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AG TOLENTINO

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L' INTERVENTO DI GIORGIA MELONI A MIRABELLO 9/07/2011

Post n°71 pubblicato il 11 Luglio 2011 da ag.tolentino

E’ molto bello ritrovarsi qui, in questo luogo che per molti di noi ha qualcosa a che fare con il concetto di casa. E’ bello e gravoso allo stesso tempo. Perché se chiudo gli occhi posso immaginare i volti, le battaglie, le speranze, le sofferenze, le vittorie e le sconfitte che sono passati da questo piazzale, e hanno fatto la storia della destra italiana. Bello e gravoso perché oggi è come se gli occhi di tutte le persone che hanno costruito quel percorso fossero puntati su di noi, e si aspettassero una risposta chiara e definitiva alla domanda: c’è ancora spazio per noi nella vicenda politica italiana? E come si interpreta e si rilancia questa nostra identità, nel popolo della libertà e nel centrodestra?

 

Ecco siamo qui per rispondere a queste domande. Siamo qui per dire che niente è finito, e per riannodare il filo di una grande storia nazionale. Ancora ricca di uomini, di donne, di giovani, di passione e di buone idee. Certo il tempo passa e si cambia. Come è giusto che sia. Ma si può interpretare meglio la modernità senza dimenticare le radici del nostro impegno. Siamo figli del nostro tempo e siamo eredi di una tradizione nei confronti della quale abbiamo delle responsabilità. Prima fra tutte quella di rendere fiero chi ci ha preceduto.

 

Oggi siamo al governo della nazione, di tante città e regioni. E Dio sa se c’è qualcuno che ha sacrificato tutto perché noi avessimo questa opportunità. In queste esperienze abbiamo il dovere di tirare dentro quello che siamo, la terra ideale da cui proveniamo. Per non tradire le ragioni per le quali abbiamo cominciato a fare politica, ma anche per non perdere credibilità verso gli italiani e per non continuare a perdere le elezioni.

 

Perché alla sconfitta recente noi abbiamo il dovere di reagire. Niente scoramenti né attendismi, ma una feroce volontà di aggredire il declino.  Del resto quello che non cambia, perisce: è la dura legge della natura grazie alla quale possiamo crescere senza invecchiare.

 

Ripartiamo dalla politica del fare. Da quell'azione post-ideologica non priva di valori ispiratori che tantissime risposte ha costruito nei suoi anni di governo, dimostrando una concretezza che ha creato discontinuità dalla vecchia politica più di qualunque proclama. Basta parlare delle beghe di palazzo. Basta parlare del pallottoliere dei deputati, perché alla fine agli italiani non interessa quale sia il numero esatto dei parlamentari che compongono la maggioranza, ma gli interessa sapere che cosa intendiamo farci con questa maggioranza. E su questo dobbiamo rispondere. Negli ultimi tempi troppo spesso abbiamo assecondato i temi dei nostri avversari. E invece dobbiamo dettare noi l’agenda alla politica italiana, piuttosto che farcela dettare dai giornali, dalle procure, dai vecchi alleati in cerca di un po' di cinica visibilità, e da quelli nuovi in cerca di un posto al sole.

 

Ripartiamo da qui. Dai temi che ci definiscono, da quella ferma volontà di riscattare il nostro popolo, di migliorare la vita della gente, che è stata sempre la nostra principale caratteristica. Per questo siamo qui. Per dire che saremo anche invecchiati ma siamo sempre gli stessi.

 

Siamo qui per dire che siamo ancora quelli che se ne fregano di pestare i piedi alle oligarchie, che si divertono a far tremare poteri forti, caste e corporazioni.

 

Siamo qui per dire che sappiamo che realizzare è diverso da promettere. Che una cosa è fare demagogia e l’altra è avere il coraggio di affrontare veramente i problemi. Ce lo sta dimostrando in queste ore il sindaco di Napoli, che dopo mesi passati a speculare sulle paure e sulle utopie giacobine si accorge che quando arriva il momento di combattere i problemi sul serio, non c'è Santoro o Ballarò che possano salvarti. Perché fuori dai salotti televisivi c'è la realtà, ed è molto dura da affrontare.

