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Post n°445 pubblicato il 14 Giugno 2015 da meninasallospecchio
Ieri era il mio compleanno. Sticazzi, direte voi. Capisco il vostro punto di vista, ma ciò nondimeno vorrei scrivere un post dedicato alla mia nascita. Ok, non sono la regina Elisabetta, l'evento non è riportato nei libri di storia e le sue circostanze non è che siano così tanto di pubblico interesse. Però l'argomento mi dà l'occasione di tracciare un piccolo spaccato d'epoca, un po' come avevo fatto per il boiler. Sono nata in casa. Adesso partorire in casa è diventato il massimo della figaggine new age, secondo soltanto al parto in acqua, ma una volta era piuttosto comune. Per la verità nel 1963, anno della mia nascita (inutile cercare di nasconderlo), già non era comunissimo. Tant'è che mio fratello, quattro anni prima, era nato in clinica. Non so perché a me fu riservato questo trattamento domestico. Comunque la casa in cui sono nata è anche quella in cui ho vissuto e dove mia madre abita tutt'ora. Quell'appartamento un giorno diventerà mio e non credo che lo venderò mai. Sono l'unica che può andare alla riunione di condominio e rivendicare: io in questa casa ci sono nata! Sul mio certificato di nascita c'è scritto: ore 0.45. La sera del 12 giugno 1963 mia madre aveva guardato la TV. Con lei c'era mia nonna, che, nell'imminenza del fattaccio, stava a casa nostra. Mio fratello, per la stessa ragione, veniva mandato a dormire da conoscenti. Alla TV davano Rebecca, la prima moglie, di Hitchcock. Non so perché mia madre ci abbia sempre tenuto tanto a ricordare questa circostanza, però ammetto che mi fa piacere. Se ci fosse stata in TV una cagata qualsiasi non sarebbe la stessa cosa. Invece essere nata con Hitchcock dà subito un tocco di classe: posso spiegare la mia passione per il cinema, oltretutto adoro quel sadico paranoico di Hitchcock. I fatti immediatamente successivi non mi sono stati raccontati nel dettaglio. So che qualcuno, probabilmente mia nonna stessa, andò a chiamare mio padre, che si trovava nel bar sotto casa a giocare a biliardo. Devo dire che anche questo mi fa sorridere. Pensare che mio padre uscisse per i cazzi suoi per andare al bar a giocare, a biliardo e forse talvolta anche a scopone o a tressette, mi pare abbastanza strano; eppure una volta era normale, anche per i borghesi. Al bar mio padre trovava altri professori come lui, un medico, un ispettore della finanza, ma anche gente semplice. Molti ex contadini, che avevano imparato i giochi di carte nelle lunghe sere in cascina, tra fratelli e vicini di casa. Il biliardo, invece, era un'occupazione cittadina: mio padre aveva forse iniziato nei suoi anni giovanili a Savona, quando al bar con gli amici aveva maturato il suo antifascismo. Venne a casa. Qualcuno telefonò all'ostetrica, dal telefono nero di bachelite appeso al muro dell'ingresso; quello dal quale bambina chiamavo (molto, molto brevemente) le mie compagne, salendo sulla sedia per poterci arrivare. E così venne a casa nostra l'ostetrica. Aveva i tacchi a spillo, ricorda mia madre. In quella notte d'estate, tacchettando sul pavimento del quinto piano, mise in allarme l'intero palazzo. I vicini di casa, tutti più che conoscenti, venivano a sincerarsi che non ci fossero problemi. Fu una cosa abbastanza semplice, ero piccola. Il medico venne il mattino seguente a cucire il perineo. Anche mio fratello ebbe il permesso di rientrare. Mi raccontarono che fece il finimondo perché voleva assolutamente portarmi un regalo, un paio di scarpine. Non che mi servissero granché, ma se penso all'orso che è diventato in seguito, questa cosa mi pare molto tenera. Comunque non fu possibile al mio fratello quattrenne presentarsi con ricchi doni e cotillons: il 13 giugno 1963, giovedì, era il Corpus Domini. Ve lo ricordate il Corpus Domini? Una di quelle feste, come la Pentecoste, che successivamente dal giovedì furono spostate alla domenica, nel tentativo di farci assomigliare a un paese civile e moderno. C'era la processione, i bambini della prima comunione gettavano petali di rosa per la strada, una cosa che ho sognato a lungo di poter fare ma, quando sarebbe toccato a me, per qualche ragione non si faceva più. Vabbé, l'ha fatto mio figlio, in campagna usa ancora. Di domenica però. Altro non so, se non che vennero tutti i vicini in visita a mia madre, la quale si rammaricava di non aver avuto un secondo maschio, pensando a quanti problemi una femmina le avrebbe causato, dovendo salvaguardarne la verginità fino al matrimonio. Le vicine la rincuorarono sostenendo che anzi, era un bene avere anche una figlia, così qualcuno si sarebbe occupato di lei nella vecchiaia. Sembra strano a dirsi, ma alla fine avevano abbastanza ragione le vicine.
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