Creato da Tanysha il 15/01/2008
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Mi ripugna parlare di questa tendenza che in questi ultimi anni sembra essersi dilatata ed estesa nelle propaggini più remote e inaspettate della popolazione, in prevalenza maschile, pur se con sparute – per fortuna – rappresentanze femminili. E’ orribile trattare quest’argomento, mi sembra di maneggiare qualcosa di viscido e palpitante, ma se nessuno ne parla, certo la situazione non migliora! Proviamo quindi a inoltrarci in questo terreno molle e accidentato senza colpo ferire e senza dito accusatorio. Quale può essere l’origine di questa inclinazione verso i bambini da parte degli adulti?
E’ semplicistico - anche se molto spesso è vero - affermare che alcune di queste persone in età infantile sono state a loro volta molestate da un adulto, non credo sia sufficiente come motivazione di fondo. Certo, la cassa di risonanza di internet non è estranea a tutto ciò, se non altro questi individui la utilizzano per organizzarsi e ritrovarsi tra loro facilitandosi l’ignobile compito. Ma quale può essere stata la scintilla iniziale che ha acceso questo desiderio? Proviamo ad analizzare.
Mai come nella nostra era l’uomo ha avuto il desiderio smodato di restare giovane. Anzi, la giovinezza è l’unica età riconosciuta dall’uomo contemporaneo, c’è un’esaltazione della gioventù, tanto da fare impallidire a volte i veri giovani, quelli al di sotto dei vent’anni. Impropriamente vengono definiti quasi tutti “ragazzi”, quando, lo sappiamo tutti, il vero ragazzo è il bambino o al massimo l’adolescente, quindi il 18-20enne. Già negli anni 60-70, se un trentenne veniva definito ragazzo faceva sorridere, sembrava patetico. Invece adesso son tutti ragazzi, anche i sessantenni.
Sorvolo sull’aiuto della chirurgia estetica perché andrei fuori tema, ma basta sfogliare un giornale, guardare una pubblicità, l’immagine femminile che viene maggiormente proposta qual è? Quella efebica di una ragazzina che potrebbe avere 12 come 25 anni. Ora, se si continua a spacciare questo modello di bellezza femminile è come se indirettamente si incoraggiassero certe tendenze. La donna ideale è quella che somiglia più di tutte a una bambina. Il fotoshop certo aiuta moltissimo, ma ci sono modelle dall’incarnato talmente levigato che dimostrano davvero un’età pre-adolescenziale. Oppure mi viene un pensiero malevolo: forse alcune di queste orribili persone allignano proprio fra la gente che ruota intorno al mondo dell’immagine, per questo propongono immagini femminili così acerbe, e allora, in questo caso, il problema è all'origine.
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Un film che, come pochi altri, riesce a colpire senza pretendere di essere capito. Prima di vederlo bisogna accendere l’emisfero cerebrale destro, disattivare completamente ogni recettore razionale perché si rischierebbe di fallire. Affidarsi completamente alle immagini e al loro impatto sensoriale. Il film inizia a raccontare la storia di una tipica famiglia americana degli anni 50 e si ferma quasi subito, dopo aver enunciato il tema principale, la morte di uno dei figli. Dopodichè è una lunga serie di riflessioni sulla vita e sui suoi perché, sull’esistenza, su Dio, se è buono o cattivo, fulminanti immagini dello spermatozoo che feconda l’ovulo, alternate a brevi flash cosmogonici: il big ben dell’universo, la nascita delle galassie, l’attività solare, l’acqua come culla di vita, la furia dei venti, in un equilibrio sempre costante dei quattro elementi . A volte si ha il dubbio di vedere due film intrecciati fra di loro, come se ci fosse una continua risonanza tra macro e micro cosmo, come se la nascita dell’essere più piccolo alludesse alla formazione del grandioso. Infatti ci sono continue inquadrature su formiche o rane o insetti, in contrasto con pianeti giganti o soli. Pedestremente, ho anche pensato che in fondo il regista abbia risparmiato sui mezzi - pur con un nobilissimo fine - utilizzando immagini di repertorio.
