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Post N° 44

Post n°44 pubblicato il 22 Ottobre 2005 da unaqualunque_s
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Dimmelo che non è vero, dimmelo che solo con me ti torci, e diventi grigia e vecchia come un serpe moribondo, solo con me hai il coraggio di morire.
Crevalcore le aveva rubato una delle sue pantofole fucsia e adesso la teneva in bocca senza morderla.
"Scusa."
Ma lei non mi ascoltava più.
Forse un giorno si ucciderà, forse si toglierà dal mondo, non per me, ma per un altro simile a me, per un predatore che atterrerà sul suo corpo con la stessa voracità, con lo stesso disamore.
"Devi andartene" disse, "devo andare a lavorare."
"Che lavoro fai?"
"La puttana."
E adesso era vuota come la scoglia di un serpe dopo la muta.
Ho negli occhi il viola di quella sciarpa cangiante che ti giri intorno al collo, Angela, quella che rubi a tua madre, è di lana che resiste agli anni, è più vecchia di te, la comprammo in Norvegia.
Sul traghetto verso le isole Lofoten lei rimase all'interno a sorseggiare un tè con le mani incollate al bicchiere di vetro bollente, mentre io mi attardavo sul ponte nonostante le raffiche gelate del vento che trascinavano il mare in alto.
Il traghetto, screpolato come i fiordi che si allontanavano alle nostre spalle, era deserto di turisti, ma gremita di ruvida gente locale, pescatori, commercianti di pesce.
Nell'aria bianca e ventosa non s'intravedeva altro che il disordine del mare.
Il cambio di colori, di clima, il golf doppio che indossavo, il puzzo di pesce sotto sale che veniva su dalla stiva m'incoraggiavano a sentirmi un uomo diverso, come spesso accade in vacanza.
Ero felice di essere solo, felice che il maltempo non spingesse tua madre a raggiungermi lì fuori.
Un marinaio con un mantello di tela cerata risalì il ponte a fatica e passandomi accanto gridò qualcosa d'incomprensibile, indicava la porta per farmi capire che era meglio che tornassi dentro.
L'acqua mi gocciolava nel collo del maglione, scrollai la testa.
Sorrisi.
"It's okay" gridai.
Sorrise anche lui.
Era giovane, ma aveva la pelle del viso già segnata da quel mestiere di vento, puzzava di alcol.
Alzò le braccia al cielo.
"God! God!" e si allontanò verso prua.
Un uccello si è posato accanto a me, improvviso, non l'ho sentito arrivare.
Il piumaggio di un sudicio colore tra il grigio e il verde, le zampe palmate strette intorno al ferro della balaustra, come piccole mani.
E' uno strano incrocio tra un martin pescatore e una cicogna nera.
Il suo ventre si gonfia e si sgonfia sistematicamente.
Deve aver retto la fatica di un volo difficoltoso per raggiungere questo trespolo galleggiante.
Non è affatto mite, fa quasi paura.
Scruta il mare con gli occhi rapaci orlati di pelle rossa, sembra cercare lo spazio per il prossimo volo.
Ha un becco da uccello mitologico e qualcosa di umano nello sguardo.
E' perchè mi viene da pensare, una creatura così piccola accetta senza tregua le sfide che la natura le impone, mentre noi ci ritraiamo di fronte a uno spruzzo di mare, noi con le nostre scarpe, i nostri golf, perchè siamo così privi di coraggio?
Credo che tua madre abbia avvertito qualcosa durante quella vacanza, guardando la mia schiena che avanzava a pochi passi da lei, lungo i sentieri di roccia a strapiombo sul mare, durante quelle passeggiate in cui io mi assentavo.
Ma non disse nulla.
La sera ci stringevamo insieme ad altri commensali sullo stesso tavolo oblungo in un locale di legno e mattoni rossi, a mangiare pesce e patate, davanti a un boccale di birra.
Lei allungava una mano, la posava sopra la mia, e mi offriva uno dei suoi sorridi, straripanti di grazia, di calore.
Mi lasciavo catturare dalla sua allegria.
L'abbracciavo tra quella gente sconosciuta, in quel locale pieno di fumo e di musica.
E quando tornai a posare le mani sul suo corpo, lo feci con assoluta devozione.
Fui inaspettatamente generoso nell'amore, Elsa se ne accorse.
"Ti amo." mi disse più volte nella penombra, carezzandomi i capelli.
Forse nei giorni precedenti aveva avuto paura, quando avevo insistito per portarla via dalla casa al mare.
Paura di noi due soli insieme.
L'accompagnai con dolcezza fino all'ultimo sussulto, poi mi allungai accanto a lei.
L'appagamento le aveva smosso neglio occhi una resina dolce.
Tese un braccio sfibrato verso di me.
"E tu?"
Raccolsi la sua mano, sfiorai con le labbra la fede nuziale.
"Io sono felice così."

 
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