Smisurata preghieraVita di un aspirante filosofo, disputazioni e dialoghi, alla ricerca costante di verità e virtù, viaggiando in direzione ostinata e contraria |
SCUOLA DI ATENE
La Scuola di Atene, di Raffaello, ovvero il massimo elogio alla filosofia greca, massimo grado della conoscenza umana. Al centro Platone ed Aristotele, l'uno col dito al cielo e il "Timeo" sotto il braccio, l'altro che indica il suolo. A destra Socrate, che parla con Critone ed Alcibiade. Sulla scalinata, sdraiato, Diogene il Cinico. Vicino al blocco, svogliato, Eraclito di Efeso. Alla sua destra Epicuro, Zenone, Avveroè, Pitagora, Empedocle. Alla sinistra di Diogene, Tolomeo, Talete.
CI DEVE ESSERE DELL'ALTRO, AL DI LÀ DELL'UOMO...
Ci sarà un tempo in cui l'uomo sarà superato... in cui l'istinto e la passione domineranno... in cui non ci sarà bisogno di difendere la propria individualità... ma il tempo è ancora lontano... e gli uomini, sì, loro, ripugnanti e abietti, corrompono le menti di coloro, che, fragili, vogliono ergersi al di là del bene e del male...
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FOR EMILY, WHENEVER I MAY FIND HER
What a dream I had
Pressed in organdy
Clothed in crinoline
Of smoky burgundy
Softer than the rain
I wandered empty streets
Down past the shop displays
I heard cathedral bells
Tripping down the alleyways
As I walked on
And when you ran to me
Your cheeks flushed with the night
We walked on frosted fields
Of juniper and lamplight
I held your hand
And when I woke
And felt you warm and near
I kissed your honey hair
With my grateful tears
Oh I love you girl
Oh I love you
Simon & Garfunkel
Sacrificio, ovvero, rendere sacro. Prendere qualcosa di profano, ovvero di impuro e mortale, ucciderlo, renderlo pari e gradito agli dèi. O forse, la vittima da immolare è già sacra, ma macchiata d'una impurità tutta strana, la vita? Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per chi si ama. Un brivido mi percorre ogni volta che lo leggo. Quanto coraggio, dare la vita. Ma che vuol dire? Morire, forse? A cosa si è disposti, in nome dell'amore. Al sacrificio. Ci si priva della vita, e non in senso materiale. Si diviene ombre di sé, ridicole comparse della propria vita. Ci si affanna in nome dell'amore, si gioca alle sue regole. Si desidera che l'altro sia felice, assolutamente. E forse qui si sbaglia. Ci si priva della stessa aria che i polmoni da molti anni oramai respirano, solo per far respirare polmoni altrui. E respirare di quell'armonia che ci pervade tutti, sempre. Si è disposti a sparire, a mutarsi in neve, in acqua, in niente. Pur di vedere, anche solo per un momento, gli occhi dell'amata ridere davvero, ridere di sempre. Sono la vittima immolata ai malati pensieri di me stesso, pensieri d'amore.
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Mentre aspettiamo di vivere, la vita passa (Seneca) In fondo, non abbiamo poi tutto questo tempo. O meglio, lo spendiamo male, come disse Seneca nell’epistola I, il famoso vindica te tibi. E consigliava di comportarsi come uno spendaccione a cui poi tornino i conti, paradossalmente. Io dico che non ci sia nulla di più bello di poter perdere tempo. O meglio, di usarlo in altri modi. Di recuperare per sé quel tempo che siamo soliti buttare via, usandolo per il futuro. Non v’è nulla di più bello che sedersi su un muretto, fumare la pipa e osservare la gente che passa. Lo faccio spesso, assorto nei miei pensieri, o meno. O fermarsi a guardare la pioggia, perdendosi fra le gocce. Che importa se, come dice De Gregori, il tram di mezzanotte se ne va? Sono sinceramente sgomento di fronte al mistero del tempo. Non so da dove venga, né dove vada, so che esiste, e tanto basta. E so bene che mi è concesso di usufruirne per poco, tanto vale che cerchi me stesso fra le sue pieghe. Chissà mai che, nella ricerca, non mi capiti di vivere in autenticità. |
Mi rendo conto che un post ogni autunno rischia di essere banale, forse persino rasenta la noia. Ma non posso farne a meno, non sono io a scrivere, è l'autunno perenne che è in me. Molti pensano che l'autunno sia solo un periodo stanco, in cui la natura chiede solo di riposare, preparandosi al lungo sonno dell'inverno. E tutto pare diventare malinconico e desolato. I campi rigogliosi si tingono di bruno, la terra secca, e si scorgono solo fumi e freddo. Mi piacerebbe non scrivere dell'autunno. Ma il mio paesaggio interiore è sempre quello autunnale. E ora sono in sintonia con me stesso. |
