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molise

Post n°266 pubblicato il 22 Gennaio 2009 da rorina77

MOLISE

Popolazione: 329.894
Superficie (Kmq): 4438
Densità (Ab/Kmq.): 74
Capoluogo: Campobasso (CB)
Altre Province: Isernia (IS)


 


Il Carnevale


- Cenni storici -
Tempo di allegria e di pubblici divertimenti, con mascherate e balli, tra il Natale e la quaresima. Questa voce appare formata dalle parole "carne" e "vale", Addio alla carne e ai piaceri, venendo poi la Quaresima, tempo di digiuni, di mortificazione della carne; e ciò potrebbe andare se con questa Voce si volesse intendere propriamente l'ultimo giorno di scialo e di sollazzi, quello cioè che precede le Ceneri; ma non appare molto naturale che un divertimento sia nominato dal suo cessare. Qualcun altro lo fa derivare da "Carnis" "levàmen", Sollievo della Carne, con trasposizione del secondo elemento della Voce Levamen. Le origini del carnevale risalgono alle ricorrenze religiose latine dei "Saturnali" e dei "Lupercàli", dalle "Kronia" ateniesi e delle "Sacee" di Babilonia. La tradizione attuale del Carnevale si deve al Papa Paolo II, che nell'anno 1466 stabilì il calendario delle manifestazioni per ogni giorno della settimana di Carnevale. Tra gli antichi le feste di carnevale erano particolarmente sentite e vissute. Erano motivate da diverse componenti: avvenivano in coincidenza con la fine del ciclo agricolo annuale e quindi con i riti agrari di purificazione, di rinnovamento e di propiziazione. Folklore Ovunque, lo si rappresenta materialmente con una figura umana o con animali. A Ripabottoni con un povero diavolo vestito da spaventapasseri. Più sacco di paglia che uomo. Eufemisticamente chiamato "RE". Il solo modo, che si presenta, per beffeggiare la casta più abbiente della società. Ai popolani procurava godimento beffeggiare il "RE", umiliarlo in tutti i modi, fino a farlo morire in coincidenza con la fine del carnevale stesso; accompagnarlo simbolicamente in corteo, come ad un funerale, in piazza, dove si assisterà alla sua volatilizzazione. Nelle sere dei giorni grassi - tutti i giorni della durata del carnevale, eccetto il venerdì - la confraternita della Buona Morte girava per i vicoli, recitando i Salmi penitenziali - che volevano essere un invito per riflessioni religiose. Ma il popolo che a quell'ora era a cena, non appena la confraternita si allontanava dalla "ruara", urlava: I makkar'na:r' sònn' pèssat', p'tèm' mègnà..." - I maccaronari sono passati, possiamo mangiare . Il menù conosceva pochi piatti e tutti di facile preparazione. Quasi ad evidenziare la volontà di non perdere tempo tra i fornelli. Non era forse questo il tempo da vivere tra feste e baldorie? "Fèshuòl' ka kòt'k (Fagioli con le cotiche), Rap' shtrash'nat' - I faf' ku guènchial du p'rchèll' (Fave con il guanciale del maiale). Per dolci, i skr'ppèll' ku zukk'r' - Dolce sbrigativo da friggere: niente forno, niente lunghe lievitazioni. Jè karn'val(e), ogn' skèrz' val(e)! (E' Carnevale, ogni scherzo vale) - Jè karn'val(e), E'rrign't' a vòkk' d' sal(e). Si rinnova così il rito pagano della gioia, che coinvolge grandi e piccini e li accomuna nel liberarsi di un fantoccio "Mèrkoffi(e)", simbolo della tristezza quotidiana. Ma il carnevale ripese è qualcosa di più. E' la festa antica che rappresenta il risveglio della terra dopo l'inverno, riaffiorano le tradizioni agricole prese dai rituali propiziatori del raccolto. Così si spiegano i solenni funerali, che caratterizzano la morte del fantoccio ed i tradizionali lamenti delle "prefiche" (Uomini mascherati da donne). E' una tradizione simbolica, cerimoniale. E' la faccia tinta di nero, la pelle di capra del costume dei satiri impazziti, il rituale della squadra del "Calvario" o i campanacci dei "Lupi Mannari" della "fontana 'bball' ". Le maschere alla vigilia della settimana del Carnevale giravano il paese per lungo e per largo suonando grossi campanacci e tutto ciò che produceva rumore. Indossavano pelli di capra sopra gli abiti femminili. Alcuni coronavano di corna la testa. Sul viso una maschera nera ottenuta con la fuliggine dei paioli e con il lucido per le scarpe. Sul capo un fazzoletto variopinto stretto dietro la nuca... In gruppi di dodici, procedono a due a due, muovendosi con passo da felino. Preceduti dal suono dei campanacci, accompagnati da stridule urla, con il lucido da scarpe, che si portano dietro, imbrattano la faccia degli astanti. I quattro gruppi (u "Calvario" o Cap(e)mmònt' , i "Lupi Mannari" della "fontana 'bball' ", il piano della croce, la terravecchia) convergono in piazza dove si abbandonano a danze tribali. Le maschere sono precedute e accompagnate dal chiasso e da ogni genere di rumore. Ma esse rimangono mute: - Umbra silentes (Ombre silenziose). Le maschere cercano di prendere i presenti, i quali si allontanano urlando. Se prese, pagheranno il riscatto con un bacio. E siccome le maschere sono sporche di nero, lasceranno sulla guancia della malcapitata segni, che muoveranno i presenti all'ilarità. Il copricapo dei "fabulosi" compagnoni era un lungo cono infiorettato, abbellito in punta dal pimaggio del gallo cedrone, mitico volatile che nel rituale amoroso esprimeva una notevole aggressività e la cui caccia era una prova iniziatica d'ardimento e decisione per il giovane contadino. Il capogruppo porta una mazza corta e variopinta. Se ne serve in un momento particolare della recita, quando cercando tra le donne la propria vittima, la batte ritmicamente sul palmo della mano, quasi desse il tempo alla sua caccia. La compagnia è preceduta da un gruppetto di ragazzi che annunciano di casa in casa il prossimo arrivo delle maschere. La Festa comincia Nelle prime ore della sera i portatori di torce al vento davano inizio alla festa. Durante la sfilata carcavano di carpirsi le torce gli uni gli altri. Ne nasceva un pandemonio, con molti osservatori, dalle finestre e dai balconi, definivano "spettacolo da matti", "pazzie", "carnevalate". E tra la gente - quasi tutta mascherata - "zampettavano" gli uomini nei sacchi. Ad ogni capitombolo una marea di risate. Così pure non mancavano la corsa degli asini "ku spin nu kul". Questo, per i signori, era un giorno a rischio. I contadini - mascherati - facevano di tutto per sequestrarli, metterli in sella agli asini "ku spin nu kul" e portarli in giro per il paese, in mezzo a frastuoni di canti e di strumenti. Questa sorta di "berlina" avveniva con il consenso dei "signori". Essa era la dimostrazione del loro potere economico. Dopo gli asini era la volta dei satiri suonatori, che precedevano le donne "assatanate" che portavano in processione un gigantesco "salsiccione" - simbolo del fallo - Ai due lati due donne con due meloni - testicoli - Si avanzava tra danze, urla e spasimanti orgasmi. Dopo il fallo in processione era la volta dei "makkar'nar", detti pure "chinchinàr'" (gli straccioni) - un gruppo di uomini vestiti di stracci, che procedono con grossi piatti pieni di bucatini conditi con sugo rosso-sangue. Mangiano servendosi delle dita. Bevono vino dal pene enorme del fantoccio di paglia adagiato su un carretto trainato da un asino. Il carrettino viene scortato da uomini travestiti da donne, che, nelle loro imitazioni, vorrebbero essere provocanti. Durante il corteo volutamente si scantonava nell'osceno. Si era nell'ultimo giorno di carnevale. "Tutto era permesso ". Tra gli straccioni c'erano di quelli che portavano monumentali falli di legno, urlavano frasi scollacciate alle ragazze affacciate alle finestre e alle donne in carni. Nel colmo della festa penetravano nelle case per domandare o prendersi liberamente uova, galline, salsicce, lardo, frittelle, ecc. "n'shun d'chev d'none". L'eiaculazione avveniva tramite ripetute spruzzate di vino tramite il "pene" del fantoccio. Seguiva una scena che affondava le radici nei riti orgiastici dei millenni andati. Le "donne" che seguivano il carrettino eccitate oltre ogni misura si gettavano sul fantoccio. Tra urla, eccitamenti e l'intervento delle maschere, il carrettino spariva e avevano inizio le danze in un grande cerchio che si interrompeva al sopraggiungere delle maschere. Queste a intervalli ritornavano in piazza dopo aver vagato per le ruare ed essere entrate nelle case. Prima di entrare il capo-compagnia, dopo aver fatto due o tre piroette, ai presenti chiusi in rispettoso silenzio dice: "chiedo il permesso di entrare in questo "palazzo" con tutta la mia bella grande compagnia". Quasi tutte le "recite" venivano create all'istante. Ruolo di primaria importanza: la scorreggia e gli accessori alle esigenze fisiologiche. E gli spettatori ne provavano godimento. Ai sarcasmi non era ammesso replica. Naturalemtne il "capo" era dotato di tale spirito acuto che gli faceva scegliere "la vittima" giusta: stava allo scherzo e, con la sua insolenza arricchiva di carica emotiva la scena. Tolta la libertà dell'azione la scena non avrebbe detto nulla.


