Creato da corsaramora il 24/05/2005
tutto cio' che ci accade intorno ..mie riflessioni e non...
 

 

Post N° 717

Post n°717 pubblicato il 16 Settembre 2006 da corsaramora

Fra ambizione e fanatismo, una vita in guerra perenne
È morta ieri a 77 anni Oriana Fallaci, scrittrice e giornalista, nota ovunque per le sue interviste. E per le sue rabbiose esternazioni antiislamiche

 
 
 

Post N° 716

Post n°716 pubblicato il 23 Agosto 2006 da corsaramora

"Una politica di deliberata distruzione delle infrastrutture civili libanesi". E' quanto emerge dall'ultimo rapporto di Amnesty International sul conflitto tra Israele e Libano intitolato "Deliberata distruzione o danni collaterali? Gli attacchi di Israele contro le infrastrutture civili". Il rapporto accusa apertamente il governo israeliano di aver preso di mira postazioni di Hezbollah e sue strutture di appoggio a danno di numerosi civili, commettendo veri e propri "crimini di guerra".

Secondo l'organizzazione per i diritti umani la distruzione di migliaia di abitazioni e il bombardamento di ponti, strade e depositi di carburante sono stati "parte integrante della strategia militare israeliana in Libano". Non si è trattato quindi secondo Amnesty di "danni collaterali", derivanti da attacchi legittimi contro obiettivi militari, ma di "attacchi sproporzionati e indiscriminati".

Il rapporto, riferisce Amnesty, si basa su informazioni e prove raccolte durante la recente missione in Libano dai ricercatori della associazione e contiene interviste a funzionari delle Nazioni Unite, a militari dell'esercito israeliano e del governo libanese e a decine di feriti.

L'associazione ritiene ora necessaria un'inchiesta urgente da parte dell'Onu sulle violazioni del diritto umanitario commesse da Hezbollah e da Israele nel mese di conflitto. "Questa inchiesta - sottolinea Amnesty - dovrebbe prendere in esame soprattutto l'impatto del conflitto sulla popolazione civile e dovrebbe avere l'obiettivo di chiamare i singoli responsabili di crimini di diritto internazionale a rispondere del proprio operato nonchè di assicurare piena riparazione alle vittime".


 
 
 

Post N° 715

Post n°715 pubblicato il 23 Agosto 2006 da corsaramora

                         

Omnibus ieri mattina ha affrontato il tema drammatico dell´immigrazione, con la partecipazione inadeguata della Mussolini e di Isabella Bartolini di Forza Italia, che hanno sostenuto la Bossi Fini, nonostante le prove sanguinose della sua inutilità. La Mussolini ha perfino lamentato che, tra un po´, saranno gli italiani a doversene andare, dimenticando che milioni di italiani sono dovuti scappare per fame e persecuzione dalla dittatura di suo nonno. La Bartolini ha invece sostenuto che la colpa di tanto dolore sarebbe tutta del «buonismo della sinistra». E inutilmente il sociologo Ferrarotti ha spiegato che siamo di fronte a movimenti epocali inarrestabili e indispensabili a riequilibrare la geografia umana del pianeta. Facendo anche notare come proprio dalle regioni italiane che hanno più bisogno del lavoro degli immigrati vengano le voci e le politiche xenofobe. A riprova del fatto che neppure l´economia può smuovere la miseria morale e intellettuale di una destra che non ha neppure il diritto di definirsi borghese

l'unita'

 
 
 

Post N° 714

Post n°714 pubblicato il 15 Agosto 2006 da corsaramora

CIAO ANGELO

 
 
 

Post N° 713

Post n°713 pubblicato il 14 Agosto 2006 da corsaramora

                       

Le autorità europee hanno stabilito che è legittimo, per le aziende, non assumere fumatori. Il provvedimento, direttamente ispirato a una grida spagnola del 1623 contro gli affetti da scorbuto, ha riempito di entusiasmo i proibizionisti di tutto il mondo, che esultano e stanno studiando nuove e sempre più raffinate strategie di tutela della salute pubblica.

