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Quale italiano parliamo?

Post n°478 pubblicato il 13 Ottobre 2015 da meninasallospecchio

Si dice comunemente che Manzoni si interrogò su quale lingua usare per il suo romanzo, evidentemente insoddisfatto o non completamente convinto dall'italiano che si parlava a Milano ai suoi tempi, forse con qualche influsso dialettale. In questa riflessione linguistica, avrebbe optato per il "fiorentino delle persone colte".

Apprendo ora che non è vero niente. E cioè che Manzoni usò una sola volta questa epressione, a proposito della progettata revisione in toscano del Catechismo di Antonio Rosmini, ma mai in riferimento ai Promessi sposi. Vero è che, se avvertì l'esigenza di sciacquare i panni in Arno prima di dare alle stampe la sua opera, probabilmente sentiva la lingua toscana come più "pulita" e più adatta a essere una lingua nazionale.

E' ancora così? L'italiano "puro" è ancora il toscano? Fino a che punto è giusto che la lingua sia "pura"?

Parecchio tempo fa lessi da qualche parte che sull'argomento c'erano tre diverse scuole di pensiero. Secondo alcuni il vero italiano è ancora, come ai tempi di Manzoni (e di Dante), il toscano, che tradizionalmente è stato e deve continuare a essere il riferimento della nostra letteratura e del nostro parlare corretto. Secondo altri sarebbe invece il romano: non il romanesco ovviamente, ma la lingua italiana utilizzata a Roma, in base a una teoria per cui a dettare legge sarebbero ovunque le lingue parlate nelle capitali. Una terza teoria vuole invece che l'italiano per antonomasia sia oggi quello delle grandi città del nord che, avendo assorbito i flussi migratori dall'Italia meridionale, hanno generato una lingua fusion, risultato di molti influssi dialettali diversi e di nessuno in particolare. Lingua che sarebbe a tutt'oggi più viva, assorbendo ancora termini stranieri e forse persino qualche portato linguistico dell'immigrazione.

Come potete immaginare, io sono una sostenitrice di quest'ultima scuola, ovviamente essendo di parte. Ma posso motivare.

Cominciamo dal toscano. Escludendo le ragioni storiche, non esiste nessun motivo per cui oggi il toscano dovrebbe dettare legge. A parte aver dato i natali al nostro presidente del consiglio, la Toscana è una regione né più né meno centrale o marginale di tante altre. Dal punto di vista culturale (parlo di cultura attuale, non di vestigia del passato), economico e demografico sta sui livelli medio-alti della classifica, ma non si può considerare egemone in nessun settore. La lingua che si parla in Toscana, checché ne dicano i toscani, è per molti versi dialettale, costituita da forme idiomatiche squisitamente locali ("noi si va" in luogo di noi andiamo, per esempio) o da vocaboli desueti, come il proverbiale "codesto", o "lapis" per matita. Tra l'altro molti toscani parlano un vernacolo del tutto incomprensibile per uno straniero che abbia studiato l'italiano, e non si pongono minimamente il problema, convinti come sono di parlare la lingua di Dante. Dimenticando che si parlava di "fiorentino delle persone colte", non di supercazzola da tamarri.

Quello che salverei del toscano è la pronuncia delle vocali, che forse andrebbe insegnata a scuola con maggior convinzione, invece di relegarla ai corsi di dizione per aspiranti attori di teatro, dato che in tutta Italia pronunciamo le vocali a cazzo, con differenti influenze dialettali. E magari ci sarebbe anche un po' più chiara la differenza che fanno i francesi sulla pronuncia della "e". C'è da dire, in questo campo, che l'uso della tastiera del computer ha introdotto una maggiore consapevolezza, visto che nella scrittura manuale si accentava tutto nello stesso modo. Però che si debba studiare il francese per imparare l'italiano sembra un tantino bizzarro.

Il romano ha decisamente delle ragioni più valide per imporsi come lingua nazionale. Soprattutto perché è la lingua della TV, quella dei TG, dei talk show. Noi nordici siamo abituati a questa visione romano-centrica impostaci dalla RAI, al TG che parla di "Italia nella morsa della canicola" solo perché a Roma fa caldo, quando da noi magari ci sono 7° e l'alluvione. Allo stesso modo accettiamo la parlata e i modi di dire romani, talvolta li assimiliamo. Non è solo la TV: anche film e letteratura parlano spesso romano. Il nostro migliore scrittore in circolazione, Niccolò Ammaniti, romano, usa una lingua veloce ed efficace, mai ricercata, fitta di dialoghi, diretta e pragmatica come quella di tutti i giorni.

 

(continua)

 
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meninasallospecchio
meninasallospecchio il 14/10/15 alle 15:29 via WEB
A parte che detesto questo esempio (peraltro ricorrente nei commenti al mio blog) della donna stuprata perché ci sta come i cavoli a merenda e rivela soltanto un certo compiacimento testosteronico-aggressivo da parte di chi scrive.
Dopo di che la storia dell'umanità è storia di dominio di popoli su altri popoli, non necessariamente da vedere come fatto interamente negativo (ammesso che la storia si giudichi in questi termini). Greci e Romani hanno portato la civiltà nel Mediterraneo, ovviamente ricevendone in cambio sottomissione e tributi. Ma qui da me per esempio i Celti Liguri erano poco più che cavernicoli prima che arrivassero i Romani, con le loro strade, acquedotti, lingua, scrittura, ecc. In ogni caso agitarsi per dire che l'egemonia americana (peraltro in declino) sull'Occidente sia una cosa da combattere mi pare del tutto inutile. La nostra lingua è viva e in buona salute: ribadisco che assimilare parole straniere è indice di vitalità e non di declino. La nostra cultura ha conosciuto tempi migliori, ma tutto sommato non sta neanche malissimo, non peggio che nel resto d'Europa direi (parlo di quello che si produce, non di salvaguardia del patrimonio, che è un onere che altri paesi hanno in misura infinitamente minore). Quello che sta veramente male è il nostro sistema produttivo, ridotto alle sole piccole aziende e alla dipendenza totale dall'export. Questi rigurgiti di nazionalismo avrei voluto vederli destinati a miglior causa, prima che smontassimo tutte le nostre imprese, senza che nessuno di quelli che oggi tanto blaterano se ne accorgesse. Preoccuparsi di qualche parola inglese, come ai tempi del fascismo, mi sembra veramente pretestuoso.
 
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