Post n°134 pubblicato il 31 Agosto 2009 da Virplatonicus
Paul Gaguin, Chi siamo? Da dove veniamo? Doveandiamo?, 1897 “ e tu, tu che ne sai della vita?” “Io l’ho vista, la vita. Mi aspettava, di notte. Non si muoveva. Respirava e basta. Appoggiata a un delirio di onnipotenza, distesa lungo l’asfalto di un viale alberato. Ma tu, ma tu lo sai che cosa si prova ad accendere un sigaro alle due di mattina, quando, con un atto di maschia volontà, sembri voler soggiogare la tua stessa esistenza? Quando all’entusiasmo si mischia il timore, e il silenzio e il freddo ti bloccano le ginocchia? E camminare in mezzo alla strada, da solo. Hai mai passato una notte su qualche sperduto santuario, con neve e whisky, leggendo le parole dei poeti? L’hai mai fatto? Hai mai trascorso lunghe giornate oziose di agosto leggendo Joyce quando tutto attorno a te sempre riecheggiare l’oblio di Dublino? E aspettare, aspettare, aspettare. L’epifania. Che dia un senso alla tua vita. O meditare sui versi della Dickinson, in un fremito di liquida semplicità. Questo è quello che so della vita. Che non ci chiede nulla, se non di esistere. Certo, tiranneggia su di noi, con il tempo, ma non se ne avvede. Ma credo sia un prezzo da pagare. In fondo, che dai, tu, a lei? Te stesso? Ma quante volte ti sei negato a lei, attendendo qualcos’altro? Che altro? Se lo avessi saputo, forse, non lo avresti atteso. Bisogna rinascere dall’alto diceva qualcuno. Io dico, bisogna rinascere in noi. Ho imparato questo, dalla vita, sinora. O forse non era la vita, era qualche pazzo parolaio, qualche teoreta da strapazzo, di quelli che con qualche sillaba ti legano l’anima a loro stessi. Quelli di cui non puoi più fare a meno. Forse perché nei loro vaneggiamenti hanno compreso la natura più profonda dell’Essere. L’essere, appunto” |
Post n°132 pubblicato il 07 Agosto 2009 da Virplatonicus
Frammenti, e poco più. Come i deliri politicheggianti prima di partire. Il senso civico non serve e il modello Tonga è l’unica soluzione. I fallimentari tentativi di parlare il greco con i monaci cretesi. Almeno sapevamo chiedere il conto, tuttavia. Anche se spesso arrivavano brutte sorprese, come il ritorno dalla signora di Armeni, dove cercavamo il monastero inesistente. Lo tzatziki mangiato alle 8 di mattina, dopo una notte di lucide follie causate da vino. Ma era tutta colpa di Arnaldo. Quello con la esse bolognese. La cartola di Matala. Che ci spedisce sull’Everest. Ups, Red Beach. Lei sapeva l’inglese, durante gli anni ’60, quando ci venivano gli hippies. Poi l’ha scordato. Ma gli hippies sono rimasti. Il caffè ellenico, ce non ci ha fatto per nulla rimpiangere il caffè italiano. Almeno a me. E il monastero di Preveli, con le capre mangia-cappelli. Sempre meglio dei monaci che vanno a mare di mercoledì mattina. Lingue parlate a Creta: il calabrese, il bolognese e il veneto. Spesso il romano. Occasionalmente il greco. La spiagga di Granvoussa, coi ricci che solo B. poteva beccarsi in modo tanto copioso. I forti veneziani, soprattutto quello di Rethymno, coll’unico vero e inimitabile videoggioco. Con due gg, detto alla romana. Le super bazze della tessera studentesca. E quelle solo per i fan dei Motörhead. La gyros pita andata a male e il pane del monaco. Aghios artos. Il kairos perennemente in ritardo e Murphy, epico guastafeste. Gli intermezzi fantozziani e il platanos erotico, quello sbagliato. Zeus e le giovenche, le pecore di Afrodite, la sigaretta di consolazione e il festival del doppiosenso, di cui onoriamo B., la sua imperatrice incontrastata. La guida che diceva tutto. Ma proprio tutto. Pure troppo. Ghiannis lo stregone, misogino e meghetofobico. La grotta di Zeus, i muli, i canti alpini e i benzinai inesistenti. Ottantamila Klerkos alle 8 di mattina al porto di Iraklio. In realtà, arrivò l’indian boy. 847 km fatti con una macchina gialla improbabile su strade ancora più improbabili.
