Sembra che non tutti gli abitanti del paese fossero contenti del processo alle streghe, che sarebbe venuto a costare molti denari e a portare gravi pericoli. Serpeggiava dunque il malcontento, anche perché le accuse delle prime donne torturate si erano estese fino a toccare donne appartenenti alle famiglie aristocratiche o benestanti. E intanto si erano verificate delle morti: una delle prime arrestate, Isotta Stella, una povera donna ultrasessantenne, era morta in seguito alle torture inflittele. Un'altra, accusata di stregoneria, morì in seguito alle ferite riportate, per sfuggire alla tortura, nel gettarsi dalla finestra della stanza in cui era custodita. Viene poi considerata simbolo delle donne accusate di stregoneria Franchetta Borelli, di famiglia benestante, che, ostinata a negare ogni colpa, resistette ai tormenti del cavalletto per più di ventun ore, per cui, il giudice, visti inutili i tormenti inflitti, la fece slegare e ricondurre in prigione. Dopo qualche giorno, dopo esser stata esorcizzata da un sacerdote, fu nuovamente torturata, ma neppure questa volta confessò. Si presume che, dopo altre vicende, fosse poi stata liberata, perché morì alcuni anni dopo cristianamente sepolta.
Constatato che a questo punto la lista delle sospettate di stregoneria elencava ormai duecento donne, tra cui molte esponenti dell'aristocrazia locale, il Consiglio degli Anziani si trovò in grave imbarazzo e cominciò a pensare che presto sarebbe stata coinvolta tutta la popolazione. Per riparare al danno il Consiglio espose, in una lettera ufficiale al Doge di Genova, un aspro rimprovero all'operato del vicario del Vescovo.
Il Doge incaricò il governatore di investigare; col proseguire della vicenda, il 16 gennaio 1588 il Doge informò il vescovo di Albenga, a causa della lettera ricevuta dal Consiglio degli Anziani, di chiarire i fatti ed eventualmente procedere. Di conseguenza, il vescovo scrisse immediatamente al proprio vicario chiedendo spiegazioni. Il 25 gennaio il vescovo di Albenga fece giungere al Doge una lettera, ricevuta pochi giorni prima, in cui il vicario mandato da Genova si discolpava e difendeva il proprio operato. Egli nella sua lettera comunque prometteva di non mettere in atto nuovi processi e di limitarsi ai primi per i quali si era recato a Triora. A questo punto, gli Anziani accettarono il compromesso ed il 20 gennaio scrissero nuovamente a Genova dichiarandosi soddisfatti di questa nuova posizione.