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Le rappresentazioni

Post n°8 pubblicato il 21 Maggio 2008 da suggestionabili

La pianista

 La protagonista, Erika, insegna al Conservatorio e dà lezioni private di pianoforte. Il padre malato di mente è stato internato in un manicomio ed ella vive con la madre in un appartamento viennese, nonostante tra loro le liti siano frequenti e non manchino reciproci gesti violenti.
Mobili vecchi e luce fioca imprigionano le due donne in una dimensione quasi atemporale, una vera e propria palude di sentimenti.
Lo spettatore, come le protagoniste, ne resta impantanato, partecipando alla scena con un vissuto emotivo fortemente angosciato, come pur angoscioso e angosciante è l’essere invischiante del legame tra madre e figlia. La soffocante morbosità dell’atmosfera familiare esaspera i vissuti legati alla dimensione di dipendenza e autonomia, e sin dalle prime scene è possibile percepire la forte tensione tra creatività e distruttività, sadismo e masochismo, desiderio d’intimità e morte, perversione sessuale, controllo repressivo e psicosi.
L’immagine dell’anziana madre in vestaglia si ricompone nel nostro olfatto e ci pare di sentire l’odore di quelle stanze, odore di aria consumata, odore di pelle non più giovane. Persino la preistorica televisione perennemente accesa sembra odorare di morte, di decomposizione.
Persino le lenzuola del letto matrimoniale, in cui dormono le due donne, odorano di stantio. Questo pone la protagonista, all’interno della coppia madre-figlia nel ruolo di sostituto della figura paterna.
Cingendole in un sogno privo dell’ossigeno sufficiente per essere sognato da due persone, quelle stesse lenzuola definiscono uno spazio in cui i confini del Sé sembrano costantemente strabordare nell’altro.