Alle mie compagne di viaggio B. e C. *a molti saranno oscuri i riferimenti di questo post. Me ne scuso. |
Post n°131 pubblicato il 11 Luglio 2009 da Virplatonicus
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Post n°130 pubblicato il 19 Maggio 2009 da Virplatonicus
Da troppo tempo, da Praga, non scrivevo più qui. Non perché mi fossi dimenticato di questo "luogo", seppur virtuale, ma perché il tempo della vita mi scorreva via senza che potessi fermarlo. E forse era un bene, ritengo di aver usato il tempo di questi mesi in modo proficuo. Ho in mente, oltre che ovviamente la prima epistola di Seneca a Lucilio (vindica te tibi), la poesia Falsetto di Montale. La dicotomia fra chi vive e chi guarda vivere forse non è così netta, il tempo per la meditazione può essere tempo di vita. Vivere è anche questo, è anche perdersi nel mare senza averlo mai toccato, e in questo oblio scordare la nostra identità e trovarci armonicamente in-seriti nel cosmo. Vivere è anche leggere il Don Chisciotte, e sognare di diventare cavaliere errante, ricordarsi dei propri sogni, e vedere sempre il mondo con occhi nuovi. E che importa se andiamo a cozzare contro i mulini a vento, con noi c'è il buon Sancio che ci aiuta. E la ricerca del sogno, di qualcosa che ci riempia di senso; questa è la nostra vita, ricerca. E la ricerca si svolge sempre, ed ovunque. C'è una regola che vigeva nei banchetti Greci. "Aut bibas, aut abeas" (era oggetto della versione dell'ultimo Certamen Ciceronianum Arpinas, al quale ho evidentemente partecipato). O bevi, o te ne vai. Ma nessuno ci obbliga a tracannare. "Non pratichiamo la bevuta scitica" diceva Anacreonte. Infatti. A tratti si sorseggia, a tratti, quando la sete è più intensa, si può bere di più. L'importante è non smettere mai di bere. |
Post n°129 pubblicato il 22 Marzo 2009 da Virplatonicus
Ripellino aveva ragione. Praga ti colpisce. Non si possono percorrere la sue vie senza provare qualcosa. Come definirlo? Un sentimento di malinconia, di dignitosa signorilità, di una storia mai finita. Nemmeno colla Montagna Bianca. Praga è come Cenerentola. Che le matrigne la facciano sgobbare, Jan è stata la sua scarpa di cristallo, presto arriverà un principe. Che la salverà. Le farà ritrovare l'identità che Praga ha avuto senza averla. La sua identità panottica. Praga mia, io ho sentito quello che avevi da dirmi. Il tuo era il lamento di una città colpita, ma non a morte. Amata da tutti, ma sposa di nessuno. Nessuno di toglierà la tua fierezza, la tua aria birrosa, il tuo essere dignitosa e turlupinesca. La tua identità ambigua e signorile. Nessuno mai cancellerà le parole di Kafka o Hasek. Nessuno dimenticherà il Golem, Faust, Rodolfo II, Rabbi Low, Brahe. Na shledanou, Praha. |
Post n°128 pubblicato il 08 Marzo 2009 da Virplatonicus
Sei la persona più puntigliosa e testarda che conosca, l'unica che trova il coraggio di contestare tesi che a me sembrano scontate e inviolabili. Mi hai fatto condividere in toto il tuo mondo E non so come ringraziarti. Direi di essere quasi più legato a tua mamma che a te. Lo direi, se non fosse falso.
