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Racconto d'inverno - Leonardo Bonetti

Post n°38 pubblicato il 14 Dicembre 2009 da Tanysha

 

                        Vi sono opere letterarie simili a piccoli gioielli artigianali eseguiti a mano, il loro  pregio è tutto nelle imperfezioni che lo rendono unico. Ma quando queste imperfezioni sono troppe, eccessive, evidenti, cosa si fa? Si accartoccia il gioiello e si prova a rifarne uno nuovo, possibilmente con meno difetti. Ecco, questa opera d’autore, già cantante di una band più o meno famosa, mi ha dato questa netta sensazione.  La citazione del famoso romanzo di Tommaso Landolfi è già nel titolo (Racconto d’autunno). Ma del romanzo da cui prende spunto c’è solo l’avvio, ovviamente, per non rischiare di farne un clone. Due cose mi sorprendono di questa scrittura: la sua estrema farraginosità che la rendono assai poco agevole, periodi contorti, di quelli che se a scuola li usi in un tema te lo riempiono di segnacci blu, al di là del soggetto centrale, e delle numerose metafore che affiorano qua e là. Si tratta comunque di una scrittura, a mio avviso, assai poco curata e anche piena di pretese, un po’ come un vestito fatto di una stoffa preziosissima piena di patacche.  Una scrittura ridondante di avverbi in –ente uno vicino all’altro e ricca di congiunzioni che; in un periodo di 10 righe ne ho contate 6. Insomma, anche se la sua era una buona idea, poteva impegnarsi un po' di più e curare meglio l'editing. Dà l'impressione di una cosa scritta al volo e corretta in fretta e furia per fare in tempo a prendere il treno giusto.  Un esempio per tutti:"...Diedi un'occhiata alla stanza. La finesta era chiusa con delle tavole inchiodate ad un pannello, fredda e umida ma col tetto intatto" ma si riferisce alla finestra (ha il tetto????) o alla stanza? ho fatto una fatica per capire che si trattava della stanza, dato che prima aveva messo il punto.

Insomma, si arranca a leggere, probabilmente chi l’ha finito ci ha di sicuro trovato qualche buona ragione, a dispetto della poca efficacia della scrittura, benché descrittiva e molto evocativa (devo ammettere che non si fatica ad immaginarsi i foschi paesaggi evocati). Nell’insieme è comunque un’opera carente, di quelle che vengono  respinte in continuazione dalle case editrici.

Ma la cosa più strana è che questo romanzo, di un autore poco conosciuto, ha avuto un certo seguito di lettori. Mi piacerebbe scoprirne il segreto. La scrittura secondo me è insufficiente, eppure ne ho sentito dire un gran bene su Anobii e stamattina l’ho persino visto  leggere con grande attenzione da una persona sulla metro. Quale sarà l’arcano di questo libro? Forse i lettori, magari non troppo esperti, rimangono incantati dall’ambientazione e sorvolano sulle pecche della scrittura? Può essere. E allora noi autori che ci ammazziamo per curare il particolare, la virgola, il sinonimo azzeccato siamo tutti fessi? Forse basta infilare la storia giusta e ci si può permettere di tirar via sulla cura della forma? Insomma, questo strano e anomalo romanzo mi ha suscitato una serie di interrogativi a cui mi piacerebbe poter rispondere.

 

 
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