza.

Graziano - Chiedigli che tu possa aver licenza
d'impiccarti da te; per quanto, credo,
con i tuoi beni tutti confiscati,
a te non resterà nemmeno tanto
da comprarti una corda, ed impiccato
dovrai essere a spese dello Stato.

Doge - Perché tu veda quanto il nostro spirito
sia diverso da quello che tu credi,
io qui ti faccio grazia della vita
prima che tu lo chieda.
In quanto alla metà dei tuoi averi,
essa è di Antonio; l'altra va allo Stato;
questa però un tuo atto di umiltà
potrà ridurre a una semplice ammenda.

Porzia - La parte dello Stato, beninteso,
non già quella di Antonio.

Shylock - Ma sì, toglietemi la vita e tutto,
non fatemene grazia, a questo punto!
Mi togliete la casa,
se togliete il sostegno che la regge;
mi togliete la vita,
se mi togliete i mezzi su cui vivo.

Porzia - Che concessione gli puoi fare, Antonio?

Graziano - Un bel capestro, gratis;
e niente più, per amore di Dio!

Antonio - Se così piaccia al mio signore il Doge
ed alla Corte, abbonargli l'ammenda
per metà dei suoi beni, a me sta bene;
a condizione che l'altra metà
la lasci in uso fiduciario a me,
per darla, alla sua morte, al gentiluomo
che ultimamente ha rapito sua figlia...
Due altre cose sian da prevedere:
primo, che in cambio di questo favore,
egli si faccia subito cristiano;
secondo, che davanti a questa Corte,
ei dichiari di fare donazione
di tutto che possiede alla sua morte,
a suo figlio Lorenzo ed a sua figlia.

Doge - Dovrà farlo, o gli revoco la grazia
della vita che gli ho testé concessa.

Porzia - Ti sta bene, giudeo? Che hai da dire?

Shylock - Mi sta bene.

Porzia - Scrivano, stendi allora
l'atto di donazione.

Shylock - Vi scongiuro,
fatemi andare... Non mi sento bene.
Vogliate farmi pervenire a casa
l'atto di donazione, per la firma.

Doge - Va' pure, ma prepàrati a far tutto.

Graziano - Al battesimo tu dovrai avere
due padrini; s'io fossi stato giudice,
ne avresti avuti una diecina in più
per condurti alla forca, non al fonte.

(Esce Shylock)

Doge -
(A Porzia) Signore, resterete con me a pranzo?

Porzia - Chiedo umilmente scusa a vostra grazia,
ma devo stare a Padova stasera,
e convien che mi metta in viaggio subito.

Doge - Mi spiace molto che non siate libero.
Antonio, lascio a voi di compensare
come merita questo gentiluomo;
ché, a mio avviso, gli dovete assai.

(Esce con il seguito)

Bassanio - (A Porzia)
Chiarissimo dottore, grazie a voi
ed alla illuminata vostra mente,
oggi il mio amico Antonio ed io con lui
siamo stati prosciolti ed affrancati
da due condanne molto dolorose.
In compenso noi due, con tutto il cuore,
vorremmo offrirvi, pel vostro disturbo,
i tremila ducati dell'ebreo.

Antonio - E soprattutto vi restiam in debito
d'affetto e di servigi in sempiterno.

Porzia - È già ben compensato
colui che è soddisfatto di se stesso;
ed io, nell'affrancarvi,
tale mi sento e bene compensato.
Il mio animo anzi mai finora
s'era sentito così mercenario.
Vorrei solo pregarvi,
se ci sia dato d'incontrarci ancora,
di non far finta di non riconoscermi.
E così tanti auguri, e mi congedo.

Bassanio - Caro signore, debbo proprio insistere:
degnatevi accettar da noi qualcosa
per ricordo; se non come onorario,
almeno come omaggio personale.
Di grazia, concedetemi due cose:
di non dirmi di no e di perdonarmi.

Porzia - Poiché insistete tanto, accetterò.

(Ad Antonio)
Datemi i vostri guanti:
li porterò con me per amor vostro;

(A Bassanio)
come per amor vostro accetterò
questo anello da voi...

(Fa l'atto di voler sfilare l'anello dal dito di Bassanio,
ma questi ritrae la mano)
non voglio altro...
fermo, non ritraete questa mano...
non vorrete negarmi questo dono
come segno d'affetto!

Bassanio - Questo anello?...
O santo Dio! È una cosa da nulla,
una bazzecola insignificante!

Porzia - Non accetterò altro fuor che questo;
sento anzi, adesso, di desiderarlo.

Bassanio -
Per me, in questo anello, signor mio,
c'è molto più del suo valore intrinseco.
Son disposto magari a farvi dono
del più prezioso anello di Venezia,
dovessi pur cercarlo per proclama;
ma questo no, vi prego. Perdonatemi.

Porzia -
Vedo, signore, quanto liberale
voi siate nell'offrire; poco fa
sembravate spronarmi a mendicare,
ed ora m'insegnate, a quanto pare,
come rispondere ad un mendicante.

Bassanio -
Questo anello, gentile mio signore,
m'è stato dato in dono da mia moglie;
ed ella, quando me lo mise al dito,
volle che le giurassi di non venderlo,
o darlo via, o perderlo comunque.

Porzia -
Questa è la scusa addotta da molti uomini
per sottrarsi dal fare dei regali;
ma vostra moglie, se non è una sciocca,
quando avesse saputo quanto bene
io abbia meritato quest'anello,
non vi potrà serbar lungo rancore
per il fatto di avermelo donato
Comunque, pace a voi!

