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Taglia Trentotto

Il mio primo acido libro. Questo blog ne è la continuazione

 

 

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Non è un paese per vecchi

Post n°14 pubblicato il 25 Gennaio 2012 da tagliatrentotto
 

Qualunque cosa io sia adesso, non mi piacciono più le Barbie. Da quando faccio tre pasti regolari usando coltello e forchetta, io mi sento senza dubbio un'adulta con troppe cose da raccontare, alla stregua di una escort con i suoi turpi segreti. La parola Donna, che in tanti hanno provato invano ad affibbiarmi, in questo preciso istante mi calza a pennello. Mai più cercherei di scrollarmi di dosso i miei trentanove anni, azzerando con un filler i segni delle mie espressioni schifate, o regalandomi un toyboy che frequenta il liceo. Ci tengo che la gente riconosca la mia età reale e la mia statura morale che derivano dall'aver sconfitto un drago -o un maiale ripieno- se preferite. Pretendo che alla banca mi chiamino Signora, e se in conto, per qualche ragione, io avessi accumulato degli zeri degni di rilievo, mi comprerei un passato che passa inosservato. Non vedo l'ora di avere la mia mezza età, finalmente, il mio pezzetto di esistenza beige con una villetta e un giardinetto, perché l'altra mezza è stata impiegata per sperimentare. 
La mia giovinezza l'ho abusata di esplorazioni balorde, stando attenta a non sconfinare mai nel buon vivere educato e discreto di mia madre, giusto perché la gente non potesse dire Tale madre, tale filglia, che qui porta una gran sfiga. E non somiglio a mia madre, infatti, addosso a me c'è sempre del fluo, almeno nei calzini. Ora, quindi, mi ritengo più che a posto verso coloro che sostengono che bisogna operare le proprie scelte, anche sbagliate, e assumersene le responsabilità. Tuttavia, tale pauroso pragmatismo alla rovescia per me termina qui, alla soglia dei quarant'anni, ancora in tempo per trovare un marito ragioniere. Ho utilizzato l'intera dose di libero arbitrio a mia disposizione, credendo nella solitudine delle mie azioni, ma ora sento il desiderio di ricevere del coaching, o di abbandonarmi allo spudorato lobbismo all'italiana che manovri i miei gusti in fatto di politica, ma anche i miei acquisti al supermarket. Quando ero una bulimica cult, ho sperato che qualcuno spezzasse le ali della mia apparente indipendenza, incatenandomi a qualche lampione, ma nessuno si è fatto avanti. Ora i tempi sono maturi. Dentro di me è tutto calmo e mollo. I nervi pazzi della magrezza sono alquanto sedati e non reclamano ulteriori sacrifici oltre la mia taglia trentotto. Fuori di me, tutto succede, e per una volta non sono io a fare notizia. Possiamo lasciarci andare. Possiamo affidarci allo stato e al parastato. Decideranno tutto per noi, da quello che leggiamo sui giornali a quello che ci passa la tv. No, non è più la Rai. E non ha senso pensare di pensare, o di costruirci un futuro autonomo, per quanto deviato esso sia, poiché c'è qualcuno che l'ha già fatto per noi. E così io voglio vivere, matura ma neonata, completamente guidata da una fosca sovrastruttura, un cielo grigio ed irreversibile.
 
La libertà di lottare contro il nostro corpo è alquanto strana. A noi ragazze industriose, ci dà l'impressione di cambiare il corso della nostra vita. Ma nella dieta si corre sempre in tondo e ci troviamo poi governate dai soliti salami. Tanto vale chiudere la guerra, accogliere demagogie con grazia, e aprire una bottega di piante carnivore. E grazie a questo tye-die di lassismo e nichilismo soft, io smetterò, appena il mio buon senso me lo permetterà, di infilarmi perfettamente in un cinqutasche.
Sto invecchiando e non me ne pento (la mia vecchiaia è sopraggiunta all'improvviso quando il mio dermatologo mi ha proposto di spararmi del botulino in mezzo agli occhi). Dirò addio alla fissa della figona ad ogni costo: voglio tornare alle origini ed io alle origini assomigliavo ad uno scimpanzè. L'ho scoperto tanti anni fa, quando ancora avevo un padre che mi dettava cosa fare. Al circo mi chiese di posare a fianco di una scimmia e io ebbi paura di avere una sorella gemella, solo più salterina. La Polaroid confermò la vile parentela. Per fortuna, con tutte quelle epilazioni, non diventai mai un gorilla.
Invece ero una ragazza da invitare fuori il sabato sera e spappolarla sui divanetti di qualche locale a suon di cocktails alla fragola. E se le tette mi uscivano dal top, potevano passarmi per Amy Whinehouse, un prodotto della suburbia talentuosa che a volte si riscatta. Lo skinny dei miei fianchi gioiva di un metabolismo discotecaro e movenze brasiliane. Quella era la summa della mia persona: una schizzofrenica profumata di caipiroska. Se c'era qualche drink di troppo, io aggiustavo tutto con due dita in gola nel wc, non temendo neanche per un attimo di apparire come una frequentatrice di cessi pubblici. Ballavo tutti i balli perché forse volevo cambiare il mondo. Adesso ho un cane e un'utilitaria tranquilla che supera tutte le revisioni. Per questa ragione, applaudo alle cose che stanno apparentemente al loro posto, e che pur evolvendosi rovinosamente sopra alle nostre teste, sono sempre uguali. Ho chiuso con la Saturday Night Fever e il divieto assoluto agli zuccheri. Ora vorrei riposare e svegliarmi alle feste attorniata dai parenti. Mi rivolgo dunque alle potenti consorterie che deviano impercettibilmente il fluire dei nostri pensieri, che facciano della mia vita una buona domenica borghese e tiepida, dove non si vota e non si sgobba per rimanere magri. Non a caso, la dieta è sempre un buon proposito del lunedì.
L'ultima abbuffata che feci fu alla discarica del paese dopo il giorno di lavoro n. 1242. Ero troppo impacciata per tornare a casa mia con tre cartoni di pizza e due lattine di coca, dicendo alla borgata che era tutto per me, per curare la mia depressione. Bisogna sempre nascondere una malattia ai propri vicini. Quei poveri vicini, forse troppo vicini, però così lontani, che hanno visto tette nude affacciate al balcone e subito mille sciacquoni di cibo scaricato nel water, ora pretendo di lasciarli fuori dalla mia vita. All'ecocentro mi mescolo alla spazzatura e mi chiedo Perché non voglio assomigliare a mia madre? Dopotutto non mi ha fatto nulla di male.
Che i miei giorni fortunati siano punteggiati di fini pranzi al ristorante della Piazza del Popolo, di fronte al Duomo di Oderzo, tutti noi freschi di messa e di amore. Bisogna sempre esibire il benessere se l'hai salvato dalla discarica.
Avrò la erre moscia e mi chiamerò Ludovica. In fondo fa sempre rima con fica. 
 

 
 
 
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