Vedendo questo film ho avuto l’impressione di rinascere (non sarà un caso che è stato presentato a Cannes proprio il 27 maggio, giorno del mio compleanno? Eh, eh, eh! Delirio egocentrico, lo so!).
Il regista, Terrence Malick è alla sua quinta opera, e ha superato i sessanta. Non ha avuto fretta di creare (e qui, personalmente, mi riconsolo, c’è sempre tempo per portare a termine l’opera del secolo, basta solo saper aspettare l’ispirazione giusta).
Un film del genere si può concepire solo in età matura, in un’età di bilanci, quando ogni depressione derivante da eventuali fallimenti si è oramai superata. Un’opera intimamente religiosa, con pochi ed essenziali dialoghi, qualche frase che affonda come bisturi. Una su tutte, sul finire del film: “La vita di chi non ama abbastanza sembra più corta delle altre”.
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Come non parlare di questa ferita ancora aperta, di un’anima congiunta alla mia da qualche centinaio di pagine di romanzi che leggevamo insieme. Preferisco parlare delle cose belle che ci univano, della gioia di passarti qualche libro da me letto ed osannato, aspettando un tuo parere, spesso diametralmente opposto al mio, ma anche questa è vita, energia spesa nello scambio di vivificanti opinioni, che spesso si traducevano in pareri discordanti.
Eppure sono nata attraverso di te, io, che per miracolo riesco a scrivere queste parole con lo sguardo appannato. Già ho in mente la dedica che scriverò sul mio prossimo romanzo, se mai riuscirò a finirlo, la cui stesura sta attraversando una delle pagine più dolorose della mia vita. Un dolore iniziato qualche mese fa, quando hai deciso di vivere sospesa tra due dimensioni, scegliendo alla fine quella verso la quale eri ormai indirizzata. Credo che dalla dimensione da cui tu mi stai guardando vivere certe volte sorriderai delle mie goffaggini abituali, altre volte invece, non capirai perché mi comporto così, tu che mi avevi insegnato come. Oppure no, dall’universo dal quale tu mi stai seguendo, improvvisamente hai tutto ben chiaro: è come se di colpo tu comprendessi tutto quello che in questa vita ti arrovellavi di non poter capire, e ti appaia così puerile, facile e risolvibile. Così immagino l’onnipotenza di chi ha oltrepassato il confine labile di questa nostra misera e limitante dimensione terrena.
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Dico: ci hanno firmato romanzi, film, fior di canzoni (Stasera niente di nuovo, stasera a casa di Alice, stasera mi butto, stasera che sera, ecc.), stasera era un termine così carino, colloquiale, sciolto e discorsivo, che non crea problemi, tre sillabe dal suono casareccio, con un retrogusto di mondanità nascosta. E cosa si sente negli ultimi tempi, questi tempi trafelati e difficili, in cui ti sembra che la tua vita sia sempre più compressa? Cosa si sente di diverso? Un burocratico e formale Questa sera. Ma perché mai questo suono cupo e dilungato, quando invece, proprio per i ritmi sempre più concitati si dovrebbe cercare di fare economia di sillabe? Ve lo siete mai chiesto?
In tv, negli annunci, si sente sempre di più Questa sera…eppure era così svelto, semplice, diretto e popolare dire stasera, economico e facile, perché questa inutile apposizione? E’ un po’ come se ti volessero congelare la felice aspettativa di stasera, in una problematica realtà, cupamente incombente, scandita nella sua più completa e inappellabile drasticità. Questa sera possono succedere le cose più insopportabili, alle quali non puoi opporre la benchè minima obiezione. Ben lungi dalle rosee prospettive di stasera, associabili a qualcosa di più tenero, palpitante e verace. Uno specchio dei tempi?
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Inviato da: cassetta2
il 24/07/2019 alle 12:44
Inviato da: Tanysha
il 09/12/2014 alle 14:55
Inviato da: DJ_Ponhzi
il 09/12/2014 alle 14:53
Inviato da: Tanysha
il 22/10/2014 alle 15:49
Inviato da: misai
il 22/10/2014 alle 14:32