(Esce con Nerissa)

Antonio -
Bassanio, amico, dàgli quell'anello;
a fronte del divieto di tua moglie
valuta i suoi servigi ed il mio amore.

Bassanio -
Va', Graziano, di corsa, va', raggiungilo,
dagli l'anello e menalo, se puoi,
alla casa d'Antonio. Va', fa' presto.

(Esce Graziano)
E noi, tu ed io, subito dietro...
E domattina presto tutti e due
a Belmonte di volo. Andiamo, Antonio.

 
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La scelta di Bassanio

Post n°5 pubblicato il 24 Gennaio 2008 da sentierodisole
 

E finalmente arriva anche per Bassanio il momento di scegliere uno tra i tre scrigni dentro in quale si potrebbe celare il ritratto di Porzia; nel caso di fallimento non potrà più chiedere la mano di nessun'altra donna.
(Il testo integrale in italiano lo si può trovare qui:
http://www.liberliber.it/biblioteca/s/shakespeare/il_mercante_di_venezia/html/testo.htm

Porzia - Vi prego, pazientate ancora un poco;
fate scorrere ancora uno, due giorni
prima di cimentarvi con gli scrigni;
ché se sbagliaste nella vostra scelta
io perderei la vostra compagnia.
Indugiate perciò ancora un poco...
C'è qualcosa - ma non è certo amore -
che mi dice che non vi vorrei perdere;
e voi sapete che non è dall'odio
che può venire un tale ammonimento;
ma per tema che voi non comprendiate
il mio sentire appieno - e una fanciulla
non ha altra lingua che il proprio pensiero
io vorrei trattenervi un mese o due
avanti che per me vi avventuriate.
Potrei indicarvi come sceglier bene...
ma no, che allora mi farei spergiura,
e questo mai...; però potreste perdermi;
e il pensiero che ciò possa accadere,
mi farebbe sembrar per me peccato
il non aver peccato di spergiuro.
Maledetti i vostri occhi!...
M'hanno stregata e spaccata a metà:
una metà è la vostra...
l'altra metà di me è pure vostra...
voglio dire la mia; ma s'essa è mia,
è vostra, e così io son vostra tutta.
Oh, che tempi crudeli questi nostri,
che frappongono tanti impedimenti
tra possessore e cosa posseduta!
Così, sebbene vostra, io non son vostra.
E se così dev'essere,
se ne vada all'inferno la fortuna
non io per questo!... Sto parlando troppo,
ma è solo per tesoreggiare il tempo,
per ritardarlo, tirarlo più a lungo
per trattenervi dal tentar la scelta.

Bassanio - Ch'io scelga subito; ché nel mio stato,
io vivo alla tortura.

Porzia -Alla tortura,
Bassanio? Ma qual nero tradimento
è mescolato allora al vostro amore?

Bassanio -Nessuno, fuor che il nero tradimento
dell'incertezza che mi fa temere
di non poter godere del mio amore.
In me tra il tradimento ed il mio amore
ci può esser la stessa convivenza
che tra la neve e il fuoco.

Porzia -Già, ma ho paura che diciate questo
sotto tortura, sotto le cui strette
gli uomini dicono qualunque cosa.

Bassanio -Voi promettetemi salva la vita,
ed io confesserò la verità.

Porzia -Bene, confessa e vivi.

Bassanio -"Confessa" e "ama": dovevate dire:
avreste tratto da voi stessa il succo
della mia confessione.
O felice tormento, la tortura,
quando è lo stesso mio torturatore
ad insegnarmi qual risposta dare
per sottrarmi da essa!...
Fatemi andare incontro alla mia sorte
ed agli scrigni.

Porzia -Ebbene, allora avanti;
io son rinchiusa dentro uno dei tre.
Se voi mi amate, voi mi troverete.
Nerissa e l'altre, statevi da parte;
e suoni anche la musica
mentr'ei procede a fare la sua scelta;
se perde, la sua fine sarà simile
alla fine del cigno, che si spegne
pian piano nella musica;
e a far più vera la similitudine,
i miei occhi saranno il suo ruscello
ed il suo liquido letto di morte.
Ma può vincere; e allora questa musica
che potrà essere? Sarà la musica
della fanfara reale che suona
al momento che i sudditi fedeli
s'inchinano davanti ad un monarca
testé incoronato; e sarà simile
ai dolci suoni che all'alzar del giorno
s'insinuano nelle sognanti orecchie
del fidanzato, e lo chiamano a nozze.
Ecco, ora s'avvia, non men prestante
nel portamento, ma assai più amorevole
d'Alcide giovinetto, quando questi
mosse i suoi passi a liberar dall'orca
la vergine che la tremante Troia
aveva offerto in sacrifizio al mostro.
Io son la vittima sacrificale;
e l'altre donne che son là in disparte
son le Dardanie mogli,
venute qui con lacrimose facce
a veder l'esito di quell'impresa.
Va', Ercole! E vivi, per ch'io viva!
Io seguo ansiosa questo tuo cimento
con più trepidazione
che non tu nell'accingerti alla prova.

(Mentre Bassanio s'avvicina ad esaminare gli scrigni,
è intonata da Porzia una canzone)
CANZONE
"Dimmi, dimmi questa cosa:
dove nasce capricciosa
la passione dell'amore,
dalla testa oppur dal cuore?
Essa nasce da un nonnulla:
da uno sguardo traditore,
ed in quella stessa culla
dove nasce, vive e muore.
Facciam perciò per essa rintoccare
a morto la campana;
ed io per prima la voglio suonare:
Din, don, din don...
"

(Tutti)
"Din don, campana".

