W. SHAKESPEARE - RE LEAR IV
così noi siamo per gli dei,
ci uccidono per gioco."
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Post n°371 pubblicato il 24 Gennaio 2011 da nagel_a
E le fantasie più fervide si dispiegano ovviamente tra le cornici delle esperienze più radicali e assolute. L'antico bilanciere che oscilla tra amore e morte. In questa danza che funambolica stringe in assedio le torri del significato, tentando l'espugnazione attraverso l'attribuzione del nome... ecco il trapezista che volteggia senza rete. L'orchidea sembra essere nelle sue carnosità di velluto, il fiore evocatore della sensualità femminile. Musa ispiratrice di dolcezze d'alcova. Ma solo un genio come Proust poteva inventare un fare cattleya, per evocare le imprese compiute in quella stessa alcova!
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IL REGNO DEL SENSO PROFONDO
"Oltre alla realtà empirica e banale c'era l'ambito dell'immaginazione, costituito da quello stesso mondo percepibile grazie alla vista, al tatto e all'odorato, ma con in più le schiere infinite degli spiriti e delle ombre. [...] Allora non mi capacitavo del fatto che la maggioranza assoluta dell'umanità appartiene al regno del senso profondo non in virtù del proprio sapere - dono assai raro - bensì della vita, della raggiante, viva sostanza, e che, dunque, accusarli di ignoranza era sciocco e assurdo. Invece di interrogatori, inquisizioni e tormenti, avrei dovuto osservarli e comprenderli. Osservarli con tenerezza e comprenderli con intelligenza"
A. Zagajewski - Due città
Comunque, signori, dovete sapere che per Proust, come la Nagel ha ben spiegato nel post, “far cattleya” assume il significato di fare sesso. Ora, la cattleya è un fiore: l’orchidea, per l’appunto, e tutto nacque da un’innocente orchidea appuntata sul vestito di lei (Odette, la protagonista femminile) che cadendo andò a finirle in grembo, così che quando lui fece per rimettergliela a posto si scatenò un inferno di lussuria.
Ora Nagel, ti invito ad una riflessione (e anche ad una presa di posizione, s’intende): Cosa vorrà dire, secondo te, se io vado in giro con un mazzolino di “Non ti scordar di me” infilato nella patta dei pantaloni?
Occorrerebbe accogliersi ponendo lo sguardo alla verità dell’essere e così superare quel processo di produzione interessato al solo segno dell’insincerità e del sentimentalismo amoroso a buon mercato.
Bisognerebbe adoperarsi, invece, a far ricorso alla logica della coerenza ed al pathos della verità che, senza ragione alcuna, segretiamo solo in cuore, perché assorbiti dalla totalità che ci fa paura senza poterla dominare.
La ricerca della verità dell’essere è l’unico segreto per cui varrebbe la pena di scoprirne gli effetti e, forse, liberarci da tanta angustia; se non altro, così allontanare il pesante fardello del vivere illusi di poter correre in sconfinate praterie del piacere. Ma più di tutto, dai “giochi linguistici che aprono orizzonti inusitati e segreti”.
Le parole hanno una necessità vitale di diventare vita e non “solo” gioco; cioè, è nullo (o falsificato) il pensiero che non discende e non si mescola con la creta della VITA, con i suoi significati più profondi: appunto, l’amore (nella sua accezione di vita) e la morte. Lieto di riscrivere tra le tue pagine. In quelle immediatamente precedenti ho colto una fine bellezza. Un caro saluto. Blue.chips