 

Siamo qui per ribadire che siamo fieri del nostro passato ma non abbiamo paura di mettere i piedi nel futuro. Che sappiamo che occorre investire sulle energie rinnovabili, sulla nuova economia, sulla tecnologia e sulla ricerca ma anche sull’agricoltura, terreno di valori, tradizioni e innovazione.

 

Siamo qui per dire che crediamo ancora nella cultura non come qualcosa di astratto, ma come a una gigantesca fabbrica moderna, pulita e inesauribile fonte di occupazione e di produzione di memoria.

 

Siamo qui per dire che sappiamo che essere ribelli significa avere il coraggio per costruire e non solo la rabbia per distruggere. E lasciatemi dire che mi fanno pena quei figli di papà che in val di susa, per giocare a fare i rivoluzionari – ma rivoluzionari sovvenzionati dalle amministrazioni e coperti dal potere politico – hanno pensato bene di tirare acido addosso agli operai, a gente cioè che fa un lavoro difficile e umile per poco più di mille euro al mese. Vergognatevi, patetici borghesi viziati.

 

Siamo qui per ringraziare, ancora una volta, quei ragazzi in divisa che con il loro impegno coraggioso garantiscono ogni giorno, lontano da casa, libertà e sicurezza a popoli oppressi. E per dire che non ci sentirete mai, nel giorno in cui uno di quei ragazzi muore, parlare di ritiro delle truppe facendo credere che quel sacrificio sia vano.

 

Siamo qui per rivendicare la necessità che l’Italia affronti in maniera seria la drammatica situazione della demografia. Siamo fanalino di coda in tutte le classifiche sulla natalità e non affrontiamo il rischio della trasformazione dell'Italia giovane e ribelle di Goffredo Mameli e Nazario Sauro in una terra senile e quasi sterile, anche per questo inadatta alle sfide della modernità. Ecco perché serve un fisco che premi chi mette al mondo un bambino: perché non è tollerabile che in Italia i figli siano 'bene di lusso' e perché un popolo che non si rigenera ha sostituito il suo certificato di nascita con un epitaffio. E questo gettare la spugna è incompatibile con la nostra vocazione.

 

Siamo qui per dire che una politica che ama davvero il suo popolo deve dare risposte per la prossima generazione e non per la prossima scadenza elettorale. In questo le politiche che rivolgiamo ai giovani ci definiscono. Nella manovra che abbiamo varato c’è una norma che garantisce per 5 anni a chi avvia una nuova attività una tassazione forfettaria al 5%. Praticamente il regime più vantaggioso d’Europa. Abbiamo fatto un grande lavoro in questi anni per restituire ai ragazzi i diritti cancellati dalle generazioni precedenti. Non dobbiamo fermarci. Anche per questo penso che nello stesso momento in cui si parla di modificare l’età pensionabile o di rivedere i coefficienti si debba anche ragionare su come dedicare una percentuale delle risorse recuperate al welfare per i giovani.

 

Siamo qui per dire che vogliamo restituire dignità alla politica, che rimane la più bella forma di impegno civile che esista. Per questo condivido e rivendico l’importanza di una manovra di rigore che comincia tagliando i costi della politica. Perché l’unico modo di essere credibili è essere di esempio. Dimostrare che siamo i primi disposti a fare dei sacrifici per il bene dell’Italia non vuol dire mortificare il ruolo e la credibilità dei parlamentari o della classe politica, significa al contrario esaltarlo. Certo bisogna farlo in maniera seria e non demagogica, ma bisogna farlo. Anche con gesti simbolici. Come quello sulle auto blu, delle quali bisogna continuare a tagliare non solo la cilindrata, ma il numero, che rimane il più alto d’Europa.

 

Siamo qui per dire anche che vogliamo un partito diverso. Fondato sulla partecipazione, sulla formazione e sulla meritocrazia. L’elezione a segretario politico di Angelino Alfano può rappresentare uno straordinario punto di partenza. Perché Angelino è capace, umile, determinato. Un uomo forgiato dalla lotta alla mafia, che nutre un sentimento di ammirazione per la storia della destra italiana.