Bassanio -Spesso l'aspetto esterno
fa apparire le cose men che sono
in realtà. Dall'ornamento esterno
il mondo si lasciò sempre ingannare.
Nel mondo della legge,
quale causa, per quanto sporca e trista,
non saprà oscurar la sua natura,
se perorata da un fiorito accento?
Qual dannato peccato, in religione,
non saprà rendere sacro e legittimo
un portamento serio e dignitoso
che rechi a suo sostegno i sacri testi,
nascondendo così la sua nequizia
dietro un bell'ornamento?
Al mondo non c'è vizio sì smaccato
che non possa coprir la sua magagna
con qualche segno esterno di virtù.
Quanti codardi, dal cuore malfido
simili a tanti scalini di sabbia,
ostentan tuttavia sul loro mento
barbe degne d'un Ercole,
e cipiglio di Marte, ed a frugarli
hanno il fegato bianco come il latte:
gente cui basta il fumo del coraggio
per illudersi d'apparir temuti.
E la bellezza, ad osservarla bene,
scoprirete che può comprarsi a peso,
che là compie un prodigio di natura,
dove riesce a render più leggere
tutte quelle che più ne sono cariche.
E tali son quei riccioletti d'oro
attorcigliati come serpentelli
che fanno voluttuose capriole
al vento sopra una beltà apparente,
e sono molto spesso ritenuti
essere stati in cima a un'altra testa...
e il cranio che li crebbe è in un sepolcro.
L'ornamento così altro non è
che il malfido arenile d'un oceano
pieno d'insidie, come il bello scialle
di cui si vela una bellezza indiana;
in sostanza, la falsa verità
che i nostri astuti tempi metton su
per ingannare anche i più avveduti.
Perciò tu, oro lustro e sfavillante,
duro alimento a Mida, io non ti voglio.
Né te, pallido argento,
volgar mezzano d'ogni uman baratto
io sceglierò; ma te, ruvido piombo,
che minacci piuttosto che promettere,
te, la cui pallidezza
mi commuove più d'ogni bel discorso,
te io scelgo. E che gioia me ne venga!

Porzia - (A parte) Ah, come ogni altro moto del mio animo
- dubbi, disperazione presto accolta,
paure, verde-occhiuta gelosia -,
ora sembra dissolversi nell'aria!
Sta' calmo, amore, frena la tua estasi;
contieni in giusti limiti il tuo gaudio,
non dar sfogo alla tua esuberanza.
Sento troppo la tua felicità!
Falla più lieve, temo di soccombere.

Bassanio -(Aprendo lo scrigno di piombo)
Che trovo qui?... Un ritratto. Porzia bella!
Quale semidio è potuto arrivare
a ritrarla così vera e reale?
Si muovono questi occhi,
oppure è il moto delle mie pupille
che me li fa apparire che si muovano?
Le labbra sono appena un po' socchiuse,
come divise da un dolce respiro:
dolce barriera a separar tra loro
sì dolci amici. Qui nei suoi capelli,
l'artista, ad imitar l'arte del ragno,
ha intessuto una trama tutta d'oro
per irretirvi i cuori, più che il ragno
le mosche dentro le sue ragnatele.
Ma gli occhi... come ha potuto guardarli
per riprodurli? Terminato il primo,
come questo non gli ha rapito i suoi,
sì da lasciare l'opera incompiuta?
Eppure no, guardate: ogni mia lode
di questa effigie fa torto al reale
suo modello, di tanto questa immagine
sembra andarsene zoppa dietro ad esso.
Ed ecco il rotoletto con la scritta
che contiene e compendia la mia sorte:

(Legge)"Tu che scelto non hai per la tua vista,
sorte ingannevole evitasti e trista.
Dacché ti venne siffatta fortuna
resta lieto di questa tua conquista
né cercarne più alcuna.
Se di questa ti sei ben allietato,
ed hai la gioia ch'ha sempre cercato,
volgiti alla tua dama,
e con un bacio l'amor suo reclama.
"

Gentile, il rotoletto!...

(A Porzia)Bella signora, con licenza vostra,
io seguo quel che dice questo scritto,
nel dare e nel ricevere. Signora,
simile ad uno di due contendenti
in gara per un premio,
che pensa d'aver bene combattuto
agli occhi della gente,
allo scoppiar del fragoroso applauso
e delle generali acclamazioni
si guarda intorno tutto frastornato
e ancor dubbioso se quelle esplosioni
d'approvazione siano o no per lui,
io resto ancor dubbioso,
bellissima, se quel che vedo è vero,
finché non siate voi personalmente
a confermarlo ed a ratificarlo.

Porzia -Voi mi vedete, nobile Bassanio,
quale sono. Se fosse per me sola,
nulla ambizione avrei
di vedermi migliore; ma per voi,
vorrei esser me stessa venti volte,
mille volte più bella,
e diecimila volte ancor più ricca,
sì che soltanto per trovarmi in alto
nella stima e l'apprezzamento vostri,
io fossi per virtù, per forza d'animo,
per bellezza, ricchezza ed amicizie
oltre e al disopra d'ogni vostra stima.
Ma la somma di me non è gran cosa:
detta all'ingrosso, sono una ragazza
povera d'istruzione ed inesperta;
sol fortunata in questo,
di non essere ancora tanto vecchia
da non esser più in grado d'imparare;
più fortunata ancora,
per non esser cresciuta tanto stupida
da non esser capace d'imparare;
ma sopra ogni altra cosa fortunata
di confidare il docile mio spirito
al vostro, per riceverne la guida
come dal suo signore, dal suo re.
Io stessa e ciò ch'è mio,
d'ora in avanti è convertito in voi
e in ciò ch'è vostro. Finora sono stata
il signore di questa bella casa,
padrone dei miei servi,
regina di me stessa; d'ora in poi
casa, servi, la stessa mia persona
sono vostri, voi siete il mio signore.
Ed io li affido a voi con questo anello,
da cui se mai doveste separarvi
sia col perderlo, o sia col liberarvene,
sia questo per me il segno
che il vostro amore per me s'è corrotto
e questo sia legittima cagione
per me di farvene aperta rampogna.