 


La neve di z' Vall'


La Primavera comincia per tutti il 21 Marzo. Ripabottoni, come tutti i paesi di montagna, deve attendere ancora un pò per vederla sbocciare. A volte e non è affatto raro che, durante il mese di Aprile, la neve ricopra ancora il paesaggio ripese con il suo candido mantello come testimoniano le fotografie e la leggenda di Zi' Vall'. Si racconta, infatti, che Z' Vall' (Una persona anziana non meglio conosciuta) si recò in un suo podere a Torrezeppa. Già da molti giorni faceva caldo ed era il tempo giusto per seminare u' r(e)ndinie' (Il granoturco, il mais). Andò vestito leggero, solo con la camicia di panno pesante. Andò di buon mattino, con il sole che splendeva nel cielo terso della primavera. A mezzogiorno il tempo cambiò. Il cielo divenne buio. Un vento freddo spazzò la campagna. Z'Vall' si attardò un po', sperando che fossero nubi passeggere. Alle prime gocce di pioggia, però, riprese la strada per tornare in paese. La pioggia si fece insistente, fredda... sempre più fredda... acqua neve... neve. Una bufera di neve imperversò per tutto il pomeriggio e per tutta la notte... Z'Vall' non ritornò mai a casa. Lo ritrovarono nei pressi di S.Michele, raggomitolato su se stesso nel tentativo disperato di riscaldarsi, di proteggersi dalla tormenta. Era il 18 Aprile!





























 
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