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Post N° 43

Post n°43 pubblicato il 22 Ottobre 2005 da unaqualunque_s
Foto di unaqualunque_s

Erano le sei, avevo un buona anticipo sui miei impegni di lavoro.
Mi fermai a bere un caffè nel solito bar.
Sarebbe stato come tornare in un bordello al mattino presto per un ombrello scordato, e scoprire dietro la prostituta che ci ha appagato nella notte una donna in ciabatte, assonnata, e senza nessuna attrattiva.
Fu sorpresa di vedermi.
Se ne stava lì trasecolata e sorridente nel vano della porta e nemmeno mi diceva di entrare.
"Come mai a quest'ora?"
"Così."
Mi prese una mano e mi tirò dentro: "Vieni."
Aveva smesso di temermi.
Era bastato un piatto di spaghetti.
Mi aveva già assorbito nella sua intima normalità, come la scimmia del poster, come il cane cieco.
Le finestre erano spalancate, il giorno penetrava nella stanza.
Le sedie erano capovolte sul tavolo e il pavimento a tratti brillava d'acqua.
Italia aveva già rigovernato.
Aveva addosso l'orgoglio di quel lavoro compiuto, e nello sguardo lo stesso lucore del pavimento.
Io, invece, ero scontento, sfibrato.
"Spengo il ferro."
E si diresse verso un'asse da stiro aperta in un angolo dalla quale pendeva uno spicchio di cotone celeste, forse un grembiule.
Era già vestita per uscire, ma non si era ancora truccata il viso.
I suoi occhi slavati mi carezzarono.
Dalla barba lunga, dalla giacca sgualcita, le venne facile capire che non avevo dormito in un letto.
"Vuoi farti una doccia?"
"No."
"Vuoi un caffè?"
"L'ho già preso al bar."
Sprofondai sul solito divano.
Lei prese a tirare giù le sedie intorno al tavolo.
I capelli legati in una coda breve e sfilacciata le spogliava la fronte bombata.
Provai a ricercare nella mente l'unica immagine che volevo conservare di lei, quel corpo confuso, sottomesso.
Ma la donna che avevo davanti era troppo distante da quell'immagine.
Struccata, Italia aveva la pelle di un biancore polveroso, che si arrossava sotto gli occhi, sul naso.
Ed era più bassa del solito, calzava un paio di scarpe da ginnastica nere, di stoffa.
Venne a sedersi davanti a me.
Forse si vergognava che l'avessi sorpresa disadorna, nella sua normalità casalinga.
Le sue mani erano arrossate, cercava di nasconderle, stringendole l'una dentro l'altra.
Pensai che era molto più attraente così, molto più pericolosa.
Era senza età, come una suora.
E anche la casa ora mi ricordava una di quelle chiese che s'incontrano nelle località di mare.
Chiese moderne, senza affreschi, con un Gesù di gesso e fiori fasulli in un vaso senz'acqua.
"E' tua la casa?"
"Era di mio nonno, ma prima di morire se l'è venduta. Io sono salita per dargli una mano, si era rotto il femore, poi sono rimasta, ma devo andarmene."
"Di dove sei?"
"Di giù, del Cilento."
Il cane attraversò la stanza e venne ad accucciarsi ai piedi di Italia.
Lei si curvò.
La sua mano percorse il pelo della testa.
"E' stato male stanotte. Forse ha mangiato un topo..."
Mi avvicinai alla bestia.
Si lasciò palpare senza fatica, stendendosi sul dorso e allargando le zampe.
Mugolò appena, quando affondai le dita in una zona più dolente.
"Non è niente, basta un disinfettante."
"Sei un dottore'"
"Un chirurgo."
Le sue gambe erano lì, a pochi centimetri da me.
Faticai a divaricarle.
Baciai le cosce bianchissime, quasi azzurre.
Mi spinsi con la testa nello spazio tra l'una e l'altra, erano fredde anche se sudavano.
Italia si piegò su di me con il suo respiro.
Sentivo la mia nuca che si bagnava della sua bocca...
Mi sollevai di scatto urtando contro il suo volto.
Tornai a sedermi sul divano.
Avvicinai le mani, le strindi forte l'una all'altra.
Fissai gli occhi su quelle dita annodate.
"Io sono sposato."
Non la guardavo, la intuivo, in una zona fuori fuoco, nella fascia estrema dello sguardo.
"Non verrò più, sono tornato per dirtelo..."
Aveva il capo chino e una mano ferma sul naso, forse l'avevo colpita malamente.
"...Per scusarmi."
"Non ti preoccupare."
"Io non sono uno che va in giro a tradire sua moglie."
"Non ti preoccupare."
Dal naso le colava un rivolo di sangue.
Mi avvicinai a lei e le sostenni il mento: "Tieni indietro la testa."
"Non ti preoccupare, perchè ti preoccupi tanto?"
Un sorriso inespressivo le ingentiliva il volto.
Dietro tanta clemenza adesso mi sembrava di raccogliere una sconfitta.
Le spingevo quel mento in aria, volevo vincere, volevo vincerla.
"Scopi spesso con la gente che non conosci?"
Non si scompose, ma aveva ricevuto un colpo.
Spostò la mira davanti a sè, e non so in quale orto rotolarono i suoi pensieri.
Il suo sguardo era colla, come quello del suo cane.
No, non avevo alcun diritto di offenderla, aprii le mani e mi nascosi lì dentro.

 
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