Bassanio -Voi m'avete svuotato di parole,
signora; solo il sangue mio vi parla,
il sangue, che mi scorre nelle vene;
e c'è tal confusione nei miei sensi
qual si vede alla fine d'un discorso
pronunciato da un beneamato principe,
tra la folla vociante ed entusiasta
quando ogni moto dell'informe massa,
per sé insignificante, se isolato,
si trasforma, fondendosi in un tutto,
in un enorme, vastissimo insieme
di null'altro composto che di gioia
espressa e non espressa.
Ma quel giorno che questo vostro anello
avesse a separarsi dal mio dito,
allora da quel dito anche la vita
si sarà separata. Oh, dite pure
che quel giorno Bassanio sarà morto!

Nerissa - Mio signore e signora, or tocca a noi,
che siam finora rimasti in disparte
spettatori del lieto coronarsi
dei vostri desideri,
d'inneggiare gridando: "Gioia a voi!".
"Gioia a voi, mio signore e mia signora!"

 
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Il mercante di Venezia.

Post n°4 pubblicato il 22 Gennaio 2008 da sentierodisole
 
Foto di sentierodisole

Questa commedia è veramente un capolavoro letterario.
La bella Porzia è vincolata da una pomessa con il padre a sposare colui che riuscirà a trovare in quale tra tre scrigni si trova il suo ritratto.
(l'intero testo si può trovare a questo indirizzo:
http://www.liberliber.it/biblioteca/s/shakespeare/il_mercante_di_venezia/html/testo.htm

Nella prima scena Bassanio chiede un prestito al suo amico Antonio per corteggiare la bella Porzia che vive a Belmonte.

Antonio - Bassanio, tu mi dovresti conoscere,
e dovresti saper che perdi il tempo
e nient'altro a sollecitar così
alla larga e con circonlocuzioni
il mio affetto per te; e mi fai torto
più a dubitare ch'io non sia disposto
a far tutto il possibile per te,
di quanto me n'hai fatto
a scialacquar finora tutto il mio.
Dimmi solo che cosa vuoi ch'io faccia,
e che a tua conoscenza io possa fare,
ed io son pronto a farlo. Perciò parla

Bassanio - C'è una dama, a Belmonte,
ereditiera di grandi ricchezze,
e bella, e quel che d'essa è ancor più bello,
meravigliosamente piena di virtù.
Dai suoi sguardi talvolta ho ricevuto
dolci muti messaggi. Porzia è il nome...
ed in nulla inferiore a quella Porzia
moglie di Bruto, figlia di Catone.
Né le sue doti sono sconosciute
nel vasto mondo, se da ogni costa
i quattro venti le spingono in casa
corteggiatori d'illustre prosapia.
Riccioli biondi del color del sole
le scendon per le tempie: un vello d'oro
che della sua dimora di Belmonte
fa una novella Colchide, ai cui lidi
molti Giasoni vanno alla conquista.
Antonio mio, s'io solo avessi i mezzi
per assumere un posto di rivale
di fronte all'uno o all'altro di costoro,
il cuor mi presagisce un tal successo
da dirmi senza dubbio fortunato!

Antonio - Tutte le mie sostanze, tu lo sai,
sono attualmente in mare,
e al momento non ho danaro liquido
né mercanzie da improntare su due piedi
una somma; perciò mettiti pure in giro
e prova quel che può darti a Venezia
il mio credito. Io sono pronto a spremerlo
al massimo per dare i mezzi a te
per Belmonte e per l'avvenente Porzia.
Va' tosto ad informarti - anch'io lo faccio -
dove c'è del denaro;
ed io non ho problemi ad ottenertelo,
per il mio credito e la mia persona.

Nella seconda scena Porzia e la sua cameriera dialogano sui pretendenti appena giunti a Belmonte.
Nerissa -Vostro padre era uomo assai virtuoso,
ed i sant'uomini, in punto di morte,
sono sempre, si sa, bene ispirati;
onde l'idea di questa lotteria
e di questi tre bravi cofanetti
pieni ciascuno rispettivamente
d'oro, d'argento e piombo,
tra i quali chi scegliesse, a suo talento,
lo scrigno giusto, sceglierebbe voi,
a me sembra una buona ispirazione:
perché non potrà mai scegliere bene
se non colui che sappia amarvi bene.
Ma c'è, tra i pretendenti principeschi
che son qui giunti per tentar la sorte,
qualcuno che vi susciti nell'animo
più calore degli altri?
...
Nerissa - Comunque non avete più bisogno
di temere di sposare l'uno o l'altro
di questi gentiluomini, signora,
perché m'han tutti esternato il proposito
di ritornarsene al paese loro,
senza stare più a lungo in casa vostra
a importunarvi con la loro corte,
se proprio a conquistare il vostro amore
non c'è altro modo che la condizione
posta da vostro padre con gli scrigni.