Strisciante si insinua la percezione di uno spazio intimo (la casa), poco pulito, sporco, sudicio, nonostante l’evidente attenzione al bon ton, alla “forma” di chi vi si muove all’interno.
In seguito capiremo più profondamente come questi non siano solo spazi fisici condivisi, ma luoghi dell’anima, profondamente connessi all’esperienza di “ciò che è intimo” per la protagonista.
Squallore sotto varie forme. Squallore dissimulato dalla presunzione di un elevamento spirituale e sociale, attraverso” l’esercizio dell’arte della musica”.
Erika compie degli atti di automutilazione verso se stessa, forse perché avverte dentro sé la forte pressione esistente e percepisce la sofferenza fisica e la vista del proprio sangue come una distensione, l’unico movimento verso il piacere che possa permettersi.
In questa ottica le lesioni che si infligge andrebbero lette come dei tentativi di espansione più che come l’espressione di tendenze autodistruttive.
Istruita per diventare una donna di successo, è costretta a ricadere nella mediocrità ed anche il suo modo di fare esperienza dell'amore dovrà scadere in un’insoddisfacente e devastante perversione.
Il modo in cui si muove Erika sembrerebbe esprimere una certa austerità, una durezza, sostenuto da un vestire impregnato di rigore e severità, senza tempo e senza colore, dentro il quale si perdono la sua identità e la sua femminilità esattamente come si sono persi dentro il rapporto con sua madre.
Distaccata ed impietosa con i propri studenti, talvolta crudele, questa donna appare inserita in una scena in cui i contatti col mondo esterno sono limitati e contingenti al suo essere una musicista molto apprezzata, in un ambiente elitario e moderatamente snob. Eppure, quando finisce di lavorare, talvolta va nei club dove si guardano video hard, oppure, si reca nei drive-in, dove spia le coppie appartate in macchina
, si rifugia in un mondo di fantasie sessuali alimentate da immagini di cinema porno e di peep-show frequentati di nascosto.
Ad un concerto in una casa privata, è avvicinata da Walter, il quale resta affascinato dalla sua musica e probabilmente dal ritrarsi, dall’essere scostante e inavvicinabile di lei. Tuttavia ciò non fa che attrarlo maggiormente. Walter, è forse il primo che riconosce nella musica di Erika, oltre alla sua bravura, un riflesso della sua stessa anima, ed il suo amore per l’insegnante riesce faticosamente a infrangerne l’apparenza controllata e quasi statuaria.
Erika vorrebbe dettare le regole di quest’amore e le mette per iscritto in una lettera che lascerà il giovane Klemmer sconvolto e turbato. In essa, egli vede distrutto il proprio amore dalle richieste sconvolgenti di una donna che non riconosce.
Non capisce che la lettera è un'ultima disperata richiesta d'amore e che non desidera realmente essere picchiata. Ferito nel proprio orgoglio, egli sfoga la propria rabbia, picchia e violenta la donna di cui era stato sino ad allora teneramente innamorato, come lei stessa gli ha scritto, non potendo capire nella propria furia narcisistica, che quelle fantasie descritte erano opposte ai desideri sottostanti.
Erika viene sopraffatta e l'ultimo tentativo di trovare finalmente l'amore viene distrutto in modo drammatico.
Il rapporto tra i due agisce proprio come uno squarcio nel rivestimento esterno di lei, che consentirà alle sue fantasie più nascoste di farsi strada, trascinandosi dietro come in un vortice, la sofferenza, e la solitudine infinita racchiusi nell’esile, algido corpo.
Non credo sia un caso che il film si concluda proprio con una scena che trasforma questo squarcio concettuale e metaforico in una coltellata vera e propria che la protagonista si infligge nel petto
. La fine del film è improvvisa e silenziosa come il ritorno che Erika fa alla propria solitudine.Erika è stata usata per fini narcisistici da una madre desiderosa di elevarsi socialmente grazie alle doti di musicista della figlia.
Possiamo supporre che la dedizione e il rigore che l’hanno caratterizzata nel conquistarsi la fama di apprezzata concertista non siano altro che un tentativo di assecondare i desideri materni. Per farlo ha dovuto essere la migliore.
Definire il ruolo che la sottomissione al genitore svolge nella formazione del carattere di Erika permette di rilevarne l’azione nella componente masochistica prevalentemente relativa al comportamento sessuale.
La condizione di difficoltà inerente alla propria identità e gli interrogativi relativi alla propria esistenza forse passando attraverso la sofferenza del corpo possono costituire un tentativo di risposta, l’unico modo di “sentire, sentirsi” possibile.
In genere la condizione psicotica conclamata si accompagna ad allucinazioni, deliri, pensiero illogico, ma molte persone con organizzazione psicotica di personalità possono non mostrare segni evidenti della loro confusione interiore di base.
Capire il tipo di meccanismo di difesa in atto può aiutare a comprendere meglio la necessità di proteggersi da un livello di terrore tale, da far apparire perfino le distorsioni che le difese stesse creano, un male minore, come nel caso delle automutilazioni. L’incapacità di prendere le distanze dai propri problemi psicologici e considerarli oggettivamente, l’utilizzo d’attività intellettualistiche nel tentativo di compiere una risalita narcisistica ed un affine mascheramento della confusione profonda dell’identità, trovano nell’espressione musicale una stampella funzionale che sino a quando il controllo imperante e la rigidità del muoversi nel mondo prevalgono, ben compensano il funzionamento sociale di Erika.
Ma che sono destinati a sfumare e fallire miseramente quando la donna incontra un amore che esige da lei un’intimità che non può permettersi.
Nella misura in cui si sottomette il bambino guadagna intimità col genitore, ma impara che per sperimentare questa condizione deve silenziare parti di Sé.
Ciò dà origine ad uno stile comportamentale in cui è necessario negare i sentimenti.
L’evitamento dei danni derivanti dall’essere inglobata assorbita, il bisogno di essere speciali, il bisogno di isolarsi dalla realtà tanto esterna quanto interna, il bisogno di dissociarsi dai propri sentimenti, mi avevano indotto a pensare ad un carattere schizoide.
