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MAMUTONES

Post n°61 pubblicato il 11 Febbraio 2020 da vito.marino01

          CARNEVALE IN SARDEGNA:  MAMUTONES E  ISSOCADORES

Visto che il Carnevale è alle porte e su questo argomento  ho già scritto e pubblicato più volte tutto quello che è di mia conoscenza , mi sono cimentato alla ricerca del Carnevale sardo. Questo lavoro mi ha appassionato, perché considero la Sardegna una mia seconda terra, per tutti i ricordi affettivi che ancora riempiono la mia mente e il mio cuore.

Ho avuto possibilità di assistere a diverse feste popolari della  Sardegna, ma il carnevale che si svolge a Mamoiada nella Barbagia non mi è capitato ancora di vederlo. Pertanto mi sono affidato a materiale vario che ho trovato nelle pagine di internet, dagli accenni riportati nel libro “le origini del teatro italiano” di Paolo Toschi e da libri e materiale vario pubblicitario, che ho in casa. 

Sto parlando dei Mamutones e degli issohadores, maschere di carnevale uniche nel mondo di questo genere.

Riguardo alle origini di questa ricorrenza, alcuni studiosi affermano che i Mamuthones sfilavano già nel XIX secolo. Altri  sostengono invece che il rito risalga addirittura all'età nuragica, per proteggere persone e animali  dagli spiriti del male o per propiziare il raccolto.

Altri affermano che il rito dei Mamuthones e degli Issohadores non è soltanto fantasia popolare, ma  rappresenti un fatto storico realmente accaduto.  Secondo lo studioso Raffaello Marchi la rappresentazione  trattava la celebrazione della vittoria dei pastori di Barbagia sugli invasori saraceni fatti prigionieri e condotti in corteo  (gli Issohadores abbigliati nei panni dei Vinti).

Altri come il Masala ritengono che in realtà essi rappresentino il popolo sardo prigioniero dei punici. Ma c’è anche chi riconduce la danza dei Mamuthones ad un rito apotropaico e propiziatorio, un rito che allontanerebbe il male per favorire annate agrarie favorevoli e abbondanti. Non dimentichiamoci che tutti i popoli antichi fin dal neolitico adoravano la Dea Madre portatrice di fertilità e abbondanza, senza la quale non poteva esistere la vita. A proposito del rito agropastorale non bisogna dimenticare che la prima uscita dei Mamuthones, il 17 gennaio di ogni anno, coincide proprio con l’inizio dell’annata agraria.

Un’altra tesi molto interessante è l’interpretazione del Prof. Francesco Naseddu, secondo il quale i Mamuthones sono gli attori di uno spettacolo/festa di matrice bizantina, “la majuma” o “majumada“; secondo questa interpretazione, i bizantini istituirono questa festa in una località, che dal nome della festa ne sarebbe derivato il nome di Mamoiada.

Tesi minori affermano che si potrebbe trattare di un rito totemico di assoggettamento del bue (presenza dei campanacci) o anche una processione rituale fatta dai nuragici in onore di qualche nume agricolo e pastorale. Altri, infine,  sostengono un legame con riti dionisiaci, altri negano questo collegamento, e la includono invece fra i riti che segnano il passaggio delle stagioni.

Qualunque sia l’origine e la data di fondazione, questa manifestazione ha una marcata impronta arcaica.

Per “Maimone” , specialmente nella Barbagia si indica il demone concretizzato nello spaventapasseri  e in una specie di idolo bacchico del Carnevale popolare; è noto, infatti, che nel lontano passato esisteva nella cultura popolare una credenza radicata su diavoli,  spiriti e magie varie, che si mettevano in evidenza durante il Carnevale; la colonizzazione araba apportò il moltiplicarsi e il diffondersi di queste tradizioni.

Di contro c’era la credenza  che il suono è nemico di  streghe, diavoli, spiriti di defunti, folletti e altro; per cui  campanelle, campane, ma anche altri suoni come i tamburi hanno avuto sempre valore di purificazione, perché capaci di metterli in fuga.(su questo argomento ho già pubblicato una mia ricerca).

