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Post n°77 pubblicato il 15 Aprile 2007 da donnesudestbarese
 

Milano e i cinesi.... noi!

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Al 31 dicembre 2005 le donne immigrate che avevano ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di lavoro (46,3%) avevano già superato le loro colleghe che avevano ottenuto il permesso di soggiorno per motivi familiari (44,9%).
E’ il dato da cui prende spunto Franco Pittau, coordinatore del Dossier Statistico Immigrazione della Caritas, nel suo ultimo studio sulle donne immigrate in Italia, presentato durante un convegno a Roma nella sede dell’Università Roma Tre.
Le donne immigrate, dunque, non solo hanno raggiunto le percentuali degli immigrati maschi (ora siamo al 50 e 50, mentre negli anni ’90 i maschi immigrari erano il 60% dell’immigrazione totale), ma hanno anche modificato il loro radicamento in Italia e i motivi della loro presenza.
Se nella fase pionieristica dell’immigrazione italiana le donne arrivavano nel nostro paese soprattutto per i ricongiungimenti familiari, ora arrivano per lavorare, studiare e anche per motivi familiari. Nel mercato del lavoro italiano rimangono comunque disponibili gli spazi tradizionali. Esiste a quanto pare una notevole rigidità e una notevole dose di ripetitività dei modelli.

Le donne immigrate continuano infatti ad essere inserite in misura prevalente nell’assistenza alle famiglie italiane. Si tratta di mezzo milione di donne, secondo le stime dell’Inps relative al 2005. Ma ci sono anche altre 250 mila donne se si tiene conto delle quote del 2005 e del 2006.
Secondo il “Sole 24ore”, le donne immigrate sarebbero invece 1.300.000 alle quali si dovrebbero aggiungere 1.700.000 di irregolari con un reddito sommerso di 8 miliardi di euro.
Le donne immigrate vengono viste ormai soprattutto come “badanti”, un termine che secondo Pittau, all’inizio era usato quasi come spregio, ora come una presa d’atto per il prezioso supporto che queste persone svolgono a favore delle famiglie italiane a fronte di una remunerazione tutto sommato contenuta.
“Queste donne – riflette Pittau – chiamate anche madri transnazionali, per sostenere economicamente le proprie famiglie,
hanno dovuto abbandonare la propria prole per occuparsi dei figli di altri, come facevano una volta le balie in Italia”.
Il problema non si deve vedere però solo dal punto di vista esistenziale (pure centrale), ma anche da quello economico e sociale. Il nuovo mercato del lavoro delle badanti e in genere nel lavoro di cura è infatti la dimostrazione dei ritardi del nostro welfare rimasto rigidamente legato a modelli di società che sono stati superati. In questo senso le donne immigrate svolgono sempre più spesso una funzione di supplenza, più che di integrazione.
Un segnale molto positivo, sempre secondo le analisi di Pittau (che spaziano dalla geografia dell’immigrazione al femminile, ai problemi del lavoro e della previdenza, a quelli più limite della prostituzione), è relativo ai matrimoni misti, un fenomeno in netta crescita. Questo fenomeno si colloca in una più generale trasformazione dell’istituzione matrimonio visto che – come rileva l’Istat – i 254 mila matrimoni del 2004 sono all’incirca la metà di quelli che si erano registrati in Italia all’inizio degli anni ’70. Nel contempo diminuiscono i matrimoni religiosi e aumentano le convivenze (500 mila nel 2004). In questo contesto appunto, crescono i matrimoni misti.
Ormai si può dire che un matrimonio su 10 è misto: 27 mila nel 2003 e quasi 32 mila nel 2004. Sempre in quell’anno, pur essendo gli immigrati meno del 5% sul totale della popolazione, i matrimoni con almeno uno sposo straniero hanno inciso per il 12,1%. Tra il 1992 e il 2004 i matrimoni misti sono stati complessivamente circa 226 mila.
Interessanti anche le disagregazione dei dati che Franco Pittau ci propone: nel 2003, un quinto dei matrinoni viene celebrato tra nubendi entrambi stranieri; un sesto riguarda uno sposo straniero con una donna italiana e più della metà si riferivano a matrimoni tra un italiano e una donna straniera. Gli uomini italiani, sempre secondo queste statistiche, preferiscono sposare donne provenienti da aree geografiche simili dal punto di vista culturale, mentre il 50% delle donne italiane sposa in egual misura africani o europei dell’Est.

(tratto da Redattore sociale)


 
 
 
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