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Post N° 39

Post n°39 pubblicato il 14 Ottobre 2005 da unaqualunque_s

M'incrociai nello specchio di fronte: gli occhi folgorati salla luce in un lampo maligno.
Ero in un loculo di vecchie piastrelle.
Aprii il rubinetto.
Mentre mi piegavo con viso sul lavandino, vidi dentro un bicchiere appeso a una una bocca di ferro uno spazzolino da denti troppo usato.
Insieme al disgusto verso quelle setole slabbrate mi aggredì il disgusto di me stesso.
Appeso al bordo di una piccola vasca da bagno a semicupio c'era un tappeto di gomma.
La tenda plastificata della doccia pencolava ammuffita sul fondo, avvolta in alto sull'asta che la sorreggeva.
La saponetta era perfettamente in ordine nel suo contenitore.
Sulla mensola sotto lo specchio c'era solo una crema per le mani, e il barattolo di vetro opaco dove s'intravedeva la pasta del fondotinta che Italia si stendeva sul viso.
In terra c'era un cesto di vimini, sollevai il leggero coperchio, dentro vidi un mucchietto di panni sporchi.
Mi fissai su un paio di mutande gualcite.
E sentii dentro di me una voce greve che m'implorava di cacciarmele in fretta nella tasca e di portarle via con me.
Rialzai lo sguardo nello specchio e chiesi ai miei occhi di lupo che razza di uomo fossi mai diventato.
Spensi la luce, e tornai di là.
Passando accanto al divano, nel buio, mi chinai per aggiustare la fodera fiorata.
Il cane guaì, gli avevo pestato una zampa.
Chiusi la porta e spinsi la chiave nel suo nascondiglio, ma la gomma aveva perso elasticità.
Cercai di ammorbidirla con le dita, non mi andava proprio di farlo con la saliva.
Sentii un rumore, un ticchettio lontano.
Tacchi contro gradini metallici.
Infilai la gomma in bocca e masticai con forza.
La chiave mi cadde dalle mani, mi chinai a cercarla.
Il ticchettio era finito, affondato nella terra.
Avevo trovato la chiave, spinsi con forza il pollice e riuscii a farla aderire nella fessura tra i mattoni.
Frusciai in basso, tra l'erba, e mi nascoso dietro il muro della casa, accanto allo scheletro della macchina bruciata.
Lei apparve quasi subito.
Due gambe nere, senza fretta, abituate al buio.
E in mezzo la solita borsa.
Sembrava stanca, aveva la schiena più incurvata del solito.
Allungò il braccio nel vano della porta, ma la chiave le cadde addosso, tra i capelli.
Mi schiacciai contro il muro, mentre lei si frugava la testa.
Con un solo occhio vidi le sue dita che sfioravano la superficie della chiave, e il suo volto intanto cambiava, lo vedevo a malapena, ma intuivo che si stava riempiendo di un sentimento preciso.
Staccò la gomma e rimase a soppesarla tra le dita: si era accorta che era bagnata.
Guardò intorno nel buio, poi i suoi occhi si piantarono nella mia direzione.
Ora mi scoprirà, ora verrà a sputarmi in faccia.
Fece due passi, poi si fermò.
La luce lunare la schiariva appena.
Mi ero abbassato dietro lo scheletro di quella macchina bruciata.
Lei guardava il buio dove io mi rintanavo e forse riusciva a vedermi.
Il suo sguardo era versato nel vuoto, ma era come se sapesse che ero lì, il pensiero di me le stava passando sul viso.
Non andò oltre.
Si voltò, infilò la chiave nella toppa e si richiuse la porta alle spalle.
La sera dopo cenavo con Manlio in una di quelle trattorie del centro con i tavolini all'aperto che traballavano sul selciato e devi chinarti a sistemare la zeppa sotto la gamba giusta, poi ti rialzi e ti accorgi che traballa da un altro verso, esattamente come la vita.
Manlio scherzava, gonfiava il corpo dentro la giacca, ma non era allegro.
Aveva avuto un guaio in sala parto, farfugliava qualche frase d'effetto, si commiserava, e naturalmente mentiva.
Era suo malgrado insincero, non si era mai scrutinato, e non aveva nessuna intenzione di farlo.
Lui seguiva i moti degli altri e finiva per assecondarli.
Così, quella sera, con ardore da vero amico, tentava d'insinuarsi nella tana profonda dove io viaggiavo inappetente.
Era già un pò che durava.
Io zitto, distratto, avevo aggredito l'antipasto con una forchettata violenta, ma poi lo avevo lasciato lì, senza ordinare più nulla.
Manlio cercava di venirmi dietro, prendeva in prestito il mio umore, e intanto spilluzzicava in giro nei vari piattini, peperoni, ricotta fritta, broccoletti ripassati.
"Tu ci vai a puttane?"
Non se l'aspettava una domanda così, non da me.
Sorride, si versa da bere, fa schioccare la lingua.
"Ci vai o no?"
"E tu?"
"Si, io ci vado."
"Ma và?"
Sta correndo cissà dove, forse sta pensando a Elsa.
Non gli sembra verosimile che con una moglie così io vada a pagare.
Però il cambio di registro non gli dispiace, scivola bene nel corpo appresso al vino.
"Anch'io, ogni tanto...",  e adesso sembrava un bambino.
"Sempre la stessa o cambi?"
"Come capita."
"E dove le porti?"
"In macchina."
"Perchè ci vai?"
"Per pregare. Che domanda del cazzo" ride, e i suoi occhi spariscono.

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volandfarm
volandfarm il 24/03/09 alle 17:41 via WEB
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