« nella mia stanza | Messaggio #89 » |
AL LETTORE ... Ma in mezzo agli sciacalli, le pantere, le cagne, le scimmie, gli scorpioni, gli avvoltoi, i serpenti, fra i mostri che guaiscono, urlano, grugniscono entro il serraglio infame dei nostri vizi, uno ve n'è, più laido, più cattivo, più immondo. Sebbene non faccia grandi gesti, né lanci acute strida, ridurrebbe volentieri la terra a una rovina e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo. È la Noia! L'occhio gravato da una lagrima involontaria, sogna patiboli fumando la sua pipa. Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato - tu, ipocrita lettore - mio simile e fratello! [...] SPLEEN Ho più ricordi in me che se mille anni [...] Quando basso e pesante il cielo grava Come un coperchio al gemebondo spirito Preda di lunghe accidie, e a noi, abbracciando Tutto il cerchio dell'orizzonte, versa Un buio lume, più triste che notte; Quando la terra si trasforma in umido Carcere dove la Speranza, come Un pipistrello, se ne va sbattendo Contro i muri la sua timida ala, Urtando il capo a putridi soffitti; Quando la pioggia, stendendo le sue Immense strisce, imita le sbarre D'una vasta prigione, e un muto popolo Di ragni infami al fondo del cervello Viene a tenderci le sue reti, - a un tratto Campane erompono furiose e lanciano Verso il cielo uno spaventoso urlo, Come spiriti erranti e senza patria Che diano in gemiti, ostinatamente. E dei lunghi, funerei cortei Vanno sfilando nell'anima mia Senza tamburi né musica, lenti. È in lacrime, ormai vinta, la Speranza; L'atroce Angoscia mi pianta, dispotica, Sul cranio chino il suo vessillo nero. C. Baudelaire, I fiori del male
avessi. Un grosso mobile a cassetti
stipato di bilanci, versi, lettere
d'amore, di verbali, di romanze,
e di pesanti ciocche di capelli
avvolte da quietanze, non nasconde
segreti quanto il mio cervello triste:
piramide e immensa tomba, cela
più morti che comune sepoltura.
Io sono un cimitero dalla luna
aborrito, in cui vermi lunghi, come
rimossi si trascinano, e che sempre
s'avventano sui morti miei più cari.
Sono un vecchio salotto, d'appassite
rose ricolmo, dove alla rinfusa
le mode sorpassate insieme giacciono,
dove pastelli lamentosi e i pallidi
Boucher, soli, respirano il profumo
di una fiala sturata.
Nulla eguaglia
in lentezza quei giorni zoppicanti,
quando immortali proporzioni assume
la Noia, della triste indifferenza
il frutto, sotto il peso del fioccare
nelle annate nevose. E non sei ormai,
viva materia, che una roccia stretta
da un incerto terrore, addormentata
in un Sahara nebbioso, una sfinge
ignorata dal mondo indifferente,
dimenticata sulle mappe: canta
il suo selvaggio umore solamente
sotto il raggio del sole che tramonta.
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