Porzia -Vivessi tanto a lungo
da diventar come Sibilla vecchia,
voglio morire casta come Diana,
se non sarà nessuno a conquistarmi
secondo quanto per me ha dettato
l'ultima volontà del padre mio.
Son felice, comunque, di sentire
che questo lotto di corteggiatori
si sia mostrato così ragionevole;
perché non c'è nessuno in mezzo a loro
la cui partenza non mi sia gradita.
Perciò buon viaggio, e che Dio li accompagni!

Nerissa - Ricordate, signora, un Veneziano,
uomo di lettere e militare,
che venne qui, vivente vostro padre,
col Marchese di Monferrato?

Porzia - Oh, sì,
Bassanio: così credo si chiamasse.

Nerissa - Infatti; quello là, di tutti gli uomini
che mai videro i poveri miei occhi
era il più degno d'una bella dama.

Nell'atto secondo tre pretendenti provano a trovare l'effigie di Porzia:
il pricipe del marocco, il principe d'Aragona e Bassanio.

Marocco - Non vi spiaccia il color della mia pelle,
bruna livrea del mio torrido sole,
di cui sono un vicino e al cui raggio
posso dir quasi che sono cresciuto.
Ma portatemi qui
l'uomo più bello che sia nato al nord,
dove il fuoco di Febo a malapena
riesce a liquefare dei ghiaccioli,
e facciamoci insieme lui ed io,
un taglio nella carne,
a mostrar quale sangue è più vermiglio.
tra il mio e il suo. Io ti dico, signora,
che questo mio sembiante
ha intimorito uomini valenti;
e ti posso giurare, sul mio amore,
ch'esso è piaciuto alle più avvenenti
e degne vergini del nostro clima.
Ed io non cambierei questo colore,
mia graziosa regina, a nessun prezzo,
salvo che per rapire il vostro amore.

Porzia - A questa scelta io non son guidata
soltanto dalla saggia direzione
dell'occhio d'una vergine fanciulla;
c'è in più la lotteria del mio destino
che m'interdice dalla facoltà
di scegliere secondo ch'io vorrei.
Ma, se mio padre non m'avesse imposto
questa limitazione, e vincolato
d'espresso suo volere a darmi in moglie
all'uomo che riesca a conquistarmi
coi mezzi che v'ho detto, illustre principe,
voi sareste gradito agli occhi miei
non men che ogni altro dei visitatori
ch'io finora abbia visto
venuti qui a richiedere il mio amore.

Marocco - Ed io anche di questo vi ringrazio.
Perciò, vi prego, vogliate condurmi
agli scrigni, a tentar la mia fortuna.
Io vi giuro su questa scimitarra,
ch'ha ucciso il re e un principe di Persia,
che ha vinto pel sultano Solimano
tre battaglie campali,
che mi sento di far abbassar gli occhi
all'uomo più spavaldo della terra,
di sfidare il più intrepido coraggio,
di strappar via i cuccioli lattanti
dalle poppe dell'orsa,
sì, di prendere a beffa anche il leone
allorché rugge davanti alla preda
per ottenerne in premio te, signora.
Ma, qui, purtroppo, mi sento impotente!
Se giocassero ai dadi Ercole e Lica
per stabilir tra loro chi è più forte,
potrebbe ben dalla mano più debole
sortire il numero più alto, e Alcide
ne sortirebbe allora superato
in forza e robustezza dal suo servo.
E così io, la Fortuna che è cieca
guidandomi, potrei essere perdente
a vantaggio d'alcuno meno degno,
e addolorarmene fino a morire.

Porzia - A voi dunque decidere:
o ricusar di cimentarvi a scegliere,
o cimentarvi, ma giurare prima,
che qualora la vostra scelta cada
sullo scrigno sbagliato,
mai più voi parlerete ad una dama
di profferte d'amore. Riflettete.

Marocco - Bene, profferte non ne farò più.
Vogliate intanto condurmi al mio rischio.

Marocco - Il primo, d'oro, reca questa scritta:
"Chi sceglie me avrà ciò che molti agognano".
Il secondo, d'argento, ha questo avviso:
"Chi sceglie me s'avrà quel che si merita".
Il terzo, tutto di pesante piombo,
porta a sua volta questa secca scritta:
"Chi sceglie me sarà obbligato a dare
ed arrischiare tutto quel che ha".
Come fare per sceglier quello giusto?

Porzia - Uno dei tre contiene il mio ritratto,
principe: se voi sceglierete quello,
io, insieme con esso, sarò vostra.

