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Elezioni 2008. Io sono qui. E tu dove sei?

 

 

« Messaggio #36ATTO SECONDO (O TERZO?) - 2008 »

SONO QUI

Post n°37 pubblicato il 14 Dicembre 2007 da suniz
 

Sono qui.

Che a ben guardare il qui al momento andrebbe tralasciato, perché il posto viene dopo, e non perché il posto non sia importante, anche se di solito è così: perché in realtà non è quasi mai il posto che conta, ma la compagnia, o semmai gli eventi che si presentano, ma non in questo caso. In questo caso, e voi amici lo sapete, il posto è fondamentale.

E ad essere proprio precisi nemmeno io, il soggetto sottinteso, nemmeno lui è importante; perché quello che vorrei non è tanto parlare di me, anche se scrivere in un modo o nell’altro è parlare di se stessi, ma piuttosto descrivere una condizione, che sì, è la mia attuale ma forse è più universale, e vorrei trasmettere questa generalizzazione degli eventi della vita.

Ma siccome sono io che scrivo ed è di me che parlo allora partiamo da questo soggetto, io, anche perché partire da sono, dal verbo essere che è la parola che vuol dire tutto e niente, filosofia e grammatica e storia e letteratura, non sarebbe fattibile, porterebbe con sé parentesi troppo ampie. E avendo detto di non voler cominciare da qui, siccome le parole nella frase sono tre –di cui una sottintesa- non resta proprio che lei, appunto, io.

Io, dunque, stasera sono uscita con Arthur per andare ad un concerto di amici suoi, in banlieu. Anche abbastanza bravi, tra l’altro. Ma ero in un posto chic con gente chic a parlare di cose chic, e forse anche sulla parola chic andrebbero fatte delle precisazioni ma non importa. La sostanza è che ero fuori contesto. Ma non ha importanza nemmeno questo, perché suni in qualche modo si adatta, ed ho finito per chiacchierare con Arthur e Matthias, che in fondo è un simpatico guaglione. Il punto è che mentre tornavo a casa, in metro, mi ha assalita la Domanda, lei e tutte le sue compagne che la seguono dappresso, e sono così aggressive e persistenti che mi soffocano.

E seduta su quel sedile con la testa invasa da punti interrogativi di tutte le forme mi sono detta che mai ce la farò da sola. Alla fermata qualunque di una linea qualunque, in una zona povera di Parigi, guardavo la gente ancor più povera della zona che scendeva dalla metro e mi domandavo tra quanto tempo sarò anche io così.

Non mi sono mai sentita molto lontana dai barboni. Forse è per questo che distolgo lo sguardo più di altri, perché mi sembra labile e sottile il confine che divide me da loro e loro da me. Non mi sembra un destino così impossibile se non sai dove stai andando. Anche se lo sai, a volte, ma è un altro discorso che scatena problematiche politiche e sociali di cui non intendo occuparmi in questa sede, ora.

E insomma, mi è venuta tristezza. Mi è venuta voglia anche di condividerla, pensando che magari sarebbe stata più leggera.

Ma ora mi chiedo se una qualunque delle persone che ho in mente in questo momento leggerà mai queste righe, se saprà spiegarle e darmi una chiarezza, alla fine, perché chiarezza è l’altra parola chiave, quella che non fa parte della frase perché è dispersa, è l’obbiettivo a cui tende l’io di cui sopra, me stessa. Chissà se tu, o tu o tu che ho in mente ora state leggendo e capite che vi parlo.

Chissà se tu, che nonostante l’età relativamente giovane sembri avere già chiare tutte le risposte, o tu, che come me di riposte non ne hai e avanzi a tentoni, o tu che bene o male tiri avanti e ti barcameni, sapete darmi la risposta di cui ho tanto bisogno, talmente tanto che non la riesco neanche a cercare, perché l’ansia mi blocca, mi fa rimanere immobile e annichilita dalla paura di non trovare, alla fine, quella stessa risposta succitata che è il motore di tutto.

Chissà se tu, compare amato che cambi in un modo vuoto e amorfo che non mi piace, sapresti spiegarmi con la tua calma sbagliata cosa è bene fare; o se tu, compagna di folli serate e chiacchiericci sciocchi e futili ed altri intensi, riusciresti con la tua risata a distogliermi da questi pensieri; o se tu, amico di sempre che esplori il mondo più e meglio di me, m’indicheresti la giusta prospettiva per dare alle cose un peso non eccessivo; o se tu, amica e sorella di adolescenza e giovinezza, tu che forse meglio di tutti conosci le mie luci e le mie ombre, arriveresti a comprendere e sviscerare l’interrogativo che mi soffoca; o se tu, caro amico perduto, sapresti come prima ridarmi tranquillità con la sola forza di un’allegra frase tipicamente latina. Forse basterebbe questo, qualche parola.

Ma no, non è vero, non cambierebbe. Perché le parole sono traditrici, sono qualcosa che non esiste, segni privi di contingenza e materialità incisi nel vuoto di un foglio senza scopo e che ciononostante io amo al punto di sognare di dedicare loro la mia vita. Forse è questo il problema, amo ciò che non ha importanza e trascuro quanto avrebbe un’utilità.

Ma tutto questo è secondario, in fondo.

Ci tengo a precisarlo per non trasmettere impressioni sbagliate: non sto male, affatto. Nemmeno bene, ma non male. Sono un po’ ibernata, rannicchiata su me stessa in attesa che le domande vadano via perché non so, non so davvero rispondere, non so dove andare o cosa voglio o dove. Cerco di assorbire quel che riesce a passare attraverso la barriera delle mie braccia raccolte intorno al capo, inalo luci e colori e rumori e risate di questa città meravigliosa –ed ecco dunque come promesso il qui, Parigi la bella- senza la quale perderei quel poco di senso che riesco a dare alle cose. Le domande restano ma resta anche lei, maestosa tanto da sembrare eterna anche se non lo è.

E tutto si allegerisce.

Ma voglio una direzione da prendere, cazzo.

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