 

Insieme a lui dovremo riorganizzare il Popolo della Libertà attorno a quel valore straordinario che è la centralità della persona. Tradotto: niente può accadere senza il suo coinvolgimento. Non dobbiamo più dare l’idea di un partito chiuso, i cui dirigenti sono spesso autoreferenziali, più attenti a compiacere il vertice che a curare gli interessi degli italiani. Non dobbiamo mai avere paura di chi vale, e in politica il valore si misura prima di tutto sul consenso. Anche queste elezioni ci hanno dimostrato che con candidati nuovi, talvolta anche giovani, puliti, preparati, credibili e con un percorso di militanza alle spalle, si possono sconfiggere le sinistre, l'antipolitica e, persino, certe situazioni confuse di dissidio interno.

 

Disponiamo di energie straordinarie, che dobbiamo mettere nella condizione di emergere e competere. Allora ben vengano gli strumenti che aprono alla massima partecipazione della nostra gente nelle dinamiche del Popolo della Libertà. Lasciamo che tutti possano misurarsi, che vincano i migliori. Perché la loro vittoria sarà anche la nostra. Per questo credo nelle primarie per la scelta dei candidati, ad ogni livello, e mi diverte l’idea di vedere l'imbarazzo del Partito Democratico di fronte a una riforma che le introduca per legge. Perché ho qualche dubbio che il Pd sia in grado di esprimere candidati vincenti con il massimalismo che imperversa in quella parte di campo.

 

 

 

E ancora. Come possiamo sostenere la rivoluzione del merito nella società italiana mentre noi parlamentari siamo nominati con liste bloccate? Non è più rinviabile il dibattito su come restituire agli italiani il diritto di scelta dei singoli parlamentari e a noi parlamentari la dignità di essere eletti e non cooptati. Lo possiamo fare reintroducendo le preferenze o prevedendo le primarie per definire la composizione delle liste, lasciando l’attuale legge inalterata. Ma se saremo inattivi rischieremo di dover intervenire sulla base di un referendum promosso da altri che, come quelli appena celebrati, avrà un esito scontato. E credo anche che nella composizione delle liste per il parlamento si debba riconoscere come prioritario il percorso di chi viene già da esperienze amministrative, da chi già si è misurato con il consenso sul territorio, da chi ha scelto la strada della militanza politica. Perché una cosa è rifiutare chi fa della politica una professione, ma altra cosa non è riconoscere la sincerità di chi si è impegnato in politica anni prima di percepire per questo uno stipendio.

 

E poi la stessa partecipazione ampia deve riguardare i dirigenti. E' giusto rinnovare i coordinamenti provinciali e regionali, ma con congressi aperti a tutti gli iscritti. E per evitare che vengano vinti da chi può pagare pacchetti di tessere piuttosto che da chi ha il consenso dei simpatizzanti propongo che l'iscrizione abbia il costo simbolico di un euro. Perché i partiti nei quali i capibastone tiravano fuori i soldi per comprare le tessere sono il vecchio e francamente non ne sentiamo la mancanza.

 

E poi il Popolo della Libertà non può e non deve avere paura del contributo di energie, freschezza e idealità che può arrivare dai suoi giovani. Motivo per cui considero fondamentale un movimento giovanile rispettato, non indipendente, ma tanto autonomo da eleggere dal basso i propri dirigenti. Tanto libero da rappresentare un laboratorio culturale, tanto forte da formare le eccellenze della nazione futura. E la Giovane Italia ha tutte le carte per giocare questa partita, purché sia messa nella condizione di farlo.

 

Ma siamo qui anche per dire che non abbiamo dimenticato uno degli elementi cardine del nostro rapporto con la politica, ovvero quello del rapporto indissolubile con l’etica pubblica e la legalità. Perché il garantismo, che dobbiamo continuare a difendere soprattutto di fronte al comportamento di parte della magistratura e dei media, non diventerà mai garanzia di impunità. Nessuna indulgenza con chi approfittasse della persecuzione di Silvio Berlusconi, ma anche della nostra militanza appassionata, del consenso e del lavoro di ciascuno per arricchire il proprio conto in banca. Perché rubare significa tradire la propria comunità, la patria e tutti coloro che per lei hanno sacrificato qualcosa. Perché questa gente non c’entra niente con noi, e non c’entra niente con la migliore storia d’Italia, quella scritta da Paolo Borsellino e don Luigi Sturzo, da Giorgio Almirante e Salvo D’Acquisto, da Norma Cossetto e Carlo Rosselli. Nel consiglio nazionale insieme a Scopelliti, alla Santelli ed altri abbiamo presentato un ordine del giorno nel quale si chiede la definizione di un codice etico con i requisiti necessari di moralità dei candidati a ogni livello elettivo e dei dirigenti di partito. Abbiamo raccolto 400 firme in poco più di un’ora, segno che è un tema condiviso e sentito. E allora pazienza se qualcuno ha storto il naso, noi andremo avanti.

