"molto bene, il gioco è finito. e dunque: avrai ora l'ardire e l'umiltà di romanzare una morte vera?"
(h. s. orrieslund, il cinismo della sofferenza)
“hai barattato la dolcezza consolante di un ricordo con la bellezza effimera di un sorriso. saprai accettare ora la durezza di un silenzio carico di oblio?”
(h. s. orrieslund, il cinismo della sofferenza)
giugno, altrove
che serata inutile, su e giù per quella salita, avanti e indietro da questa piazza.
è che devo smaltire la canna. o le birre. c'ho pure fame, per forza, son quasi tre giorni che non mangio. aaahhh, se non mi do una regolata ci tiro le penne. dovrei pure decidermi a studiare, tra tre giorni c'è l'esame e qualcosa dovrei pure andare a raccontargli, a quello. mah, qualcosa succederà.
la piazza è già strapiena, le solite facce, i soliti discorsi, sorrisi, cenni di intesa, battute e sottintesi. cosa non si fa per rimediare una scopata, le puttane battono per soldi, tutta questa carne si concede a gratis, al massimo per una messa in lista in discoteca.
certo che ieri sera… che zoccola, m’ha proprio ridotto all’osso. una così non mi era mai capitata, m’ha tirato un pompino che dopo non sapevo manco dove cazzo ero. beh, m’ha sfasciato, ma non è andata via tutta intera neanche lei. soprattutto la soddisfazione, alla fine, di cacciarla a pedate in culo. voleva mica pretendere di fermarsi a dormire e rompermi i coglioni tutta la notte, no? magari russa pure… no, no, fuori dalle palle…
mi sa che non mi fermo, meglio che vado a casa e cerco di dormire qualche ora, magari lo stomaco la smette di brontolare.
oh, e che ci fa mio fratello qua, a quest’ora?
- ciao, come mai?
- ciao, sono a casa in questi giorni e ti son venuto a prendere, vieni?
- dammi il tempo di prendere qualche libro e andiamo, c’ho l’esame lunedì prossimo - se sapesse in che condizioni sono mi chiederebbe come penso di farlo quell’esame.
- va bene, ma hai cenato?
- ho mangiato qualcosina, ma se hai voglia c’andiamo a fare un primo, c’è un posto che fa le pennette alla vodka da dio… beh, la specialità della casa in realtà è un’altra, la cameriera non sa neanche portare i piatti, ma in compenso è un’artista del tortellino.
- eheh, va bene, andiamo.
le penne sono buone come al solito, e poi con la fame che ho mi sarei mangiato anche la segatura delle gambe del tavolo. mio fratello ascolta le cazzate che racconto e ride, ma c’ha la faccia pallida e quasi non ha toccato il cibo.
- c’è qualcosa che non va? se le penne ti fanno schifo le rimediamo…
- no, no, a posto, ho poca fame… ascolta, non ti preoccupare, adesso sta meglio, ma papà è in ospedale, oggi si è sentito male, il caldo o forse lo sforzo…
butta fuori le parole a raffica, si sforza di arrivare alla fine cercando di raccontarmi tutto e di dirmi nello stesso tempo che no, non ci lascia la pelle stavolta.
ma tanto non lo ascolto già da qualche minuto, è sparita la fame chimica e quella da digiuno. le canne, la scopata di ieri, le birre, le sue parole, mi arriva tutto insieme e tutto mi rattrappisce i muscoli, sento una marmellata inutile al posto del cervello, resto catatonico perché mi dico che mi sta raccontando qualcosa di mondi lontani, chi se ne frega, non è successo a me, è una storia che non mi appartiene.
non mi appartiene nulla di questo momento in cui sono scagliato altrove, non sono mie quelle parole che dico e sento, non è mia questa strada che mi riporta a casa, non sono miei quei libri e quell’esame di lunedì.
non è mio il mio letto in camera mia a casa mia, e voglio dormire nel lettone con mamma come quando ero bambino. lo pretendo, se la realtà in cui sto lentamente tornando è questo racconto di cose che non voglio.
è passato un attimo lungo una notte, siamo tutti qua intorno a lui. è in dormiveglia, parla poco, il volto tirato, affaticato. certo che quella pancia, sarà ora che si decide a fare qualcosa. dovevo ancora imparare a parlare e già le parole che sentivo più spesso in casa erano colesterolo e trigliceridi. alti, entrambi. guardare le sue analisi era l’equivalente di una laurea in medicina, ci trovavi molti tipi di valori sbagliati.
voglio vedere se adesso, vent’anni dopo, la pianta e si da una regolata.
ti sei preso il coccolone e noi qua, con queste facce da coglioni.
la stanza puzza di caldo e piscio, qua dentro ci saranno quaranta gradi, roba che se quello dietro di me sbaglia i tempi e invece di tirare le cuoia stanotte lo fa tra pochi minuti, si decompone all’istante.
pensa te, mentre stavi a farti venire un colpo, io ero impegnato a smaltire la sbornia di alcool e sesso della sera prima.
proprio vero, la vita è questione di prospettive e di esperienze. godi e sudi nello stesso istante in cui un altro suda e crepa. e un giorno toccherà a te essere dalla parte sbagliata della giostra. che schifo e che presa per il culo.
non ce la faccio a rimanere, restare per cosa poi, per farmi vincere da questo senso di colpa dell’essere stato nel posto giusto, con gli anni giusti e i divertimenti di rito, mentre lui quasi tirava il calzino?
tanto la passa liscia ed io non sono una merda anche se così mi sento.
c’ho un esame dopodomani, la scusa è buona.
e se parto in tempo rimedio un’altra trombata stasera, e questo è un ottimo motivo.
meglio andare.
Inviato da: nagual_juan
il 01/01/2011 alle 02:07
Inviato da: goetterbote
il 01/12/2009 alle 18:47
Inviato da: venuss99
il 28/11/2009 alle 13:33
Inviato da: chimicamd
il 28/11/2009 alle 07:38
Inviato da: venuss99
il 12/11/2009 alle 14:47