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« MAMUTONESAMORI CLANDESTINI DEL SIGNURINU »

A FACCI 'N CULU DI NOTTI

Post n°62 pubblicato il 20 Novembre 2020 da vito.marino01

 

A FACCI ‘N CULU DI NOTTI

Durante la civiltà contadina, spesso da me citata, regnava il maschilismo. La donna non aveva diritti, ma solo doveri da compiere.

L’accentramento delle abitazioni nei grossi centri e nelle città, escludono la donna dai lavori nei campi; esse restano in casa dove filano il lino, la lana, il cotone, spesso possiedono un rozzo telaio con cui tessono la tela, la imbiancano, la tagliano e confezionano camicie e mutande per i bisogni della famiglia. Inoltre, con i firritti o con “li busi” confezionavano maglioni, sciarpe e coperte; inoltre badano al maiale, alle galline, ai bambini e all’amministrazione del poco denaro che porta in casa il marito col suo lavoro. Esse durante il lavoro cantavano allegramente come era l’usanza di allora. Allora tutti cantavano: l’artigiano nella sua bottega, i ragazzi per strada, i contadini a squarciagola in campagna Al tempo della raccolta delle messi le donne aiutano gli uomini a raccogliere i covoni, a spigolare, a raccogliere le olive, le mandorle, a vendemmiare. Siccome le abitazioni dei contadini erano anguste, costituite spesso da una sola stanza con coabitazione con il maiale, l’asino e le galline, nei piccoli paesi e nelle periferie delle città, molti di detti lavori, ma anche quelli secondari dell’agricoltura, come le ‘ntrita (schiacciare e selezionare le mandorle) assiddiiri (pulire e selezionare il frumento per la semina e per l’alimentazione), venivano eseguiti fuori, per strada o nei cortili.

Durante l’estate per sfuggire all’arsura stagnante nelle loro anguste abitazioni, si sedevano fuori, all’ombra, davanti alla porta di casa, per godersi un poco di fresco. Nello stesso tempo eseguivano i lavori sopra detti. Spesso anche le vicine di casa facevano lo stesso e così, per passare il tempo intrecciavano lunghe conversazioni, che si concludevano sempre con “lu sparliu” (parlare male delle persone).

Siccome le donne non dovevano guardare per strada, perché qualche uomo passante, poteva pensare male, esse si sedevano con le spalle rivolte verso la strada. Questo modo di sedersi era chiamato scherzosamente allora “a facci ‘n culu di notti”.

Per noi era normalissimo incontrare di queste scenette, ma quando gli alleati sbarcarono in Sicilia restarono meravigliati nel trovare una popolazione così “strana”. Giuseppe Casarubea nel suo libro “Storia segreta di Sicilia” nel descrivere lo sbarco degli alleati in Sicilia riporta le considerazioni del tenente generale George Patton, della Settima Armata Americana che, proveniente da una civiltà diversa dalla nostra e più avanzata non concepiva il nostro modo di comportarsi: “Cucinavano per strada e usavano i bidoni delle truppe come utensili da cucina. Si sedevano per strada e cantavano a tutte le ore del giorno e della notte. Poiché sono grandi mangiatori d’aglio, che viene venduto da vecchi recanti serti d’aglio sulle spalle, il loro canto all’aperto affligge non solo l’udito ma anche l’odorato”.

VITO MARINO

 

 

 

 
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