 

In tutti i temi di cui ho parlato con voi oggi ricorre il patrimonio ideale di cui siamo insieme portatori. Quello della destra italiana. Non un libro o un vecchio documento congressuale, ma una quotidianità popolare che aveva diritto di cittadinanza ieri e lo rivendica oggi. Con rabbia e con amore. Il luogo politico in cui si realizzano i nostri sogni si chiama Popolo della Libertà. Due parole che ci definiscono profondamente nel bel nome del nostro movimento: Popolo e Libertà. Noi siamo un movimento di popolo e un movimento di gente libera. Dice Gustave Thibon che l’uomo non è libero nella misura in cui non dipende da niente e da nessuno. E’ libero se dipende da ciò che ama ed è schiavo se dipende da ciò che non può amare. Eccola la nostra libertà. Dipendere dall’amore per la nostra terra e per la sua gente. E' questa libertà che ci lega. È questo dannato amore per la patria che ci lega.

 

Un amore che noi, a differenza di altri, non abbiamo scoperto lo scorso 17 marzo. Siamo qui per ricordare anche questo, perché ci fanno ridere le ipocrite lezioncine della sinistra che pretende di insegnarci oggi cosa sia l’amor di patria. Benvenuti nel club signori, ma arrivate con appena 60 anni di ritardo e non avete proprio niente da insegnare. Davvero pensate che abbiamo dimenticato che per cinquant’anni, grazie a voi, scendere in piazza sventolando una bandiera tricolore significava essere relegati in un ghetto della politica? Pensate che abbiamo dimenticato il silenzio colpevole dell’Italia sui martiri delle foibe e gli esuli di istria fiume e dalmazia perché non si poteva dire che il compagno Tito e i suoi partigiani erano degli assassini? Qualcuno, magari pure oggi con grandi responsabilità istituzionali, pensa davvero che non ci ricordiamo le parole che Palmiro Togliatti, ancora oggi celebrato da molti come “il migliore”, pronunciò durante il XVI congresso del partito comunista sovietico, cito testualmente: “E’ per me motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più. Come cittadino sovietico sento di valere dieci volte più del migliore italiano?” E mai qualcuno della sinistra che fino ad oggi abbia sentito il dovere, mentre si appunta sul petto una coccardina tricolore, o fa il suo bel discorso, di prendere le distanze da quelle parole.

 

Eppure noi non dobbiamo provare risentimento nei confronti di chi ha scoperto recentemente quanto possa rendere orgogliosi essere italiani. Anzi, dobbiamo provare un orgoglio infinito. Nel 1982 a Mirabello, qui dove sono io adesso, c’era un uomo, un patriota che soleva dire “Quando la tua verità affiora dalle labbra dei tuoi avversari, vuol dire che hai vinto”. Ecco, quello che io ho capito durante questo anno è che le nostra idee hanno vinto. Che i sacrifici di tutti quelli che per l’orgoglio di sventolare in piazza la bandiera della propria nazione sono finiti in un ghetto o in un cimitero non sono stati vani.

E io vorrei che tra trent’anni, qui, qualcuno possa parlare di noi nella stessa maniera. Che chi verrà dopo di noi possa essere fiero della parte che anche la nostra generazione ha fatto nel lastricare il cammino di questa avventura straordinaria. Direbbe un risorgimentale “E’ tempo d’azione e di sacrificio. Facciamo che i posteri non abbiano a maledirci”.

 

 

Abbiamo ancora molte pagine da scrivere insieme sul grande libro della nostra epoca. Dagli uomini e dalle donne che credono e operano per costruire una nazione forte e libera si riparte. Nel nome del popolo della destra, nel nome del popolo d'Italia. Siamo qui per dire che abbiamo ancora fame di conquiste sociali, di una rivoluzione dolce fatta di persone semplici e di grandi idee. Siamo qui per dire che il meglio deve ancora venire.

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