Fumo passivo Nuovi studi scientifici confermano la pericolosità del fenomeno. Un'impiegata di Seattle è morta, investita da un'automobile, mentre fuggiva urlando da una toilette dove un suo collega si era appartato con un sigaro Avana. Drammatico il caso delle gemelle siamesi Linda e Sarah Lo Bianco: una è fumatrice, l'altra no, e ha querelato la sorella. Ma è un caso limite: Linda costringeva Sarah a reggerle il posacenere. Allo studio un provvedimento che vieta di fumare anche all'aperto, a meno che non si sia controvento, oppure dotati di un bidone aspiratutto a rotelle applicato alla schiena del fumatore, per risucchiare il fumo quando esce dai polmoni.

Assunzioni Oltre ai tabagisti, si sta pensando di estendere il divieto di assunzione anche ai mangiatori di legumi. Secondo uno studio dell'autorevole Maniac Institute, la flatulenza passiva sui luoghi di lavoro è una vera e propria piaga sociale. Le emissioni di gas intestinale in ambiente chiuso costringono i presenti ad arricciare il naso in segno di disgusto, provocando gravi alterazioni della fisionomia e costringendo, alla lunga, a costosi interventi di chirurgia plastica. Una segretaria di Birmingham, per dieci anni compagna di ufficio di un forte mangiatore di legumi, ha chiesto e ottenuto un risarcimento di 5000 mila sterline perché soffre di polmonite cronica, dovendo stare, anche d'inverno, affacciata alla finestra. Per giunta, deve lavorare sul davanzale, imbrattando le carte con gli escrementi di piccione ed esponendosi alle dure critiche del suo principale. Negli Usa stanno sorgendo diversi centri di recupero per legumodipendenti, con una terapia a scalare: si passa dallo spaventoso fagiolo alla più blanda lenticchia fino ad approdare a un blando surrogato come le palline di polistirolo, che si evacuano ancora intere e assorbono i residui di gas intestinale.



Assunzioni 2 Presto sarà vietato assumere anche i lentigginosi: recenti studi (sempre del Maniac Institute) dimostrano che fissare per tutto il giorno un lentigginoso può provocare seri danni alla vista, perché la messa a fuoco delle lentiggini logora il nervo ottico. Malvisti anche gli obesi in seguito alla recente scoperta dell'obesità passiva: salire in ascensore con un obeso può provocare frustrazione per l'evidente sproporzione dello spazio occupato. Per giunta le briciole che ristagnano intorno alla scrivania di un obeso attirano formiche e altri animali dannosi, innescando fobie o costringendo il collega dell'obeso a fare un uso spropositato di insetticida tossico. O a rovinarsi le scarpe schiacciando gli scarafaggi.

Casi allo studio Il professor David Blutarsky, consulente del governo americano per la Tutela delle Vittime da Sindrome Passiva, si mette le mani nei capelli. "Dovunque ti giri, trovi un disastro. E ogni luogo di lavoro è una minaccia per la salute. Per esempio gli arabi urlano come dannati, assordando i colleghi. Gli asiatici fanno un maledetto odore di aglio, non passa neanche se gli fai fare la doccia con il napalm. I neri si vestono con dei colori pazzeschi, solo vederli entrare in ufficio provoca l'emicrania, e la frase 'Ma come cazzo ti sei vestito stamattina, Joe?' è la più pronunciata nelle aziende americane, e ostacola la produzione. Le femmine chiacchierano tutto il santo giorno. I maschi hanno ascelle micidiali. I vecchi turbano fortemente il senso estetico, con quegli accidenti di rughe dappertutto, la pappagorgia eccetera. Non parliamo neanche dei fottuti giovani, che fanno venire la depressione ai più anziani perché pensano che creperanno molto prima di loro. E quanto ai non fumatori, non creda che siano molto meglio dei fumatori, le analisi dell'alito rivelano tanti microbi quanti ne basterebbero a sterminare l'intera Cina, e Dio sa se mi piacerebbe. Sa che cosa le dico? Bisognerebbe chiudere tutti gli uffici e i negozi e i luoghi pubblici di questo fottuto paese. La promiscuità uccide. Il prossimo è pericoloso. La gente è un'arma letale. Dovrebbero stare tutti chiusi in casa a lavorare col computer. L'intera società andrebbe chiusa in blocco, caro signore".
 
