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Trent'anni

Post n°503 pubblicato il 07 Aprile 2016 da meninasallospecchio

Oggi compio trent’anni. Cioè… trent’anni di lavoro. Era il 7 aprile 1986 quando cominciai a lavorare. Sinceramente non ricordo nulla del primo giorno in particolare. Ricordo invece molto bene il periodo immediatamente precedente, fino alla scelta del lavoro. Già, perché allora il lavoro si sceglieva. Ma andiamo con ordine.

Sono andata a scuola a 5 anni e, terminando gli studi in corso nell’ultima sessione dell’anno accademico, a soli 22 anni ero probabilmente la più giovane laureata in informatica del Piemonte. I miei amici si laurearono fuori corso quattro mesi dopo, alla sessione successiva, e lì per lì li invidiai. Tornando all’università per sbrigare qualche pratica e vedendo gli altri ancora intenti allo studio, mi chiesi: ma chi me l’ha fatto fare di finire così in fretta? Per fortuna avevo una risposta a questa domanda: i miei genitori. Loro me l’avevano fatto fare.

Seguì un periodo di circa un mese di quasi ozio, intervallato unicamente dai colloqui di assunzione. Dovevi soltanto guardare le lettere che i potenziali datori di lavoro ti inviavano a casa, invitandoti a contattarli per un colloquio. Li chiamavi e li incontravi, anche se il lavoro ti interessava poco, ma era un’occasione per vedere un po’ il mondo. Loro ti avrebbero preso in ogni caso (per me era abbastanza scontato, vista la mia votazione, ma in realtà lo era per tutti), e te ne andavi riservandoti di pensarci su. Se optavi per quella soluzione, non avevi che da richiamare e loro ti avrebbero accolto a braccia aperte. Se non ti facevi vivo, erano loro stessi a ricontattarti.

Il racconto di questi colloqui meriterebbe un altro post, ma ora volevo parlare in modo un po’ più leggero di quel periodo. Come dicevo, i miei amici studiavano ancora, quindi mi trovavo in un’insolita situazione di solitudine oziosa. Intrapresi pertanto due attività: la manifattura di una sciarpa ai ferri e la lettura dell’Ulisse di Joyce in inglese. Entrambe furono abbandonate non appena iniziai a lavorare poche settimane più tardi. Dell’Ulisse, che lessi anni dopo in italiano, conservo un ricordo che potrei definire “scoppiettante”: il primo capitolo, e se conoscete il romanzo sapete che lo stile accompagna la narrazione, ha la vivacità intellettuale e il sarcasmo goliardico degli studenti protagonisti dell’episodio. E la ricchezza lessicale di Joyce, sebbene all’epoca (e probabilmente anche adesso) molto al di sopra del mio inglese, era comunque affascinante e sorprendente. Non altrettanto potrei dire della sciarpa.

Quando, dopo complicati tentennamenti, presi finalmente la mia decisione, mi venne la smania di cominciare al più presto possibile. Il che comportava andare da Torino ad Alba, dove avrei dovuto espletare le pratiche necessarie per ottenere il libretto di lavoro. Esiste ancora? Credo di no, il mio giace in un cassetto. Non so da cosa fosse motivata la mia fretta, forse da imminenti vacanze pasquali, ricordo soltanto che dovevo assolutamente andare ad Alba una mattina e chissà perché non c’erano né treni né pullman.

C’era soltanto un pullman fino a Poirino, a circa metà strada, che io presi, riservandomi di fare poi l’autostop fino ad Alba, impresa invero piuttosto avventurosa. Sull’incrocio per Alba trovai un ragazzo sconsolato, che aspettava un passaggio già da parecchio. Con rinnovata fiducia sporgemmo i pollici insieme, ma passò forse una mezzora senza che succedesse nulla. Rassegnato, il ragazzo si allontanò dal ciglio della strada per andare a sedersi su un muretto, lasciandomi sola con il mio pollice teso. La prima auto si fermò. Il mio occasionale compagno di viaggio avrebbe dovuto rallegrarsi per l’esito positivo della vicenda, ma ciò nondimeno tirò giù diverse madonne.

Vedo ora che il mio libretto porta la data del 28 marzo, un venerdì, forse quel giorno stesso. Due giorni dopo era Pasqua (è meraviglioso quello che si trova in rete oggigiorno). Probabilmente per quello dovetti scaracollarmi ad Alba in tutta fretta: forse speravo di iniziare a lavorare subito dopo Pasqua; o era comunque necessario per poter iniziare la settimana seguente. In ogni caso lunedì 7 aprile 1986 fu il mio primo giorno di lavoro. Meglio non chiedersi quando sarà l’ultimo.

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
UnUomo.InCammino il 08/04/16 alle 12:11 via WEB
Anch'io iniziai a lavorare in quegli anni. Avevo deciso di mantenermi per diventare libero e andare da vivere per conto mio, anche se stavo andando ancora all'università.
Mi ricordo che fioccavano le richieste - fior di richieste! - e che alcuni premevano, lascia perdere coll'uni che qui c'è da lavorare e far palanche!
Uno scenario completamente diverso rispetto all'attuale.
Diciamo un'economia dopata, gonfiata, con un tenore spropositato fatto a deficit, voragini di bilancio e previdenziali che garantivano un tenore di vita spropositato (il demagogo per cicale era Bettino Craxi, superato poi nei deficit da Berlusconi e ora anche Renzi cerca di mettere il suo record deficitista, al peggio non c'è limite) lo pagano ora i giovani che si trovano porzioni di debito a testa indicibili, da prefissi della fisica e le generazioni che andranno in pensione tardissimo, a 86 anni sei mesi e un giorno visto che il barile lo hanno svuotato i ladri, grandi, piccoli e medi delle generazioni precedenti (col presunto diritto pensionistico "verso 30 e prendo 70").
Io penso che la nostra generazione prenderà tre soldi di cacio, in quanto a pensione e vecchi come matusalemme.
Io mi sento derubato da tutti questi baby pensionati del cazzo e politicastri loro complici che mentre io sono a sgobbare per la loro pensione, sono in giro in bici, a fare i turisti o fare lavori in nero per i presunti "diritti acquisiti".
Sistema insostenibile e pieno di ipocrisie (come il furto intergenerazionale camuffato da dirittismi da paese dei balocchi).
Sì, meglio non chiedersi quando sarà l’ultimo nostro giorno di lavoro.
 
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