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La comunicazione

Post n°85 pubblicato il 11 Settembre 2006 da Sibillias

La comunicazione è la cultura come sistema storico dei segni significanti. E la pedagogia è quell'insieme di teorie e di operazioni grazie a cui la cultura promuove realmente, di generazione in generazione, la trasformazione del rapporto di ogni singolo con la realtà (naturale ed umana,) in comunicazione consapevole e intenzionale; mentre l'arte è l'operazione grazie alla quale lo stesso contesto fisico, spaziale e misurabile temporalmente - dall'architettura alla musica - diventa mondo segnaletico. Ma in questa complessità strutturale della comunicazione c'è pure una contraddizione che il mondo moderno ha paradossalmente portato all'estremo.
La comunicazione, mentre sottrae il rapporto all'immediatezza caduca e lampeggiante dell'incontro-scontro fisico, tende ad oggettivare tutti i tramiti della relazione, ordinandoli appunto in un sistema, o in una serie di sistemi, che negano l'origine e il valore del loro sorgere, cioè i soggetti, in vista del cui rapporto la comunicazione vale.
Il sistema dei segni tende dunque a darsi come assoluto, indipendentemente dal loro valore espressivo, cioè dalla loro strumentalità reale.
Questo eccesso «idealistico» può essere scongiurato soltanto dal controllo che il soggetto (che parla ed ascolta, guarda e vede) può esercitare sul rapporto espressione-comunicazione, mediante una riflessione concreta (che un tempo si definiva come filosofia), cioè come riflessione critica su un oggetto non mai distaccato interamente dal «suo» soggetto, cioè da quella realtà «attiva» rispetto alla quale ogni altra realtà è oggettiva in quanto le si trova dinanzi, in prospettiva, udita, vista, e così via.
Questa riflessione critica è la comunicazione per eccellenza, poiché il suo scopo e quindi la sua definizione caratteristica è l'«umanizzazione dei soggetti», la tendenza a far sì che i soggetti prendano coscienza di sé e su questa base stabiliscano i loro reciproci rapporti. Ma per questo la riflessione critica è il correttivo della tendenza oggettivistica della comunicazione, poiché induce a considerare il sistema dei segni nella loro strumentalità, cioè in quell'aspetto dialettico per cui sono essi a trasformare la relazione in comunicazione, cioè in caratteristico rapporto umano; ma è viceversa la relazione reale lo scopo primario della comunicazione, i segni essendo provocatori della fruizione dei significati.
Questa reciprocità dinamica tra comunicazione e relazione, ovvero tra segni e significati, è ben esemplificata dal rapporto tra amore e sesso.
Il mondo umano è dunque mondo degli uomini che comunicano, che cioè sono in relazione reciproca - in interrelazione - tra di loro soprattutto attraverso segni. Ma c'è un altro, corrispondentemente rovesciato, rovesciamento tra comunicazione e relazione, che di nuovo il mondo moderno (che è il mondo felice-infelice dell'esagerazione) ha provveduto ad esasperare, grazie all'enfasi dei suoi mezzi di comunicazione (cosiddetti di massa).
Si tratta di quella prospettiva - che in pratica si chiama violenza - per la quale l'uomo tende a trasformare tutto in relazione, servendosi dei segni soltanto per organizzare il rapporto come acquisizione, conquista, imposizione fisica, omogeneizzazione spazio-temporale.
La finzione e il gioco (i modi rituali che addirittura gli etologi riconoscono nei rapporti tra gli individui e i gruppi delle specie animali più evolute) vengono abbandonati, smentiti, e «tutto viene preso sul serio». Il teatro è sostituito dall'esibizione spettacolare, il cui scopo dichiarato è la conquista, la realizzazione della dipendenza!

 
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