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Post N° 32

Post n°32 pubblicato il 15 Settembre 2005 da unaqualunque_s
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Manlio parlava con Elsa, e solo ogni tanto lanciava un breve sguardo alla moglie svizzera.
Martine muoveva a scatti, seguendo il moto degli occhi troppo sporgenti e troppo sgranati.
Minuscola, magra, rugosa: una tartaruga con un collier di brillanti.
Beveva.
Non adesso, perchè Manlio era lì a sorvegliarla.
Bevava sola, mentre lui operava.
Parti, raschiamenti, impianto ed espianto di ovuli, prolassi uterini, preferibilmente in cliniche private.
Manlio le era affezionato, se la portava appresso da vent'anni come un pupazzetto a molla.
Sembrava proprio che l'avesse comprata in un negozio di giocattoli.
Il coro degli amici diceva: "Che ci troverà?"
Io non trovavo niente di speciale in lui.
Martine era un'ottima padrona di casa, cucinava indifferentemente gigot d'agneau o amatriciana, e non aveva opinioni.
Ti abbuffavi e ti scordavi di ringraziarla, non si ringrazia un pupazzo a molla.
Naturalmente Manlio la tradiva; "naturalmente" diceva Elsa, "un uomo così brillante, sanguigno, con quell'anoressica alcolista".
Li guardavo, facendomi largo tra le figure che avevo davanti, e ora pensavo che l'avrebbe tradita volentieri con mia moglie.
Naturalmente.
Elsa era così desiderabile, piena di capelli, di carne turgida, con quel sorriso leggermente impreciso, quei capezzoli appesi addosso come un invito.
Era troppo spiritosa con Manlio, stasera.
Era il suo ginecologo, le faceva il Pap-test, le aveva messo la spirale.
Se l'era scordato?
Lui senz'altro non l'aveva scordato.
Il sigaro infilato tra i denti, gli occhi infiammati come tizzoni.
E il pupazzetto lì in mezzo che tirava su il fumo dalla sigaretta al mentolo.
Andai a prendermi un altro bicchiere di vino, sfiorai il raso rosso di Elsa.
Manlio sollevò il suo bicchiere in aria, con un gesto che voleva essere d'intesa.
Vai dove devi andare, Manlio.
Dritto nel magnanimo culo degli insulti.
Hai le camicie di sartoria, con le cifre stampate sul taschino, ma hai la pancia, dai tempi dell'università hai messo su una bella riserva.
E che vuoi?
Vuoi scoparti mia moglie, panzone?
Manlio era il mio migliore amico.
Lo era stato e lo sarebbe rimasto, lo sai.
Un vitalizio affettivo che il cuore mi ha imposto senza nessuna ragione precisa.
Raffaella si era scatenata, muoveva le grosse anche nel caffettano turchese colmo di ricami, accanto a Lodolo, il padrone di casa: sguardo spinellato, camicia stropicciata, come un ospite povero.
Livia, completamente andata, i capelli buttati sul viso, le bracci ain alto, shakerava i suoi monili etnici, tutta protesa verso Adele, stretto in un tubino aragosta, che si dimenava colo con le spalle e la testa come una liceale al primo ballo.
I mariti le ignoravano, leggermente discosti, affossati dentro una delle loro formidabili discussioni politiche.
Giuliano, quello lungo e precocemente incanutito di Livia, era incurvato su Rodolfo, quello di Adele, il brillante civilista che nei tempi morti recitava in una compagnia amatoriale e che in un'altra estate ancora a venire avrebbe divorziato dalla povera Adele, chiudendole con accanimento forense i rubinetti dei privilegi da un giorno all'altro, senza pietà e senza vergogna.
Ma la vita è soffice perchè si dipana nel tempo, e ci lasciail tempo per tutto.
Adele quella sera, lontana dal suo futuro, scuoteva la testa e mostrava, ora l'uno, ora l'altro, gli orecchini a cuspide che le guarnivano i lobi.
"Vieni, chirurgo!" mi gridò.
Scavalcai con lo sgurado il muro di teste che avevo davanti e incontrai per un attimo gli occhi di tua madre.
Anche lei doveva essere almeno un bicchiere oltre la soglia, gli occhi le luccicavano miopi.
In ritardo si portò una mano sulla bocca per catturare un piccolo sbadiglio.
Difficilmente ballo, quasi semrpe mi tengo ben discosto dall'aggressione della musica a tutto volume.
Ma se proprio capita, mi piazzo nel mio metro quadrato e non mi sposto di lì.
Chiusi gli occhi e cominciai a oscillare, le braccia inanimate lungo i fianchi.

 
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