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Post N° 653

Post n°653 pubblicato il 25 Aprile 2006 da corsaramora
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Ogni anno che ci allontana da quel 25 aprile del 1945, e che ci richiama a questa data fermata nel calendario delle feste civili della Repubblica, accade di dover riflettere sulla memoria collettiva degli italiani e sui caratteri che ne derivano per descrivere la nostra storia nazionale. Per le generazioni che hanno vissuto, tra l’adolescenza e la prima giovinezza, gli anni della guerra, della caduta del fascismo, della resistenza partigiana, della cacciata dei tedeschi, liberazione ha significato insieme fine della dittatura e dell’occupazione straniera, ritorno alla pace. Ma già per i meno giovani d’allora, liberazione non aveva questo significato univoco e felicemente liberatorio. La guerra civile con tutte le sue crudeltà, e la sconfitta militare con le sue umiliazioni avevano lasciato cicatrici profonde e dolorose. Liberazione era la vittoria di una parte, e tutto quello che ne derivò: la Repubblica, la Costituzione, le libertà democratiche apparvero a lungo come di parte.

La Democrazia cristiana raccolse un blocco moderato che si dette una ragione della liberazione come uscita epocale dal dominio della violenza politica, della «statolatria», del nazionalismo anacronistico e contrario all’universalismo e pacifismo della Chiesa, e insieme ingresso in un’era nuova, laboriosa, della ricostruzione e poi dello sviluppo economico. In simmetria, un altro blocco di proletariato e ceti medi emergenti, che nella liberazione vedeva l’inizio di un processo di promozione ed emancipazione delle classi, come si diceva, subalterne, che reclamavano, traverso i partiti di sinistra, l’attuazione della Costituzione ostacolata dagli interessi dei gruppi sociali conservatori. Fu da quelle due distinte «liberazioni» che cominciarono a crescere le radici della crisi della politica in Italia. Gli anni di piombo ce li siamo sanamente dimenticati. Ma se rivediamo qualche film, o rileggiamo qualche libro di narrativa o di saggistica, o qualche pagina di giornale di allora, torneremo a rivivere stati d’animo, di tensione, di allarme, di ansia da insoddisfazione di non sapevamo che cosa, che turbavano gli studenti nelle scuole e nelle università e poi passavano nelle famiglie, e continuavano sotto traccia, e chissà con quali metamorfosi, nella clandestinità dell’eversione terroristica. Gli eventi degli anni successivi, le analisi non più soltanto di osservatori isolati o di parte, ma di commissioni parlamentari bicamerali, misero in luce l’inadeguatezza del nostro sistema politico a governare una economia che chiedeva meno Stato e più mercato, una società disordinata da rapidi processi evolutivi che lamentava al contrario troppo poco Stato, vale a dire l’assenza o il ritardo di una legislazione di grandi riforme. Proprio quando mutava la geometria degli schieramenti dei partiti e si legittimava all’alternanza del potere la sinistra, e la destra si staccava dalla matrice fascista, il Paese si divise, o fu diviso, su che cosa dovesse essere lo Stato, unitario o regionalista o federale, che cosa il governo, se presidenziale, semipresidenziale, parlamentare; che cosa la giustizia, se soggetta soltanto alla legge o dipendente dal Parlamento e dal governo; se la nazione dovesse proteggersi dalla sovranazione europea o viceversa cedere a questa molte parti della propria sovranità, se si dovesse restare estranei o meno ad ogni intervento militare nelle vicende geopolitiche della pace e della guerra, se la laicità significa libertà religiosa dei cittadini o rottura di ogni rapporto tra Stato e Chiesa. Insomma, la istigazione a dividere, che corrisponde alla parabola evangelica della semina della zizzania, è giunta a contare perfino tre Repubbliche, nelle scansioni temporali della nostra vita pubblica. Non c’eravamo accorti della seconda che ci hanno avvertiti di essere già nella terza. A questo punto, che vale ricordare la liberazione come evento fondativo di un cammino già spezzato tre volte? È una riflessione amara, ma può giovare ad orientare criticamente le nostre coscienze, quando le decisioni collettive ci vengono demandate quali elettori. Le inconcludenti divisioni, in nome non di ideali, di idee, di progetti, ma di descrizioni mitologiche della realtà, non contribuiscono alla fortuna dei popoli liberi

il mattino

 
 
 
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