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Post n°391 pubblicato il 16 Gennaio 2015 da meninasallospecchio
Mi ritrovo così, a passare lunghi periodi senza scrivere il blog. Quasi ne fossi annoiata o non ne avessi voglia. Ma non è così. Lo seguo, rispondo ai commenti, ma per qualche ragione non mi viene niente da scrivere. O magari mi viene, ma poi decido che non ne vale la pena. Già. Oddìo, non è che il mio blog pulluli di imperdibili capolavori, tanto da dovermi preoccupare di mantenere chissà quale livello. Eppure... Per ragioni che preferisco non spiegare mi ritrovo ad avere una certa familiarità con il disturbo bipolare. Anche con l'autismo, come già sapete, ma sull'autismo sono più esperta: ho letto libri, parlato con neuropsichiatri, ecc. Ho così scoperto che questa condizione non è un on-off, bianco o nero. Si parla piuttosto di spettro autistico, cioè di quello che viene definito un continuum. Gli appositi test collocano ciascun individuo su una scala che va da 0 a 20. Fino a 7 è la normalità, o qualcosa che ci somiglia. Da 7 a 12 è autismo lieve. Sopra il 12 è autismo profondo. Mio figlio è stato classificato 8 su questa scala; ma sono sicura che tutti conoscete qualche nerd mai diagnosticato che viaggia intorno al 7. E noi normali o presunti tali stiamo variamente sotto la soglia della patologia, chi più, chi meno. Di studiare anche il disturbo bipolare mi sono rifiutata, ho preferito, per così dire, allontanarmi dal problema. Potrà forse apparire una scelta cinica, ma non faccio lo strizzacervelli di mestiere e qualche volta bisogna preservare la propria, di salute mentale. Però suppongo che anche in questo caso ci sia qualche sorta di continuum. Mi hanno spiegato che tutti noi abbiamo come una specie di pendolo interiore che oscilla fra stati mentali negativi e positivi, fra la tristezza e la gioia. Per le persone più o meno equilibrate il pendolo compie delle oscillazioni lente e non molto ampie. Chi invece soffre di disturbo bipolare ha un pendolo che oscilla rapidamente su un arco decisamente più grande. Succede così che momenti di depressione anche profonda si mutino velocemente in euforia o viceversa. E succede anche che gli stati d'animo negativi prendano la forma dell'aggressività e quelli euforici della paranoia. Ma non è di questo che stiamo parlando. Noi siamo normali. Forse. Però è un po' come nell'analisi matematica, quando si studiano i limiti per capire l'andamento di una funzione. Capire la patologia serve anche per decifrare le piccole patologie della normalità. E così ci si rende conto che si scrive il blog prevalentemente quando si sta in una condizione di lieve euforia. Quella che ti fa ritenere che le cose che hai da dire siano belle, profonde, interessanti, divertenti. Un piccolo delirio di onnipotenza. E viceversa non scrivi quando, pensandoci su due volte, ti viene il dubbio che in fondo non ne valga la pena: che è un argomento ritrito, che non frega niente, che i post seri nessuno li caga, che quelli scherzosi sono frivoli e abusati. E viceversa. Siccome sai che scrivi quando sei euforica, quando non scrivi ti chiedi: sarò depressa? Eppure non ti sembra di stare male, tutto sommato le cose ti vanno discretamente, non hai motivi di insoddisfazione. E però... non sarà proprio questa calma piatta un segno di apatia e di depressione? Poi, mentre stai avviluppata in queste pippe mentali e rispondi al commento n. 69 che lettori benevoli ti fanno sul post di quindici giorni fa, qualcuno ti invita a riprendere a scrivere. Una spintarella e il pendolo riparte lentamente verso il lato con il segno più. Et voilà, il mio stile: qualche pezzo di vita vissuta, divagazioni generali, piccole curiosità che possono anche risultare interessanti o istruttive, una riflessione personale che forse vale anche per altri. Il post è servito, in fondo non è neanche così male.
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