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« Nuovi generi letterariTrent'anni »

Sapienti, specialisti e infarinati

Post n°502 pubblicato il 02 Aprile 2016 da meninasallospecchio

Ho l’impressione che la gente non si renda ben conto che la rivoluzione portata da Internet ha una tale portata che la rende paragonabile all’invenzione della stampa di Gutenberg. Anche allora ci sarà stato qualcuno che si chiedeva cosa fare con i monaci disoccupati. Qualcun altro avrà detto: “Eh, ma così i giovani d’oggi non imparano più niente a memoria, perché trovano tutto scritto dentro quei cosi, come li chiamano, libri”. “Già, staranno piegati tutto il giorno su questi libri, rovinandosi la vista e le spalle, anziché parlare fra loro”. “No, no, io mi rifiuto, di imparare a leggere non ne voglio proprio sapere”. “In questa taverna non abbiamo libri: parlate fra voi”.

Anche quando si è iniziato a utilizzare la pergamena, il papiro e poi la carta, qualcuno avrà detto che così nessun giovane sarebbe stato più capace di incidere una tavoletta d’argilla. Poi è passato del tempo e ce ne siamo fatta una ragione.

E’ un bene o un male? Boh. Sono categorie che non appartengono alla storia. Come quando mio figlio mi chiede fra Sumeri e Ittiti chi erano i buoni e chi i cattivi. Non saprei. Certo, possiamo applicare le nostre categorie morali alla storia antica come ai cambiamenti recenti, ma mi chiedo che senso abbia.

La storia della conoscenza ha avuto una grande trasformazione con la rivoluzione industriale. Nel Rinascimento, ancora fino al Settecento, esistevano i dotti, i sapienti, quelli che sapevano di matematica e di lettere, di arte e di diritto, di ingegneria e di filosofia. Leonardo costruiva macchine, dissezionava cadaveri e affrescava cenacoli. Piero della Francesca dipingeva ritratti e studiava matematica. Michelangelo scolpiva madonne, progettava cupole e scriveva poesie. La specializzazione del sapere è un’invenzione recente, funzionale al sistema produttivo così come l’abbiamo conosciuto fino al Novecento.

Ricordo ancora quando ho iniziato a lavorare, trent’anni fa. Nel mio mestiere c’erano dei guru, dei super-specialisti stimatissimi che sapevano tutto su qualche argomento specifico: tutti si rivolgevano a loro per avere lumi, piuttosto che perdere tempo consultando fumosi manuali, spesso difficilmente reperibili, senza mai la certezza che l’informazione fosse quella più appropriata.

Oggi tutto questo non serve più. Non ci serve sapere le cose, o meglio, non ci serve saperle in dettaglio. Le possiamo trovare in qualsiasi momento, quando ci occorrono, senza appesantire i nostri neuroni con un mare di nozioni insignificanti e inutili nella maggior parte delle circostanze. Quindi non è più necessario studiare? Al contrario. Ma il livello della conoscenza deve essere molto più astratto ed elevato. E i modi della conoscenza devono essere completamente diversi, in parte tutti da inventare.

Quando scrivo un post vado mille volte su Wikipedia. Spesso lo faccio per controllare l’esattezza di quello che sto scrivendo. A volte per cercare supporto a un argomento con un esempio, una citazione. Ma so quello che sto cercando. Cioè non lo so, non lo ricordo, non lo conosco nel dettaglio. Ma so che esiste, e so come cercarlo. Anche nel mio lavoro, spesso non so fare quello che dovrei. Ma che importa? In un attimo trovo tutto quello che mi serve. A che gioverebbe una competenza tecnica destinata a diventare obsoleta nel giro di un paio d’anni al massimo. Mi serve una competenza di alto livello, trasversale, interdisciplinare. Fatta anche di cultura generale, di conoscenze linguistiche, di capacità di analisi di un testo, di sintesi, di rapidità nella lettura e nel discernimento, di capacità di giudizio nel valutare l’attendibilità di una fonte.

Fare una ricerca in rete non è affatto banale. Bisogna individuare non solo delle parole chiave, ma anche un contesto che le differenzia da altre parole chiave simili: la sostanza, direbbe il filosofo, quello che fa sì che una cosa sia ciò che è. E poi bisogna distinguere l’informazione commerciale da quella di contenuto, e in quest’ultima, quella di fonte attendibile da quella raffazzonata, quella neutrale da quella partigiana, quella utile da quella inutile, quella vera da quella falsa. Bisogna approfondire senza perdersi, saper fare il backtracking, ovvero tornare sui propri passi fino all’ultimo bivio che ci stava portando sulla strada giusta e tenere a mente anche le strade sbagliate che potrebbero servirci in futuro. E poi sapersi fermare. Raccogliere le idee, sintetizzare, sedimentare, creare la propria versione. E infine scrivere, rimettere in gioco, alimentare il meccanismo.

Ho avuto tanti buoni insegnanti nel mio percorso scolastico e nella mia vita e tutti hanno contribuito a creare la mia capacità di giudizio. Ma in questo momento mi viene da pensare soprattutto a chi è stato capace di insegnarmi l’interdisciplinarità, la mescolanza dei saperi che la nostra tradizione tende improvvidamente a separare.

Insomma, serve quella “infarinatura”, un tempo così disprezzata, fatta di tante nozioni superficiali che in fondo si fa sempre in tempo ad approfondire e che ci consentono, se non altro, di navigare nella rete e nel mondo. La solidità non deve stare dentro le competenze tecniche o specialistiche, ma nel metodo, nelle capacità di logica, di valutazione e di interpretazione. 
Carneade, chi era costui? Aspetta, lo cerco con google.

 
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meninasallospecchio
meninasallospecchio il 04/04/16 alle 23:54 via WEB
E anche l'alfabetizzazione informatica dei giovani è molto sopravvalutata. Saper scrivere velocemente dei messaggi whatspp non significa avere competenze informatiche.
 
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