 
 

Post N° 712

Post n°712 pubblicato il 14 Agosto 2006 da corsaramora

ben trovati e buon natale...opsss..buon ferragosto

                                         

 
 
 

Post N° 711

Post n°711 pubblicato il 02 Agosto 2006 da corsaramora

Il discorso è difficile e troppe volte è stato evitato. Eppure è indifferibile affrontarlo, sfidando l’impopolarità e perfino la incomprensione. Nel Medio Oriente non è oggi in corso una delle tante dolorose guerre locali tra lo Stato d’Israele e le organizzazioni militarizzate dei Palestinesi. Ormai si è di fronte ad una guerra che coinvolge, in forme ancora diverse, tutti o quasi gli Stati della regione. Sono coinvolti gli Stati islamici radicali (Siria e Iran), che controllano o dominano (poco conta la differenza) il Libano e l’Autorità Palestinese, dove, non dimentichiamolo, elezioni democratiche hanno portato al governo forze estremistiche e terroristiche. Ma coinvolti sono, indirettamente, anche gli Stati arabi moderati (Egitto, Giordania, Arabia Saudita), ridotti al silenzio nel timido tentativo di conservare la propria attuale configurazione politica (aperta alla collaborazione, più o meno fedele, con l’Occidente), salvandola dal rischio del radicalismo, allignante nella popolazione. Sono convinto che serva poco e significhi poco cercare i responsabili di questa situazione tra i belligeranti. I responsabili sono altrove. Grande è la responsabilità degli Stati Uniti, che da decenni strumentalizzano Israele, facendone il proprio gendarme per vigilare una delle zone più ricche di petrolio, necessario al proprio sviluppo economico. 

Le amministrazioni democratiche (basti ricordare quella di Bill Clinton) avevano avvertito il modificarsi della situazione dopo decenni di subordinazione araba e avevano cercato di trovare una soluzione. L’amministrazione repubblicana, dominata da un pericoloso neoconservatorismo, ha interrotto questi sforzi e aggravato la situazione, in nome della guerra preventiva e dell’unilateralismo della massima potenza militare del mondo. Non discuto la gravità dell’attentato delle due torri. Ma siamo sicuri che la guerra in Iraq (non sto parlando di quella in Afghanistan, legata appunto all’attacco terroristico), sia stata una risposta al terrorismo? Rimasi colpito quando, in un seminario organizzato dal gruppo Ds del Senato, in previsione della guerra in Iraq, un esperto disse che la vera ragione era altra. Ricordo che, proseguendo ai ritmi attuali, tra il 2025 e il 2030 la Cina sarà la maggiore potenza mondiale e che gli Stati Uniti cercano di arginare questa evoluzione, controllando le fonti di energia, e di ritardarla in tutti i modi, creando un nuovo e diverso equilibrio geo-politico e strategico. Credo che la tesi meriti di essere considerata attentamente, senza escludere, di certo, la risposta al terrorismo, ma evitando di ergere questo ad alibi di ogni azione sbagliata. Ma come e chi può dire con serietà che in Iraq si sta costruendo la democrazia, quando ormai è quotidiano il bollettino degli attentati e delle decine di morti? Ancora. Mi sembra difficile non prestare attenzione alla minaccia dell’opzione militare per controllare lo sviluppo atomico iraniano. Che non possa essere questa un’altra opzione unilaterale e preventiva per bloccare un pericolo di proliferazione atomica, costi quel che costi, una simile opzione, potendosi contare su una potenza militare oggi senza confronti? Israele va difeso in ogni modo. Ma non può correre il rischio di trasformare la propria difesa in un ricatto morale verso l’Occidente, in nome di ciò che l’Occidente (sia pure in una sua forma patologica) ha fatto soffrire al popolo ebreo. Ha ragione il Papa: la violenza non si ferma con la violenza. I valori morali, religiosi, civili non si difendono con le crociate. Aiuta Israele chi chiede di non usare la legge del taglione. Il discorso è difficile, l’ho detto. Ma l’antisemitismo si vince se non si deve condannare Israele per le stragi di bambini (come quella di Cana) e di civili. L’antisemitismo si vince in nome dei valori della solidarietà, della tolleranza, del rispetto, della libertà. L’antisemitismo si vince se non si strumentalizza Israele, in nome del suo sacrosanto diritto alla difesa, alla vita tranquilla, come uno Stato tra Stati diversi e autonomi, e non perché serva agli interessi strategici di qualche potenza o superpotenza. 

il mattino


 
 
 

Post N° 710

Post n°710 pubblicato il 29 Luglio 2006 da corsaramora

SCHEDA

Tutti i reati esclusi dall'indulto
L'AULA di Palazzo Madama ha dato il disco verde definitivo al provvedimento di clemenza che è costituito da un solo articolo (diviso in cinque commi), prevede uno sconto di pena di tre anni per i reati commessi entro il 2 maggio 2006.

