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La resistenza della cultura contemplativa

Post n°18 pubblicato il 27 Luglio 2013 da Thamyris
Foto di Thamyris

Ho seguito con interesse, qualche giorno fa, un'intervista allo scrittore Walter Siti, fresco di premio Strega per il suo romanzo "Resistere nons erve a niente". La resistenza nominata da Siti rapprenta l'insieme di tentativi che un uomo istruito, moralmente saldo e intellettualmente indipendente, mette in campo per contrastare la massificazione dei bassi valori della società contemporanea. Alla domanda del giornalista: "ma davvero resistere non serve a niente"? Lo scrittore smussa la sua apocalittica visione specificando come la cultura di tipo "contemplativo", la cultura d'evasione, non serva a nulla; invece, ben diverso sarebbe schierare la propria formazione sul campo di battaglia della società, in modo attivo, rivoluzionario. A questa visione - se mi è consentito dirlo - vigorosamente sessantottina non sento di adedire pienamente. Innanzitutto vorrei riflettere sull'espressione "d'evasione" utilizzata da Siti. Dell'utilizzo di questa classificazione lessi spesso in riferimento alla letteratura fantastica, vista - credo anche a ragion veduta - come unicamente tesa a donare al lettore due ore di ristoro dalla vita di tutti i giorni stimolando le terre della fantasia più sfrenata. Naturalmente, non si tretta di una "vox media", bensì di un'epsressione connotata in senso negativo, in contrapposizione con la letteratura "impegnata". Fino a questo punto, credo che questa dicotomia possa anche aver ragione di esserci poiché si basa sull'analisi di elementi strutturali e narrativi ben precisi. Siti, però, fa un passo avanti: applica la classificazione all'intera formazione dell'individuo, andando a giudicare il modo in cui la persona approccia alla propria cultura personale. A questo punto tornerei al giudizio che gli antichi romani colti davano allo studio, ben distinto - quasi come si legge in questa prospettiva - dall'impegno civile. Cicerone e Sallustio, ad esempio, parlano molto di "otium cum dignitate", dove per "dignitas" si può leggere la serenità dovuta a chi durante la giornata - o il periodo feriale - ha svolto il proprio dovere da buon cittadino romano. Va da sé che senza la formazione colta ed erudita, filosofica direbbero alcuni, il "negotium" del cittadino modello avrebbe reso molto meno dal punto di vista morale, limitandosi a soddisfare i prori gretti bisogni: ricchezza, potere, vizio. Alla luce di ciò, chiunque abbia a cuore l'arricchimento "contemplativo" dell'animo non potrà che agire nel mondo secondo determinati criteri - durante il "negotium" - e non è necessario diventare operatori culturali armati di libri e baionetta - figurata ovviamente - per resistere al male contemporaneo. Occorrerebbe rovesciare l'assunto leopardiano che domandava amaramente "come può il poeta essere contemporaneo in quanto poeta?" Il poeta, colui che fa etimologicamente parlando, non può non essere che un esempio; peccato che non tutti lo vedano in questo modo.

(in foto: Istanbul, manifestanti in piazza) 

 
 
 
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