Creato da sjones81 il 23/04/2006

Suonatore Jones

libertà, l'ho vista ...

 

 

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Il viaggio che avrei voluto fare, ed in parte ...

Post n°61 pubblicato il 12 Settembre 2006 da sjones81

La vecchia Hohner blues sibilò, poi  sussurrò, sospirò, attirò a sé stormi di sguardi. L’uomo nascondeva tra le magre falangi, dietro il legno e gli ottoni dell’armonica, un volto solcato da passioni insane. A sassate gli stenti hanno scalfito la sua corteccia troppo tenace per essere plasmata come creta. Tra le mani ed il bagliore confuso dei metalli intaccati e imbruniti mi parse di scorgere una smorfia, un ghigno, contorsioni muscolari di chi sa come nobilitare l’aria tra le ance dello strumento. Un’increspatura d’espressione, unico segno plastico su un volto squadrato, permase a rivendicare dominio semantico anche quando smise l’armonica dalle labbra.

Arrestai il passo qualche istante per riflettere su quella figura minuta dai capelli arruffati; prevalse al desiderio di proseguire l’esigenza di sentir mormorare qualcosa dai suoi occhi. Il vociferare aspro d’ombre e luci epidermiche non proferiva molto sulla vera natura dell’incantatore acustico. Ma lui? Nulla, neanche un cenno. 

Mi piace pensare che le sue palpebre rimasero serrate al fine di custodire un tesoro troppo prezioso per andar spacciato su un marciapiede. Di sé, forse, pensava di raccontare già troppo. Placai la mia curiosità e volsi il naso alla strada; ripresi il mio sentiero cullato dai suoi artifici musicali dissolti dal vociare dei sostanti.

Echi di gente costrinsero la mia attenzione verso la piazza del piccolo borgo dove un palchetto allestito a mestiere diventò teatro di un paio di scalmanati che a colpi di corde e tamburi recitavano una parte appartenente ad altri. Profumi d’estate corrotti dal caldo soffocante attentavano il mio incedere ormai libero dall’incantesimo del suonatore di armonica.

Sostai ai piedi della fontana dove decisi di attendere il sopraggiungere del tramonto osservando i passanti. 

Un uomo coi baffi e l’abito nuovo di sartoria non si accorse di me e quasi mi calpestò.

<< Colpa mia>> gli dissi subito scusandomi.

<< Non dovrei sedermi qui, sul marciapiede >> .

Dentro di me pensavo che l’imbranato poteva anche stare un po’ più attento, mi aveva fracassato 3 dita con i suoi mocassini lucidi. Lui quasi non rispose e con sguardo irritato m’invitò a fare più attenzione.

Un anziano signore, bastone di legno e coppola scura, era visibilmente intimorito dalla mia presenza, quasi a temere la mia estraneità.

Tra le caviglie sottili di una ragazza incrociai lo sguardo di Paride, un tenero meticcio non più alto del mio ginocchio che non vedeva l’ora di liberarsi del guinzaglio e raggiungere il giardinetto fiancheggiante la piazza. Mi persi tra le nuvole del suo mantello di peli cercando tra le macchie ciò che il cielo non offriva in quella calda giornata d’agosto. Vidi una tartaruga, o forse era un cappello quella macchia che gli ornava il fianco sinistro e che nella mia testa cercava un’identità.

<< Ha da accendere?>>

Tre parole ruppero l’idillio, riconobbi la voce rauca di Peter.

<<  Mi dispiace signore, ho smesso>> e sorrisi. Lo guardai in volto e mi illuminai alla vista dei suoi occhi dai riflessi gialli. Da troppo tempo speravo di rincontrarlo.

<< Che fai? guardi le gambe delle mie compaesane?>> mi disse ampliando il sorriso.

Vagli a spiegare la cosa. Lui, che mi conosce, avrebbe creduto alla mia versione, ma mi avrebbe anche deriso per tutta la durata della serata. Già immaginavo le sue parole rimbombare nella piazza:<< Non ci posso credere, sei riuscito a smettere di fumare ma ancora non riesci a capire quali sono i veri piaceri della vita?>> Non ritenei necessario di chiarire l’equivoco e lo lasciai ridacchiare.

<< Da quanto tempo sei qui?>> Mi alzai e gli strinsi la mano e la schiena.

Mi disse: << Più o meno da quando sei arrivato tu, ma non volevo disturbarti. Ti ho visto preso a pensare, guardare, studiare la gente. Ma è possibile? Sei riuscito a smettere di fumare ed ancora non smetti di farti le seghe mentali?>> Ecco, appunto, a dimostrare che anch’io conosco i miei polli. Mi giunse il sospetto che lui si fosse accorto del mio sguardo rivolto verso Paride, non verso le cosce della padroncina, e avesse approfittato della mia domanda successiva per prendermi in giro a dovere. Era ancora lui. Non era cambiato quasi nulla nonostante tutto.

Parlammo per ore fino a sera. Ormai eravamo troppo lontani per poterci frequentare assiduamente, ma nessuno dei due si era veramente distaccato dall’altro. Queste cose capitano quando hai la fortuna di condividere tutta l’adolescenza con persone come lui.

Il vecchio sulla panchina sembrò rincuorato nel vedermi chiacchierare con un volto a lui noto, mi sorrise e diresse lo sguardo ormai sereno in un’altra direzione. Gli passammo a lato mentre ci recavamo a casa di Peter: << ‘Zi Pinucce, bella la gioventù ehhh!?!?>> Con un sorriso di pochi denti il vecchio gli rispose:<>  Sembrò che il signor Giuseppe avesse intentato un dialetto mitigato per rendere comprensibile anche a me le sue parole; fu un apprezzabile gesto di cortesia o forse il desiderio di celare la propria identità contadina di fronte ad un estraneo? Si sa, le generazioni del secolo scorso hanno fatto il possibile per abbandonare quella vita contadina cosparsa di stenti e sacrifici senza accorgersi dell’immenso patrimonio che stavano buttando alle ortiche. Peter subito sottolineò il fatto:<< Uè zi pi’ e che facciamo’? parlamme in indaliano?>>  E ghignò.

Una risata vigorosa attanagliò il volto del signor Giuseppe:<< Eheheh, vavattenne! eheheh vavattenne mo’, ca se t’ngarre te tron’, t’ nghiov gnè nu chiuode!!! >> agitando il bastone in faccia al mio Virgilio strizzò l’occhio e gli donò un ultimo sorriso prima di tornare a scrutare con attenzione la piazzetta. Ho sempre invidiato Peter per la sua capacità di giocare con le debolezze altrui senza rendersi irritante. Sa sempre quand’è il momento di fermare il gioco, riconosce ad occhio nudo i limiti della pazienza del prossimo e si diverte ad oltrepassarli per poi tornare presto nei ranghi del rispetto. Un equilibrista , non c’è che dire,  un vero mago nelle acrobazie sul cavo teso.

Prendemmo definitivamente la strada di casa, imboccammo un vicolo angusto, largo non più di 2 passi. Dai balconi ci davano il benvenuto rumori di pentole e padelle assieme ai profumi di carne stracotta e sughetti mediterranei.  Le persiane mormoravano frasi a me poco meno che incomprensibili, le finestre erano occhi che curiosavano sui passanti. Una timida signora ci osservava di traverso incuriosita dai passi nel vicolo

Continua…

 
 
 
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