L'indulto, prevede il testo, "è concesso per tutti i reati commessi fino a tutto il 2 maggio 2006 nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10mila euro per quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive". Escluse, invece, dai benefici dell'indulto le pene accessorie temporanee.

L'indulto non si applica per i delitti previsti dai seguenti articoli del codice penale: associazione sovversiva; associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico; arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale; addestramento ad attività con finalità diterrorismo anche internazionale; attentato per finalità terroristiche e di eversione; atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi".

Lo sconto di pena è escluso anche per i "delitti di devastazione, saccheggio e strage; sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione; banda armata; associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale; associazione di tipo mafioso; strage; riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù".

Esclusi dai benefici dell'indulto anche coloro che si sono resi responsabili di delitti come "prostituzione minorile; pornografia minorile; detenzione di materiale pornografico; iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile; tratta di persone; acquisto e alienazione di schiavi; violenza sessuale; atti sessuali con minorenne; corruzione di minorenne; violenza sessuale di gruppo".


L'indulto non si applica nemmeno per gli autori di "sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; riciclaggio, limitatamente all'ipotesi che la sostituzione riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope. Il provvedimento di clemenza non si applica per i "delitti riguardanti la produzione, il traffico e la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, previsti dall'articolo 73 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza nonchè per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope".
Escluso dai benefici dell'indulto anche il reato di usura.

I benefici, prevede ancora il testo, sono "revocati di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni".

 
 
 

Post N° 709

Post n°709 pubblicato il 26 Luglio 2006 da corsaramora

                                  

 Avrà il giusto effetto mediatico l’appello al «cessate il fuoco» che, tra molte strette di mano, partirà probabilmente questo pomeriggio dal vertice di Roma convocato in fretta sull’ultima grande crisi mediorientale. Ma al di là del passaggio obbligato sulla «tregua subito», che sarà accompagnato dalla improcrastinabile avvio di un corridoio umanitario che dia sollievo ai libanesi finiti nella trappola della guerra, il successo del summit si misurerà su un altro, più vasto terreno. È del futuro che, in proprio o conto terzi, sono tenuti con urgenza ad occuparsi i 16 Paesi partecipanti finalmente richiamati, anche per la determinazione della diplomazia italiana, ad abbandonare i riti delle prese d’atto accompagnate da dichiarazioni di intenti e codicilli di disattese risoluzioni messe a punto in sede Onu. Se una regione pericolosamente ribolle per un incendio che può ancora di più propagarsi, non poco si deve all’inerzia che di una comunità internazionale troppo a lungo paralizzata e distratta dal conflitto iracheno i cui riflessi non hanno tardato a manifestarsi prima in Terrasanta e poi, con violenza inaspettata, sullo scenario libanese. Che l’uscita dal lungo letargo possa transitare per Roma non è soltanto un auspicio. Quasi rappresenta un dovere cui i grandi protagonisti della politica mondiale forse hanno avvertito di non potersi sottrarre anche mettendo nel conto, come nel caso degli Stati Uniti, correzioni che contano alle stategie che si erano dati