A dire il vero stento a destreggiarmi nella comprensione di questa sfumatura, la sfumatura cioè tra la negazione dei propri sentimenti e la dissociazione da questi stessi.
Intuisco che la scena in cui Erika incontra il suo studente nel peep-shop è determinante per uscire dall’impasse, ma non saprei circoscrivere lo spazio tra le due modalità.
Nella scena dello studente di cui sopra o in quella in cui fa in modo che un’altra sua allieva si ferisca e non possa così suonare in un saggio di musica molto importante è possibile cogliere la difettosità del Super-Io.
La dissociazione dalle proprie responsabilità e la scarsa (partecipazione?) riflessione morale sui mezzi utilizzati per raggiungere i propri fini (al saggio, Erika suonerà al posto della sua studentessa) sono considerate un indice diagnostico cruciale di psicopatia.
In funzione di questo abbiamo inquadrato l'area psicotica e il tratto rigido, ma soprattutto abbiamo parlato di carattere psicopatico.
In genere, il bambino che da adulto svilupperà un carattere psicopatico s’illude di essere realisticamente appagante per il genitore di sesso opposto ed un buon alleato contro un adulto del suo stesso sesso.
Qui Erika è chiamata però a sostituire il padre e non il genitore del sesso opposto.
Questo potrebbe, forse essere una delle cause della forte conflittualità e confusione relativa ai sentimenti per la madre che sfocia nel tentativo di avere un rapporto sessuale con lei.
Il bisogno di mantenere sempre il controllo su tutto confligge col bisogno di dipendere da qualcuno (tendenza orale?), tuttavia non solo sono presenti entrambi, ma mettono in luce la paura di essere controllati.
Essere controllati vuol dire essere usati e nella storia di Erika questo ha un significato ben preciso pregno di tutte le lotte sostenute con la madre per il predominio (autonomia).
Quando l’appassionato Walter la bacia e le dice “ti amo”, lei replica: “Io non ho sentimenti, e anche per un giorno non prevarranno sulla mia intelligenza” di fatto, Erika vuole essere padrona di quel rapporto nascente, dominarlo per non esserne dominata (controllo onnipotente).
La negazione dei sentimenti è una negazione del bisogno, facendo si che siano gli altri ad avere bisogno di lei, evita di dover esprimere il proprio.
La pianista utilizza la propria parte meglio compensata per rispondere a questo schema. Insegna pianoforte e nonostante abbia un carattere intransigente e severo è molto ricercata proprio perché il suo talento e la sua bravura di musicista sono pubblicamente riconosciuti. Questo, raccordandosi con la forte dissociazione dai sentimenti e dalle sensazioni del corpo, proprie del carattere psicopatico, le consente di sentirsi in una posizione di rilievo rispetto agli altri.
Possiamo dire che la donna faccia ricorso anche all’identificazione proiettiva, e a sottili processi dissociativi?
Nella visione kleiniana, l'identificazione proiettiva rappresenta il primo caso di relazione oggettuale aggressiva.
Attraverso di essa è come se cercassimo di eliminare le nostre parti cattive attribuendole all'altro. Nel contempo, una sorta di consapevolezza inconscia ci lascia intuire che tali parti cattive dell'altro, in realtà, sono nostre, e quindi non è possibile distanziarsene.
Il bambino aggredisce l'oggetto cattivo e lo controlla dal di dentro per impossessarsene. La mamma diventa cattiva, ma non è più vista come una persona "altra", il fatto che lo sia lei rende più accettabile esserlo, ma se da un lato questo può essere rassicurante e ridurre l’angoscia, dall’altro anziché una separazione, (e relativa individuazione che possiamo tradurre in termini di confine corporeo e psichico) si verifica un legame ancora più stretto, confuso, persecutorio, disperante.
Le parti del sé che il bambino proietta, sono a loro volta un’identificazione pregressa di parti che la stessa madre ha proiettato sul bambino, che l’hanno portato a sentire come proprie parti della madre?
La profonda confusione tra ciò che è interno ed intimo, e ciò che è esterno e minaccioso che risiederebbe in questi rimandi e che porta la pianista ad esercitare un controllo smodato per preservare se stessa, mi fanno supporre che sia così.
L’impermeabile che indossa ne sottolinea la non permeabilità al mondo esterno, la profonda opposizione ad un qualsiasi tipo di contatto così come i suoi guanti di pelle neri.
L’intento, come nel ricorso al controllo onnipotente, mi pare sia quello di procurarsi un rivestimento cutaneo esterno più saldo e resistente.
Il modo in cui Erika separa parti di sé indesiderate, ed espelle tali parti per farle provare all'altro, (che spiegherebbe anche la forte sensazione di angoscia vissuta dallo spettatore del film) è un controllare dal di dentro evitando la sensazione di essere separato, un impossessarsi dell'altro per distruggerlo e non perderlo, in un tipico rapporto sadomasochistico. In tal modo emozioni dolorose tipiche di una relazione a due, quali separazione, dipendenza, ammirazione con conseguente invidia, possono essere escluse dalla consapevolezza.
Si tratterebbe, è vero di un meccanismo adattivo primario e quindi evolutivamente arcaico, ma permetterebbe, vista l’incapacità di esprimere verbalmente le proprie emozioni, una qualche forma di comunicazione, una qualche modalità di contattare l’altro, evocando in lui il sentimento provato.
Si può dire che Erika faccia ricorso anche all’acting out, trasformando il suo senso di impotenza e vulnerabilità in un’esperienza di azione e potere.
E’ quello che fa quando sente che la sua allieva ha attirato l’attenzione del suo spasimante, oppure quando il giorno del saggio quest’ultimo la saluta con distacco e non curanza ed ella si sferza una coltellata.
“Non sarai tu a toccarmi e quindi a ferire la mia anima, i miei sentimenti, ma sarò io a ferire il mio corpo”, il corpo sembrerebbe cioè temere meno la sofferenza.Per dirla in altri termini "Tutto ciò che era direttamente vissuto si è alienato in una rappresentazione

 
 
 
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