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APPUNTI PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO [2]

Post n°5 pubblicato il 12 Aprile 2007 da claudiofondelli

[estratto della relazione alla conferenza degli eletti 2007 della Federazione di Arezzo del PRC]    

La politica abitativa e dei servizi

Una politica abitativa, così come dei servizi, attenta ai bisogni delle fasce sociali più deboli, in grado di superare o quantomeno mitigare le sempre più marcate differenze, in sintesi inclusiva, rappresenta uno dei principali obbiettivi che una forza politica come la nostra deve porsi.

Un obbiettivo il cui conseguimento non può però prescindere dalla disponibilità delle risorse economiche degli enti locali, oggi largamente insufficienti anche al mero mantenimento quantitativo e qualitativo delle infrastrutture  e dei servizi esistenti.

Efficaci politiche abitative e dei servizi non si conseguono semplicemente inserendo negli strumenti urbanistici specifiche previsione come i comparti di edilizia economica e popolare (che comunque rischierebbero di trasformarsi in una sorta di “ghetto”, come molti casi di Peep realizzati testimoniano) o nuove strutture per servizi culturali e sociali pubblici se non in presenza di risorse economiche certe, perchè quelle previsioni rischierebbero non soltanto di rimanere esclusivamente su carta, ma rappresenterebbero un costo certo per l’amministrazione pubblica nel breve periodo (dunque un depauperamento di risorse) in quanto le previsioni urbanistiche che prevedono una destinazione pubblica di un’area, se non attuate nei cinque anni successivi dalla loro approvazione (leggasi acquisizione delle aree), comporteranno un indennizzo a favore della proprietà interessata per l’inutilizzo a cui è stata sottoposta (cfr. Sentenza della Corte di Costituzionale 20 maggio 1999 n. 179 e art. 39 del T.U. in materia di espropriazioni).

Porsi dunque l’obbiettivo di conseguire un miglioramento della qualità abitativa e dei servizi, con particolare riferimento alle fasce di popolazione svantaggiate, significa innanzitutto porsi il problema del reperimento delle risorse che non ritengo possano, al momento attuale, derivare da un innalzamento del livello di pressione fiscale o tributaria.

Di seguito proverò ad indicare alcune possibili opzioni praticabili, nessuna delle quali è in grado da sola di incidere significativamente sul versante delle risorse, ma assieme, in un mix diversamente dosato sulla base delle specificità che caratterizzano l’ambito di riferimento, possono rappresentare un valido supporto, in termini di risorse acquisite o liberate, a sostegno di politiche abitative e sociali inclusive e redistributive.

Differenziare il trattamento tributario (ICI) tra il patrimonio immobiliare destinato alla residenza stabile (prima casa) e quello per altri usi od investimenti (contenendo l’aliquota della prima ed innalzando ai valori prossimi al limite massimo previsto dalla legge per gli altri casi) e soprattutto istituendo ed  aggiornando un catasto dei fabbricati e delle aree edificabili, al fine di recuperare il mancato gettito derivante da evasione o elusione fiscale (spesso diffusa, con particolare riferimento alle aree edificabili).

Introdurre il principio della perequazione urbanistica (vedi paragrafo precedente, l’edificazione del suolo)

Attivare politiche di marketing territoriale ed urbano tese a promuovere e valorizzare le specificità del proprio territorio e le produzioni locali, attirando così risorse esterne che potranno essere investite con benefici economici diretti, per singoli soggetti o imprese, ed indiretti in termini occupazionali e di gettito fiscale e tributario.

Nei comuni di ridotte dimensioni passare progressivamente da un modello di servizi (scolastici, sportivi, socio-sanitari, culturali, ricreativi, etc.) su base locale ad un modello sovraccomunale o di area, differenziando l’offerta dei medesimi e compartecipando alla loro gestione, ottimizzando così, a parità di risorse impiegate, le spese gestionali e manutentive, dunque liberando risorse da destinare al loro potenziamento.

Coordinare ed integrare le politiche di governo del territorio con la programmazione delle opere pubbliche in particolare superando il concetto di manutenzione passiva (finalizzata al ripristino delle originali funzioni dell’infrastruttura o della rete) a favore di una manutenzione attiva (capace al tempo stesso, oltre a ripristinare la funzionalità originale, di implementare gli usi e qualificare lo spazio urbano).

Favorire, per soddisfare il fabbisogno abitativo accertato, la trasformazione del patrimonio edilizio esistente, la sua implementazione e l’edificazione dei vuoti urbani (aree di saturazione e completamento – zone B ai sensi del DM 1444/68) rispetto alla nuova edificazione, che consente di liberare risorse (oneri di urbanizzazione) da impegnare per la manutenzione ed il potenziamento delle reti infrastrutturali, degli spazi urbani e dei servizi. Risorse che, nel caso di un piano urbanistico che privilegia la nuova edificazione, verrebbero in larga misura assorbiti per la realizzazione di nuove reti ed infrastrutture a servizio delle aree di espansione (zone C ai sensi del DM 1444/68), con l’ulteriore incognita di portare al collasso il sistema infrastrutturale e delle reti esistente (con ulteriori e successivi costi da sostenere). Processo che può essere favorito anche attraverso politiche di governo del territorio che, pur tutelando il patrimonio di valore storico ed artistico, evitino una rigida ripartizione degli usi e delle funzioni consentite all’interno del patrimonio immobiliare.

Consentire la trasformazione del patrimonio edilizio pubblico (spesso collocato in aree semi-centrali di pregevole valore), anche prevedendo il suo ampliamento, non escludendo la sinergia con risorse economiche ed operatori privati (da compensare con la parziale cessione del patrimonio) e consentendo al suo interno l’introduzione di funzioni diverse da quelle residenziali. Tale azione consentirebbe, oltre alla qualificazione del patrimonio, di soddisfare parte del fabbisogno abitativo (frequentemente tale patrimonio risulta fortemente sotto utilizzato in quanto progettato e realizzato per nuclei familiari di composizione sensibilmente diversa da quella attuale, dove prevale la coppia senza figli o con un figlio, la coppia o l’anziano singolo, etc.), consentendo così un utilizzo più efficace e razionale, oltre che funzionalmente e socialmente più integrato.

Procedere con una mirata dismissione di aree pubbliche non utilizzate o difficilmente utilizzabili, palesemente non funzionali rispetto agli usi a cui sono destinati, come nel caso di micro-aree marginali presenti in numerose aree lottizzate tra gli anni ’60 e ’90. Aree che potrebbero, prima della dismissione, essere riconvertite in micro-lotti edificabili (senza dunque incidere, date le ridotte dimensioni, significativamente sul carico urbanistico dell’area) che consentirebbero di conseguire a costo zero la riqualificazione di spazi spesso degradati quando non abbandonati e di introitare a favore dell’ente il plus-valore derivante dall’edificabilità del suolo.

 
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