Marocco - Mi guidi nella scelta un qualche dio...
Voglio legger di nuovo le iscrizioni.
Che dice questo scrignetto di piombo?
"Chi sceglie me sarà obbligato a dare
ed arrischiare tutto quel che ha".
"Sarà obbligato a dare..." E per che cosa?
Per del piombo?... Arrischiare per del piombo!
Questo scrigno promette solo rischi.
Chi mette a rischio tutto quel che ha,
spera, rischiando, sostanziosi introiti.
Un ingegno dorato
non s'abbassa a bramar vile sostanza;
ed io nulla darò né arrischierò
per del piombo. Che dice ora l'argento
in quel suo bel pallore virginale?
"Chi sceglie me s'avrà quel che si merita".
"S'avrà quel che si merita..."
Fermati qui, Marocco, e pesa bene
con equa mano quello che tu vali.
Se ti devi pesare sulla base
della valuta che fai di te stesso,
tu meriti abbastanza; l'"abbastanza"
potrebbe tuttavia non tanto estendersi
fino a includere questa signora;
dubitare d'altronde del mio merito
sarebbe disistima di me stesso...
"S'avrà quel che si merita..."
Ebbene, questo è proprio la signora!
Io me la merito pei miei natali,
e per le mie fortune, le mie grazie,
i modi della mia educazione;
ma ancora più di tutto questo insieme,
io me la merito per il mio amore!
Se mi fermassi qui, e scegliessi questo?...
Prima, però, leggiamo un'altra volta
quello ch'è inciso sullo scrigno d'oro:
"Chi sceglie me avrà ciò cui molti agognano"...
È chiaro: è questa dama!
È proprio lei cui tutto il mondo agogna,
se per baciare questo reliquiario
d'una santa terrena che respira
vengon dai quattro canti della terra.
I deserti d'Ircania e le selvagge
solitudini dell'immensa Arabia
son divenute tante vie maestre
per quanti principi per esse passano
per venire a veder la bella Porzia.
L'equoreo regno che, col capo altero,
manda in alto i suoi sputi in faccia al cielo,
non è ostacolo ai principi stranieri
che lo traversano come un ruscello
per venire a mirar la bella Porzia.
La celestiale immagine di lei
è chiusa in uno di questi tre scrigni.
Che sia quello di piombo a contenerla?
No, che sarebbe un vero sacrilegio
sol concepire un sì basso pensiero!
Troppo vile materia, per serbare
il suo sudario in quell'oscura tomba.
O devo credere ch'ella si trovi
racchiusa nell'argento che dell'oro
è meno puro almen dieci volte?
O reo pensiero! Mai sì ricca gemma
fu incastonata meno che nell'oro.
In Inghilterra ha corso una moneta
con l'effigie d'un angelo nell'oro,
ma scolpita soltanto in superficie;
qui invece un angelo giace all'interno
d'un letto d'oro... Datemi la chiave!
Scelgo questo, e m'assista la fortuna!

(Apre lo scrigno d'oro) Oh, diavolo! Che cosa c'è qui dentro?
Un teschio, nelle cui scavate occhiaie
un cartiglio. Leggiamo che c'è scritto:

(Legge) "Non è tutt'oro quello che risplende;
questa massima udita hai tu sovente.
Più d'un uomo la vita ha maledetto
per badar solo al mio esterno aspetto.
Vermi racchiude ogni dorato avello.
Se, così come ardito tu sei stato,
uomo saggio ti fossi dimostrato,
giovin di membra, vecchio di cervello,
non saresti rimasto inappagato.
Addio. Gelata è ormai la tua profferta,
gelata invero, ed invano sofferta.
Di' dunque addio all'amore perduto,
e porgi al gelo un caldo benvenuto
".

O Porzia, addio. Ho il cuore troppo greve
per dilungarmi in tediosi congedi;
così partono tutti i perditori.

Viene poi il turno del principe di Aragona:

Ed io ad esse son così disposto.
Ora, Fortuna, a te:
arridi alle speranze del mio cuore!
Oro, argento e vil piombo...
"Chi sceglie me, sarà costretto a dare
ed arrischiare tutto quel che ha
"...
Dovresti avere un ben più degno aspetto
per tentarmi a donare e ad arrischiare...
Ma che dice lo scrigno d'oro? Ah!
"Chi sceglie me avrà ciò cui molti agognano"...
Ciò che agognano molti... ma quel "molti"
può bene intendere il volgo sciocco,
che sceglie solo in base alle apparenze
e sol conosce quel che vede l'occhio,
e, svagato com'è, non sa scrutare
le cose a fondo, e, simile alla rondine,
si fa il nido all'esterno delle mura,
esposto ai rischi e alla mercé del caso.
E io non voglio scegliere
cosa che sia da molti vagheggiata,
perché non amo aver gli stessi gusti
della gente volgare, ed imbrancarmi
con il volgo profano ed ignorante.
Ed ora vengo a te,
argentea dimora d'un tesoro:
ripeti agli occhi miei
la legenda che porti sopra incisa:
"Chi sceglie me, s'avrà quel che si merita".
Ed è anche ben detto:
perché chi potrà andare per il mondo
in cerca di fortuna e farsi onore
senza avere lo stampo in sé del merito?
Di una non meritata dignità
nessun uomo presuma di vestirsi.
Dio volesse che beni e rango e uffici
non si ottenessero per corruzione,
e il lustro dell'onore fosse il frutto
del merito di chi n'è rivestito!
Quanti che stanno con la testa nuda
se la dovrebbero allora coprire!
Quanti che sono in posti di comando
se ne dovrebbero star sottoposti!
Quanta bassa progenie
sarebbe sceverata come pula
dalla nobil sementa dell'onore!
E quanto onore sarebbe raccolto
d'in fra le stoppie e i rifiuti del mondo
per essere lustrato e messo a nuovo!
Ma basta, ritorniamo alla mia scelta.
Io pretendo d'avere quel che merito.
Perciò vogliate porgermi la chiave
di questo cofanetto, e senza indugio
disserrerò da qui le mie fortune.

(Gli viene porta la chiave ed apre lo scrigno d'argento)

Porzia - (A parte, vedendo il principe ammutolito nel vedere il contenuto dello scrigno)Troppo lungo esitare
per ciò che avete trovato là dentro.

