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crisi economica, i lavoratori tornano in piazza

Post n°14 pubblicato il 02 Aprile 2009 da SIAMOVIVI_VENETO
 

Sabato 4 aprile grande manifestazione nazionale CGIL
per una politica economica che tuteli i lavoratori  e non
scarichi il peso della crisi economica sulle classi meno abbienti

PER UNA POLITICA DIVERSA,
DALLA PARTE DEI PIU' DEBOLI!

Intervista a Guglielmo Epifani, segretario generale CGIL.

Sabato sarà il giorno del «suo» Circo Massimo. In attesa, Guglielmo Epifani è a Londra per il G20, occasione per presentare ai potenti del mondo, riuniti nel summit per fronteggiare la crisi economica globale, il punto di vista sindacale sulla crisi. Nel giorno in cui l'Ocse paventa per il prossimo futuro un rischio-collasso per la «coesione sociale». Il pensiero del segretario generale della Cgil va alla manifestazione del 4 aprile, ma anche al dopo:

«Se, dopo l'accordo separato sugli assetti contrattuali del 22 gennaio, verranno varati i decreti attuativi di quell'intesa - nei termini anticipati qualche giorno fa dal manifesto - la Cgil non potrà che opporsi e chiederne la verifica con il voto dei lavoratori».
Iniziamo dalla crisi e da come l'affrontano i governi. Secondo Dahrendorf il G20 sarà un fallimento. Le politiche nazionali messe in atto o annunciate sono impotenti o persino dannose?
Abbiamo presentato al premier britannico Gordon Brown il documento del Global Union perché lo trasmetta agli altri capi di governo. Chiediamo di cambiare passo, di affrontare la crisi coordinando le politiche economiche e sociali, di tener conto dei problemi occupazionali che stanno aumentando, investimenti a sostegno dei redditi, politiche industriali non protezionistiche. Perché se abbiamo governi e stati che spendono molto a sostegno delle loro industrie e governi che non spendono nulla, è evidente che chi spenderà di più difenderà i frutti degli investimenti fatti, alzando barriere protezionistiche. Devono tener conto della nostra opinione, perché questa è una crisi che colpisce essenzialmente il lavoro. Debbo però registrare che Brown non è sembrato particolarmente attento ai nostri argomenti.
Ma cosa chiedete oltre agli ammortizzatori sociali? Quale ruolo prefigurate per l'intervento pubblico?
Al pubblico innanzitutto chiediamo di definire, in maniera universale, le regole di controllo dei mercati finanziari, che lasciati senza regole e controlli producono fenomeni speculativi che ci portano a questo straordinario impoverimento di gran parte del mondo. In secondo luogo, politiche pubbliche di coordinamento delle scelte di ciascun paese. Poi, investire: dove? In settori che possono avere un senso strategico, a partire dall'economia sostenibile, a partire dall'energia. Ricreare cioè le condizioni, così come fu con l'informatica, per uno sviluppo sostenibile.
Poniamo che ci sia un coordinamento europeo dei governi, fino a che punto un soggetto pubblico può intervenire nelle politiche di indirizzo delle imprese?
Facciamo un esempio concreto, l'auto. La Francia fa interventi di dimensioni enormi, altri paesi pure, l'Italia fa il minimo indispensabile e tutto questo finisce per alterare il mercato. Quello che si chiede all'intervento pubblico non è un coordinamento astratto, ma un coordinamento che metta i produttori nelle condizioni di avere almeno un plaphon uguale di risorse e di misure. Altrimenti davvero si scatena poi una logica tutta protezionistica e nazionalistica, in cui ognuno salva sé stesso, magari fa riportare in patria produzioni delocalizzate ma così creando pensa a sé e un pochino meno ai paesi che avrebbero bisogno di non avere altri danni dalla crisi.
Esclude l'intervento diretto in economia, uno stato imprenditore?
Ma no, non lo esclude più nessuno. Già quello che sta avvenendo su banche e assicurazioni è un intervento diretto in economia, nel capitale azionario. L'industria automobilistica tedesca è quasi tutta direttamente in mano pubblica, la Renault pure. Dove è necessario si può fare. Io penso sia prioritario un intervento pubblico sulle grandi reti di protezione sociale e di formazione, dalla sanità alla scuola. E' lì che andrebbero investite massicciamente le risorse pubbliche. Perché gli interventi pubblici peseranno sui deficit degli stati e - passata la crisi - avremo salvato le banche presentando il conto allo stato sociale, per tagliare poi in settori essenziali dove il pubblico invece deve restare.
La crisi semina panico: vede delinearsi un pericolo populista?
Sì. I valori, le scelte e gli che si affermano in questa crisi segneranno anche il dopo. Se tu lasci le persone sole aumenta sfiducia e rassegnazione, talvolta anche paura. Su cui alberga la xenofobia di fondo. Per questo servono politiche pubbliche sulle reti di solidarietà e cittadinanza. In caso contrario davvero tu lasci le persone ad arrangiarsi, a pensare solo a se stesse e questo non fa che alimentare corporativismi, chiusure individualistiche e comportamenti che talvolta possono essere regressivi.
Però anche il sindacato qualche responsabilità ce l'ha, per esempio nel farsi «concorrenza» tra un paese e l'altro, nell'essere terribilmente indietro sulla strada di un sindacato europeo.
Vero, ma contrariamente ad altre fasi vedo prender piede una consapevolezza nuova per le organizzazioni sindacali europei e mondiali, perché effettivamente c'è stato un lavoro di coordinamento, di discussione, molto più approfondito. Poi quando ci si chiude nei singoli paesi in parte questo si smarrisce, è il limite che ancora abbiamo nel sindacato europeo. Quello che rimproveriamo al governo e agli stati, in realtà lo dobbiamo rimproverare anche a noi.
Veniamo a sabato. Terza volta al Circo Massimo, sempre contro Berlusconi. L'accusa è che fate politica: intransigenti col centro-destra e morbidi col centro-sinistra.
Rispondo che noi siamo sempre gli stessi - a prescindere dal colore dei governi - e che ci siamo mossi dall'inizio chiedendo al governo di centro-destra un confronto vero su come affrontare la crisi, sulle priorità, sulle misure sociali, sulla difesa dei diritti del lavoro. Per la verità ci siamo trovati una serie di muri, il tentativo di dividere il sindacato scientemente, esplicitamente, e la mancanza di tavoli di confronto. Sia sulle scelte di carattere generale che sulle stesse crisi aziendali o di settore, dalla Fiat alla chimica. Il governo agisce in maniera del tutto autoreferenziale, scegliendo cosa fare solo quando non può fare a meno e sostanzialmente lavorando su una politica di bilancio molto restrittiva. Perché al netto degli interventi fatti nei confronti delle banche il nostro governo ha stanziato fino adesso 4 miliardi di euro, praticamente nulla.
Ma se c'è un disegno politico, perché Cisl e Uil hanno firmato il 22 gennaio?
Me lo spiego così: pensano che di fronte a un governo e a una maggioranza molto forti, l'unico modo per strappare qualcosa sia stare dentro quel disegno. È il punto vero che ci differenzia. In particolare la Cils è convinta che gli spazi di contrattazione si riducono e quindi conviene puntare di più a un uso combinato della statalità e della gestione dei servizi per tutelare il mondo del lavoro. Io credo che sia uno sbaglio. Perché è vero che è più difficile contrattare oggi, in un mondo globalizzato e senza regole, ma questo implicherebbe uno sforzo in più per vedere come rinnovare e rinforzare la contrattazione, non come diminuirla. Come l'accordo del 22 gennaio propone.
A proposito di quell'accordo, i maligni sospettano che siate stati spinti alla mobilitazione dal fallimento di una strategia che puntava a un'intesa con Confindustria per arginare il governo. E, invece Confindustria vi ha mollati.
«No, non è questo. Penso che il sindacato e la Confindustria dovrebbero essere interessate a un'intesa di fondo tra i soggetti decisivi nel mondo del lavoro. Ed è un ragionamento che si chiarisce meglio a proposito degli enti bilaterali: importanti, ma sempre come «arma», come strumento e possibilità in più che ha un sindacato per completare le funzioni e gli spazi di rappresentanza dei bisogni e dei diritti dei lavoratori. Se invece gli enti bilaterali diventano l'alternativa alla contrattazione del sindacato è evidente che servono a indebolire il ruolo del sindacato confederale. Ma tornando alla tua domanda, in questo caso sono prevalsi anche dentro Confindustria i settori che pensano di usare la crisi per indebolire e ridurre gli spazi di contrattazione. Questa è la verità.
Dopo il 4 aprile, se passano le note applicative dell'accordo del 22 gennaio, che farà la Cgil?
Nei prossimi giorni gli altri sindacati firmeranno le note applicative del settore confindustriale. Noi risponderemo tenendo fermi nei nostri comportamenti contrattuali le nostre impostazioni, sia per il contratto nazionale sia per la contrattazione di secondo livello. Insieme rilanceremo con forza la questione della verifica democratica tra i lavoratori. Perché la democrazia o vale sempre e per tutti o non è.