Pertanto, secondo una mia interpretazione, le campanelle e i campanacci che portano addosso i mamutones e che fanno suonare nel corso dei loro balli, avrebbero avuto la proprietà di allontanare gli spiriti impuri e le forze negative

    Il Mamuthone indossa una maschera di legno nera detta “sas viseras”, dall’aspetto lugubre, che viene assicurata al viso mediante cinghiette di cuoio e contornata da un fazzoletto di foggia femminile “su muncadore”. Sulla testa portano “sa birritta” sarda, come un turbante.  Il vestito è quello di tutti i giorni, ma si nota appena, perché il mamuthone porta addosso una lunga pelle  di pecora nera “sa mastruca”, utilizzata spesso dai pastori specie in montagna,; sulla schiena è sistemata una serie di campanacci da bue “carriga”, chiamati anche “sos sonazzos”, dal peso complessivo di 30-35 kg., mentre, davanti porta  una collana di sonagli più piccoli e leggeri , bronzei, appesi al collo.

Ma il nome originario delle maschere di Carnevale era Mamutones, che significa sempre il demone, per cui i due nomi si equivalgono. Tuttavia, Maimone  rimane il demone collegato con i riti agrari; per Carnevale esso viene raffigurato come un fantoccio di paglia montato su un carro e attorniato dai Mamutones; la sfilata, giunta  in una piazza convenuta, viene bruciato, con tanto fragore, per i petardi contenuti in mezzo alla paglia.

Generalmente a rappresentare i mamutones  erano gli adulti, addirittura i vecchi ancora saldi in salute, perché avevano più esperienza. Il passo cadenzato per avanzare e scuotere i campanacci ricorda una danza, «una processione danzata» come l'ha definita l'etnologo Raffaello Marchi che per primo, negli anni ‘40, ha osservato da vicino questa manifestazione.

Il corteo si muove lentamente perché i mamutones procedono con un passo pesantissimo, curvi sotto il peso dei campanacci, danno un colpo alla spalla destra, mentre avanzano col piede sinistro, quindi con un colpo alla spalla sinistra avanzano col piede destro. Procedono quindi con una specie di danza, considerata propiziatoria.

   Gli Issohadores indossano parte degli indumenti del Costume tradizionale maschile, sul capo portano “sa berritta” che viene tenuta da un fazzoletto colorato, la camicia bianca del costume “sa ‘amisa”, il corpetto rosso “su curittu”, i calzoni bianchi “sos cartzones”, uno scialletto che viene legato in vita “s’issalletto”, un tempo non era raro che gli stessi  issohadores realizzassero anche al telaio i loro scialletti, oggi la moda ha imposto l’uso di scialletti realizzati secondo lo stile di oliena, con pitture e ricami. I calzoni sono bianchi,  le calze  nere di orbace “sas cartzas” e gli scarponi. Diversi anni fa, fino agli anni 80, gli issohadores indossavano i pantaloni di velluto e gli scarponi “sos ‘usinzos”, al posto dei calzoni bianchi.

 Infine portano in mano, pronta a lanciarla l’importantissima  fune di giunco intrecciato “sa soha”, termine dal quale deriva sicuramente il nome dell’issohadore, che significa infatti portatore di “soha”. In tempi antichi questa fune veniva realizzata con strisce di cuoio intrecciate,  col tempo sono state sostituite dalle funi di giunco: “Unes de Resta”, sicuramente meno pesanti e meno pericolose delle altre, spesso infatti, quando gli issohadores erano soliti prendere  al lazzo gli spettatori, le funi di cuoio facevano molto male.

     Il rituale inizia “sa die ‘e sant’Antoni” il 17 gennaio e dà inizio al Carnevale; ma una volta si anticipava verso l’Epifania o addirittura vicino a Natale. Il corteo inizia a sfilare il pomeriggio e termina a tarda sera.                                              

Evidentemente queste maschere si muovono in una marea di folla, che, divertita urla e fa un chiasso con ogni genere di oggetti carnevaleschi.

       VITO MARINO

 
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