La Rice che approda in Italia, dopo qualche colloquio anche con gli arabi, resta il grande avvocato di fiducia di Israele, ma nel momento in cui afferma a Gerusalemme che bisogna arrivare ad un «nuovo Medio Oriente», che si intende stabile e in pace, con la nascita dello Stato palestinese, sembra meno intrisa di quell’unilateralismo che ha caratterizzato la politica da sfasciacarrozze dell’Onu di George W. Bush. Nè persevera nella insofferenze da incomprensione verso l’Europa, o almeno con la parte di essa meno servile, che ha caratterizzato negli ultimi anni la politica di Washington. Anzi quasi si fa paladina di uno sforzo globale che coinvolga ancora una volta i regimi arabi moderati alla ricerca di ruoli e funzioni da opporre alle spinte radicali che, dopo l’offensiva israeliana nel Libano, hanno ripreso a minacciarli. Certo, quello di Roma, non sarà un tavolo alla pari, ma nato come è dalla tanto contestata equivicinanza del governo italiano, nemmeno lascerà che molti dei protagonisti rimangano in ombra. A cominciare dall’Egitto che ancora insegue una ledership politica regionale e si propone di costituire il nucleo centrale della forza di interposione di almeno ventimila uomini che prima o poi verrà schierata nel sud del Libano, con piena soddisfazione di Israele, felice di affidare a «contingenti più affidabili di quelli del passato» la costosa gestione della fascia di sicurezza che sta allestendo al di là dei propri confini. Oltre alle voci di Tel Aviv, che arriveranno per interposta persona e con il sostegno degli Stati Uniti, ci saranno anche da ascoltare quelle di altri che possono in qualche maniera dialogare con le frange oltranziste del mondo musulmano, togliere l’alone del sospetto che grava sulla Siria e trovare anche una via di uscita «politica» per Hezbollah inorgoglita dalle proprie capacità di resistenza che hanno sorpreso anche i generali di Israele. Nè si potrà liquidare come un lamento la denuncia dell’orrore che il libanese Siniora, il primo ministro di un Paese finito senza reagire sotto il martello dei carri e degli F16, si riserva di fare, cifre alle mani e con la dose di rancore antisraelianio che gli suggerisce il dramma che il suo popolo sta vivendo dopo essersi scrollato dalle spalle parte dell’opzione di Damasco ed avere vissuto l’esaltante e breve stagione della resurrezione. Se lo spirito della conferenza è quello di perseguire obiettivi di stabilità a lungo termine, già fatti propri da Mosca, dalla Germania e naturalmente anche dall’Italia, tornata ad essere particolarmente attenta alle tematiche mediorientali nella loro globalità, risulterà fortemente ridimensionata la teoria della risoluzioni dei conflitti affidate alle armi e quindi alla determinazione dei più forti, siano o meno portatori di diritti e ragioni. I sorrisi che al suo arrivo a Roma ha dispensato Kofi Annan, ormai a fine mandato, indicano anche che le Nazioni Unite sono fortemente orientate a lasciare l’angolo in cui sono finite per colpe altrui e per intrinseca debolezza. Al momento il segretario generale, che già si è scontrato con Israele e Stati Uniti quando ha proposto di modificare il mandato delle truppe Onu già presenti ai confini del Libano, sembra avere adottato una strategia a geometria variabile in attesa che dalla conferenza di oggi gli vengano indicazioni. Ma già sa di poter contare sulla ritrovata vivacità di un’Europa che come ha ricordato Javier Solana, responsabile della politica estera dell’Ue, garantisce una presenza forte e compatta sotto l’egida dell’Onu che sia in grado di imporre il disarmo agli irriducibili di Hezbollah. Ma anche, per sua natura, di non garantire ad alcuno assoluzioni preventive.

il mattino

 
 
 

