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Egon Schiele "Ritratto di artista"

Post n°64 pubblicato il 12 Marzo 2009 da suede68
 

Egon Schiele, Ritratto di artista, SE, Milano, 1999

Per comprendere a fondo la poetica di uno dei più grandi pittori del '900, Egon Schiele (1890-1918), è necessario leggere questo libro che è una raccolta di suoi scritti: lettere, poesie, prose e un diario tenuto dall'aprile al maggio 1912, quando fu incarcerato. E' interessante anche per chi non è appassionato di pittura, perché le lettere, in particolare, rappresentano uno spaccato della Vienna dove contemporaneamente vissero Klimt, Kokoschka, Munch, ma anche Freud, Schnitzler, Loos, Schönberg, insomma la Vienna delle Secessioni e dell'Espressionismo in particolare, sia dal punto di vista artistico, musicale, architettonico, letterario, ma anche la Vienna che vide nascere la psicoanalisi.
Il tutore di Schiele scrive che era una Vienna che vedeva "la vita come una malattia che porta alla morte". Sicuramente questa descrizione ben rappresenta la breve esistenza del pittore.
Refrattario ad ogni insegnamento che non fosse pittorico, allievo di Klimt, amante dell'arte figurativa non accademica, non di maniera, ma concreta, quella che rappresenta i brutti, i malati, i pazzi, i corpi contorti, le dita deformi, le brutture del genere umano, i corpi nudi intrecciati fino allo spasimo, Schiele visse come dipingeva: sempre di corsa, sempre a caccia di denaro per avere anche un solo pezzo di tela sui cui dipingere, sempre ai limiti, fino ad arrivare all'arresto per aver convissuto in concubinato con la sua modella e non aver nascosto un disegno di nudo di fronte ad alcuni bambini che gli facevano da modelli.
La sua esistenza fu tragica fin dall'infanzia quando perse il padre e come tutore si ritrovò lo zio Leopold che fece di tutto per ostacolare la vena artistica del giovane Egon. Morì a soli 28 anni di febbre spagnola, tre giorni dopo l'amatissima moglie Edith, la quale era al sesto mese di gravidanza. Insomma tragedia nella tragedia: prima di morire dovette anche affrontare il dolore della perdita di moglie e figlio.


Il bello delle lettere è vedere il mondo con gli occhi di un artista ed è leggendole che ci si rende conto della differenza di percezione che c'è fra una persona mediamente "normale" e colui che ha il dono dell'arte. Schiele scrive che gli artisti fra di loro si esprimono con un linguaggio incomprensibile per gli altri ed è vero, i suoi scritti lo dimostrano. Dalle lettere trasuda l'urgenza del potersi "spiegare" pittoricamente al mondo, scrive a tutti chiedendo denaro su denaro per poter avere dei colori, delle matite, della carta e si arrabbia quando vende le sue opere, su cui egli ha tanto sudato e lavorato, per quattro soldi bucati.
La percezione che ha lui della natura, le sfumature di colore che descrive, gli umori della terra di cui sente gli effluvi, il sentirsi incarnato in un fiore, personalmente sono sensazioni che non ho mai provato, anche quando guardavo incantata un panorama meraviglioso. Schiele scrive che l'artista è un eletto perché Dio gli ha fornito il più raro e prezioso dei doni. Leggendo le sue righe, sono sincera, ho profondamente "invidiato" questo dono e questa compenetrazione fra sentimento, percezione e natura.


 
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