Aragona - Che c'è qui dentro? Il viso d'un idiota
che ammiccando mi porge un cartellino...
Leggiamolo... Però quanto diverso
sei tu da Porzia! Quanto son diversi
da ciò le mie speranze ed i miei meriti!
"Chi sceglie me s'avrà quel che si merita"
Dunque, non meritavo altro di meglio
che il volto di un idiota? Questo valgo?
E non merito nulla di più degno?

Porzia - Far torto e giudicare il torto fatto
son due operazioni ben distinte
e di opposta natura.

Aragona - (Legge il cartello)
"Sette volte nel fuoco fui temprato,
sette volte dovette esser saggiato
chi nella scelta non ha mai sbagliato.
Guai a colui che l'ombre vuol baciare:
quale felicità può un'ombra dare?
Io so che vivono su questa terra
stolti che un manto d'argento rinserra,
com'era questo ov'io mi riserrai.
Prenditi pur la moglie che vorrai,
ma tieni sempre me come tua guida.
E così vattene. Per te è finita.
"

Quanto più a lungo qui mi tratterrò
tanto più sciocco agli occhi suoi sarò.
Con una testa stolta a corteggiare
son venuto: con due debbo partire.
Addio, dolcezza. Terrò il giuramento
di sopportare in pace il mio tormento.

(Esce con il seguito)

Porzia - E così il cero ha bruciacchiato il tarlo!
Oh, questi stupidi raziocinanti!
Con tutto il loro saggio ragionare
quando debbono scegliere
han sempre la saggezza di sbagliare!

 
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Variazioni sul tema.

Post n°3 pubblicato il 22 Gennaio 2008 da sentierodisole
 

Seta di Baricco

Il protagonista si fa leggere da Madame Blanche una lettera scritta in giapponese che ha ricevuto qualche giorno prima:

- Mio signore amato
Disse
-Non aver paura, non muoverti, resta in silenzio, nessuno ci vedrà.
Rimani così, ti voglio guardare, io ti ho guardato tanto ma non eri per me, adesso sei per me, non avvicinarti, ti prego, resta come sei, abbiamo una notte per noi, e io voglio guardarti, non ti ho mai visto così, il tuo corpo per me, la tua pelle, chiudi gli occhi, e accarezzati, ti prego.
      disse Madame Blanche, Hervé Joncour ascoltava,
non aprire gli occhi se puoi, e accarezzati, sono così belle le tue mani, le ho sognate tante volte adesso le voglio vedere, mi piace vederle sulla tua pelle, così, ti prego continua, non aprire gli occhi, io sono qui, nessuno ci può vedere e io sono vicina a te, accarezzati signore amato mio, accarezza il tuo sesso, ti prego, piano,
      lei si fermò, Continuate, vi prego, lui disse,
è bella la tua mano sul tuo sesso, non smettere, a me piace guardarla e guardarti, signore amato mio, non aprire gli occhi, non ancora, non devi aver paura son vicina a te, mi senti? sono qui, ti posso sfiorare, è seta questa. la senti?, è la seta del mio vestito, non aprire gli occhi e avrai la mia pelle,
       lei disse, leggeva piano, con una voce da donna bambina,
avrai le mie labbra, quando ti toccherò per la prima volta sarà con le mie labbra, tu non saprai dove, a un certo punto sentirai il calore dalle mie labbra, addosso, non puoi sapere dove se non apri gli occhi, non aprirli, sentirai la mia bocca dove non sai, d'improvviso, 
       lui ascoltava immobile, dal taschino del completo grigio spuntava un fazzoletto bianco, candido,
forse sarà nei tuoi occhi, appoggerò la mia bocca sulle palpebre e le ciglia, sentirai il calore entrare nella tua testa, le mie labbra nei tuoi occhi, dentro, o forse sarà sul tuo sesso, appoggerò le mie labbra, laggiù, le schiuderò scendendo a poco a poco, 
    lei disse, aveva il capo piegato sui fogli, e una mano a sfiorarsi il collo, lentamente,
lascerò che il tuo sesso socchiuda la mia bocca, entrando tra le mie labbra, e spingendo la mia lingua, la mia saliva scenderà lungo la tua pelle fin nella tua mano, il mio bacio e la tua mano, uno dentro l'altra, sul tuo sesso,
     lui ascoltava, teneva lo sguardo fisso su una cornice d'argento, vuota appesa al muro,
finchè alla fine ti bacerò sul cuore, perchè ti voglio, morderò la pelle che batte sul tuo cuore, perchè ti voglio, e con il cuore tra le mie labbra tu sarai mio, davvero, con la mia bocca nel cuore tu sarai mio, per sempre, se non mi credi apri gli occhi signore amato mio e guardami, sono io, chi potrà mai cancellare questo istante che accade, e questo mio corpo senza più seta, le tue mani che lo toccano, i tuoi occhi che lo guardano,
     lei disse, si era chinata verso la lampada, la luce batteva sui fogli e passava attraverso la sua veste trasparente,
le tue dita sul mio sesso, la tua lingua sulle mie labbra, tu che scivoli sotto di me, prendi i miei fianchi, mi sollevi, mi lasci scivolare sul tuo sesso, piano, chi potrà cancellare questo, tu dentro di me a muoverti adagio, le tue mani sul mio volto, le due dita nella mia bocca, il piacere nei tuoi occhi, la tua voce, ti muovi adagio ma fino a farmi male, il mio piacere, la mia voce,
      lui ascoltava, a un certo punto si voltò a guardarla, la vide, voleva abbassare gli occhi ma non ci riuscì,
il mio corpo sul tuo, la tua schiena che mi solleva, le tue braccia che non mi lasciano andare, i colpi dentro di me, è violenza dolce, vedo i tuoi occhi cercare nei miei, vogliono sapere fino a dove farmi male, fino a dove vuoi, signore amato mio, non c'è fine, non finirà, lo vedi? nessuno potrà cancellare questo istante che accade, per sempre getterai la testa all'indietro, gridando, per sempre chiuderò gli occhi staccando le lacrime dalle mie ciglia, la mia voce dentro la tua, la tua violenza a tenermi stretta, non c'è più tempo per fuggire e forza per resistere, doveva essere questo istante, e questo istante è, credimi, signore amato mio, questo istante sarà, da adesso in poi, sarà, fino alla fine,
    lei disse, con un filo di voce, poi si fermò.
    Non c'erano altri segni, sul foglio che aveva in mano: l'ultimo. Ma quando lo girò per posarlo vide sul retro alcune righe ancora, ordinate, inchiostro nero sul centro della pagina bianca. Alzò lo sguardò su Hervè Joncour. I suoi occhi la fissavano, e lei capì che erano occhi bellissimi. Riabbassò lo sguardo sul foglio.
Noi non ci vedremo più, signore.
Disse.
Quel che era per noi, l'abbiamo fatto, e voi lo sapete. Credetemi: l'abbiamo fatto per sempre. Serbate la vostra vita al riparo da me. E non esitate un attimo, se sarà utile per la vostra felicità, a dimenticare questa donna che ora vi dice, senza rimpianto, addio.