I c.d. "Grandi" della terra si ritrovano a Londra per il summit del G-20 e fingono di affannarsi a trovare risposte ad una crisi economica che è non solo globale ma strutturale in quanto investe le dinamiche di fondo ed incrina i pilastri portanti del modello di sviluppo economico-sociale basato sull'ideologia liberista. Mentre i leaders mondiali discutono e intanto banchettano a base di ostriche e caviale, i lavoratori, i disoccupati, gli studenti tornano a riempire le piazze ed a gridare la loro protesta ed urlare la loro rabbia ed esasperazione da Parigi a Francoforte, da Berlino a Londra, fino ad espandersi in tutta Europa.

Anche in Italia, dove la rabbia sociale serpeggia evidente nei ceti deboli ma sembra faticare a trovare sbocchi ed a manifestarsi in forme conclamate, i lavoratori tornano a mobilitarsi e decidono di tornare in piazza sabato 4 aprile per una grande manifestazione nazionale. La manifestazione è stata indetta ed organizzata dalla CGIL per sollecitare il Governo ad attuare una politica economica e sociale radicalmente diversa.

L'obiettivo è quello di costringere gli attori politici e sociali (compresi gli altri sindacati confederali che hanno firmato l'accordo separato sgli assetti conrtrattuali) a mettere al centro di ogni politica anticrisi la gravissima situazione di sofferenza dei ceti popolari, dei lavoratori a reddito fisso, dei cassaintegrati e dei disoccupati, degli studenti senza più speranza di un futuro degno di questo nome e di tutte quelle categorie sociali ( compresi gli immmigrati regolarmente soggiornanti in Italia e che con il proprio lavoro concorrono al PIL nazionale ) sui quali i poteri forti (grandi imprese, banche, istituzioni finanziarie e loro governi "amici") stanno cercando di scaricare tutto intero il peso della crisi. Di una crisi  di cui essi stessi sono, com'è di tutta evidenza, i soli responsabili. Per questo aderiamo alla manifestazione di sabato ed invitiamo tutti coloro che si riconoscono e condividono questa protesta a parteciparvi attivi e numerosi.

Roma, Circo Massimo
4 aprile 2009

per info sull'organizzazione:

www.cgil.it 

 
 
 
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