Ti voglio bene. Per B. Immagine: Veduta della Chiesa della Madonna della Salute a Venezia, W. Turner, 1840-45, Londra, Tate Britain. |
La strada assordanta urlava attorno a me. Da quanto adoro tutto ciò che parla delle passanti. Di queste anime in fuga, di queste brevi epifanie, di queste ninfe evanescenti. Le passanti. Nulla più di un breve secondo d'eterno. Indelebile. E oggi, Giornata della donna, io ricordo le mie passanti. Le donne che ho visto, di cui ho ammirato lo splendore per pochi istanti, con cui ho condiviso viaggi in treno, che hanno addolcito i miei giorni. Che avrei voluto fermare per sempre, ma che invece - ahimé - sono passate. Ma io non le dimentico. Dedico tuttavia questa giornata a quelle passanti che si sono fermate. Alle donne cui ho voluto, voglio e vorrò bene. Che hanno segnato la mia esistenza, quelle cui io ho segnato la loro esistenza. Quelle che mi sono vicine, e quelle che mi sono lontante. Quelle che conosco, e anche quelle che non conosco. A tutte voi. |
Sai afferrare le creste (E. Dickinson, 516) Emily ha ragione. La Bellezza esiste. Dice che Dio ce la leva: io dico piuttosto che la sua infinità è troppa per noi. Col nostro secchiello non possiamo travasare tutta l'acqua del mare in un buco sulla spiaggia. I nosti occhi, le nostre anime non posso che scorgere la Bellezza. "I poeti, di fronte alle mie grandi pose,/ [...] consumeranno i giorni in austeri studi" (C. Baudelaire, La Bellezza, da I fiori del male). Non possiamo che lasciarci carezzare. Perché la Bellezza non si coglie, ci coglie. ...che tu venga dal cielo o dall'inferno, che importa, (C. Baudelaire, Inno alla Bellezza, da I fiori del male) |
Post n°125 pubblicato il 08 Febbraio 2009 da Virplatonicus
Puoi perdonarmi? Con la testa e il cuore sono lì vicino a te. E se fossi non certo che le onde sonore non possono attraversare l'Oceano, griderei sino a ridurmi sola voce, come la ninfa Eco. Ma la mia è più la voce di uno che grida nel deserto. Sono sicuro, tuttavia, che, il mio pensiero ti è arrivato, in qualche modo. Buon compleanno. Per L. |
Post n°124 pubblicato il 29 Gennaio 2009 da Virplatonicus
Ma tu sì. Perché tu, nonostante non ci creda, sei importante per me. Ho timore di dirlo, ma forse sei la persone più importante della mia vita. Anche solo pensarti cambia l'umore di una giornata. Da quando ti conosco, molte cose sono cambiate, in meglio. Sto crescendo, con te, forse stiamo crescendo insieme. Una famosa canzone dice "siamo due anime perse in una boccia per pesci". Abbiamo nuotato, fin ora, tanto forte che non ci siamo accorti che l'altro c'era. Ma ora che ci siamo visti... possiamo nuotare assieme. Ti voglio bene. Tanto. Per E. |
Post n°121 pubblicato il 16 Ottobre 2008 da Virplatonicus
Del teatro. Qualcun altro, se non il supereroe, vuol fare l'attore con te. A me basta essere spettatore. Nel senso latino, uno che guarda. Ti prego, lascia che ti guardi. E tu recita la tua parte, che è perfetta così com'è. La vita è un palcoscenico dice Macbeth. Continua a recitare, ti prego. Io non ho niente di speciale. A me non interessa quello che hai. Interessa quello che sei. E sei meravigliosamente perfetta così. Per S. |
Post n°119 pubblicato il 21 Settembre 2008 da Virplatonicus
Vite precarie, hai detto oggi, a Pordenone. Sì, siamo tutti in bilico, i confini del corpo ci limitano ma ci danno senso. Parlavi, e tutti in silenzio ascoltavano. Emanavi dolcezza infinita, con quale semplicità scostavi la ciocca di capelli che ti copriva la fronte! Affetto, poesia e identità sessuale. |
ULTIMI COMMENTI
SMISURATA PREGHIERA (DA “ANIME SALVE”, 1996)
Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità
Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie
Coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità
per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità
ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere
Fabrizio Dé André
DORME, DORME PLACIDO SULLA COLLINA
“… E dov’è Jones, quel vecchio suonatore
che giocò con la vita per tutti i suoi novant’anni,
affrontando la tormenta a petto nudo,
bevendo e facendo chiasso,
senza mai un pensiero né a moglie, né a parenti,
non al denaro, non all'amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia ancora delle porcate di tanti anni fa
delle corse bel boschetto di Clary
di ciò che Abe Lincoln disse una volta a Springfield”
(da “La Collina” di E.L. Masters)
Inviato da: philo
il 26/01/2014 alle 10:41
Inviato da: delphine
il 26/01/2014 alle 10:41
Inviato da: Caro
il 26/01/2014 alle 10:41
Inviato da: Benedicte
il 26/01/2014 alle 10:40
Inviato da: sabina
il 26/01/2014 alle 10:40