Una esperienza personale di Oe Kenzaburo

Nella afosa oscurità della notte fonda, Tori-bird e Himiko fecero l'amore per un'ora, assumendo pigramente le posizioni che comportavano il minimo peso per l'altro. Lo facevano in assoluto silenzio come animali in copulazione. Alla fine, a intervalli brevi e poi dopo attese via via più lunghe, Himiko si librò verso l'orgasmo. E ogni volta Tori-Bird provava la sensazione di quando, nel cortile della scuola elementare della città di provincia, faceva volare al tramonto un modellino di aeroplano con il motore a benzina. Himiko volava nel cielo del suo orgasmo, circoscritto nel raggio che aveva come perno il corpo di Tori-bird, emettendo piccole grida e vibrando come un modellino di aeroplano, affatticato dal peso eccessivo del motore. E quando Himiko atterrava di nuovo dove si trovava Tori-bird, il ritmo del movimento silenzioso e paziente riprendeva. Nel loro rapporto sessuale era già radicata la sensazione di ordine e di quiete quotidiana e a Tori-bird pareva di aver fatto l'amore con Himiko per almeno un centinaio di anni. In quel momento, per Tori-bird la vagina di Himiko era qualcosa di semplice e concreto, che non nascondeva nemmeno il più piccolo germe di paura. Non "qualcosa di imperscrutabile", ma qualcosa di semplice come una morbida tasca di resina sintetica. Dalla quale non compariva alcun fantasma che lo potesse incalzare. Tori-bird era intimamente rassicurato. Perchè Himiko aveva limitato in modo drastico e chiaro il loro rapporto sessuale a qualcosa che mirava al solo piacere. Tori-bird pensò al rapporto sessuale con la moglie, che sentiva come un qualcosa di insicuro e reciprocamente pericoloso. Anche allora che erano passati alcuni anni dal matrimonio, ogni rapporto presentava tristi complicazioni psicologiche.
Tutte le volte che le braccia e le gambe troppo lunghe e impacciate di Tori-bird andavano a colpire da qualche parte il corpo della moglie, lei raccolta su se stessa e rigida quasi a voler vincere il proprio disgusto, sembrava credere di essere vittima di percosse. Si arrabbiava tanto da rimproverarlo e volerlo picchiare a sua volta. Alla fine si arrivava ad una piccola lite e Tori-bird, interrotto il rapporto, non poteva far altro che continuare fino a notte fonda la schermaglia che faceva brillare le antenne tese del desiderio non soddisfatto, oppure concludere tutto in modo affrettato, provando la triste sensazione di aver ricevuto una carità.  Tori-bird aveva affidato la speranza di una svolta nella loro vita sessuale a dopo la nascita del bambino...
Himiko, volteggiando nel cielo dell'orgasmo, premeva ripetutamente il pene di Tori-bird come una mano che munge il latte e Tori-bird poteva usare l'orgasmo spontaneo di Himiko come una opportunità per il proprio. Ma la paura della lunga notte dopo il rapporto lo faceva recedere. Sognò confusamente il più dolce dei sonni, generato all'interno di un orgasmo sempre più graduale.
Himiko atterrava dolcemente dai suoi ripetuti voli di orgasmo e si librava di nuovo, come un aquilone in preda ad una corrente ascendente. Sveglio e intento a controllare se stesso, Tori-bird sentì nell'oscurità lo squillo del telefono. Ma, quando fece per alzarsi, le sue spalle furono saldamente trattenute dalle braccia di Himiko, bagnate di sudore. (segue la telefonata del dottore dell'ospedale dove è ricoverato il figlio del protagonista, appena nato e con una malformazione cranica, che lo convoca per il giorno seguente). (la vicenda della nascita di un figlio handicappato è un elemento autobiografico e viene ripreso in quasi tutti i romanzi di Oe per essere analizzato da vari punti di vista; in questo romanzo in particolare il finale è positivo e alla insegna della "speranza"; "una esperienza personale è il romanzo che ha fatto conoscere l'autore in Italia e la conclusione finale è stata criticata da Yukio Mishima che la ritiene una forzatura).

 
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