Post N° 708

Post n°708 pubblicato il 23 Luglio 2006 da corsaramora

Le misure di liberalizzazione avviate dal governo in diversi settori, dai servizi professionali al commercio, alla produzione di pane, alla distribuzione dei farmaci, alle licenze dei tassisti, alle assicurazioni delle auto, ai conti correnti bancari, hanno suscitato proteste, agitazioni, scioperi delle categorie che si ritengono colpite nei loro piccoli o grandi interessi. In qualche caso (come per i tassisti) le agitazioni sono riuscite a ridimensionare la portata dei provvedimenti, in altri casi (gli avvocati e i farmacisti) le categorie scese in campo puntano allo stesso risultato se non a cancellare del tutto le nuove regole. In altri gruppi sociali i provvedimenti governativi hanno invece riscosso consensi perché ritenuti capaci di difendere gli utenti dalle pretese eccessive di alcune corporazioni presenti nei servizi alla popolazione. I consensi sono venuti finora soprattutto dalle associazioni dei consumatori nonché da molti economisti, i quali ritengono che solo liberalizzando i mercati si potrà dare una spinta non effimera alla ripresa economica. Poche sono state tuttavia finora le voci favorevoli alla liberalizzazione provenienti da un altro segmento sociale, quello dei giovani scolarizzati, diplomati e laureati, soprattutto meridionali. Eppure questa fascia della popolazione è vitalmente interessata a ridurre le barriere all’entrata nei servizi che impediscono l’accesso di molti giovani alle attività professionali. 
Il mercato dei servizi professionali, non solo quelli dei legali e dei farmacisti, è per sua natura un mercato opaco, poco trasparente, dove la qualità e i prezzi delle prestazioni non sono facilmente percepiti dagli utenti. Qualità migliore e prezzi accessibili alla più ampia clientela sono poi ostacolati dai freni che la regolamentazione pone alla concorrenza tra i professionisti. È paradossale ma è così: le regole finora vigenti, che limitano l’accesso alle professioni e ne disciplinano rigidamente l’esercizio, sono state introdotte decenni addietro a tutela degli utenti ma nel corso del tempo si sono rovesciate in danni alla clientela. I clienti sono costretti a pagare tariffe minime fissate dagli ordini professionali, a ricorrere ai pochi professionisti presenti in alcuni territori, a saltellare da uno studio all’altro per ottenere sulla stessa pratica una volta la prestazione dell’avvocato, un’altra volta quella del dottore commercialista, un’altra ancora quella del consulente del lavoro, e così via, in una giostra di servizi frammentati e costosi per le tante parcelle da pagare e per la perdita di tempo da subire. Le leggi e i regolamenti che per le attività professionali si sono stratificati nel tempo, appartengono ad un ordinamento economico che non esiste più - l’ordinamento di un’economia dominata dapprima dall’agricoltura e poi dall’industria, mentre ai nostri tempi sono diventate prevalenti le attività di servizi alle famiglie e alle imprese, attività che richiedono specializzazione ma pure un’offerta più larga nonché l’integrazione di diverse competenze professionali. Veniamo ora a parlare dei giovani meridionali scolarizzati, che sono il gruppo sociale più colpito da questa regolamentazione anacronistica. Nel Mezzogiorno, infatti, regole antiquate che limitano l’accesso alle professioni e ne dettano rigidamente l’esercizio non solo danneggiano gli utenti ma impediscono anche la mobilità sociale, il passaggio dei giovani dal mestiere esercitato dai genitori a nuovi mestieri. Gli studi professionali si tramandano al Sud più che altrove da padri a figli o a parenti acquisiti, spesso indipendentemente dalla vocazione dei giovani e quindi dalla libera e produttiva manifestazione delle loro competenze. Diplomati e laureati dalle scuole e dalle università meridionali vedono così il proprio futuro segnato dalla condizione sociale d’origine piuttosto che dai loro talenti. Quelli tra i giovani che non possono subentrare ai genitori in un’attività professionale si mettono in lista d’attesa per un impiego nelle pubbliche amministrazioni oppure si dedicano a lavori saltuari oppure ancora sono costretti ad emigrare. Il sistema delle caste professionali è in buona misura tra le cause che provocano spostamenti di popolazione qualificata dal Sud al Centro-Nord d’Italia oppure all’estero: nel 1999, secondo dati dell’Istat, il 34% dei meridionali che si trasferivano dal Mezzogiorno nelle regioni più ricche d’Italia aveva conseguito un diploma di scuola media superiore e il 9% circa era composto di laureati; nel 2003 le percentuali di diplomati e laureati meridionali che hanno cambiato residenza passando dal Sud al Centro-Nord, sono salite rispettivamente al 36% e al 13% di tutti gli immigrati interni. Un’indagine sempre dell’Istat sui giovani che si sono laureati nel 2001 dice che tre anni dopo la laurea, dunque nel 2004, quelli che avevano mantenuto la residenza nel Mezzogiorno, nel 41% dei casi non avevano ancora un lavoro. Le percentuali dei laureati ancora privi di lavoro nel 2004 erano invece il 17% del totale nell’Italia Nord Occidentale, il 19% nel Nord Est e il 25% nell’Italia centrale. I laureati meridionali esclusi da un lavoro non hanno voce nel clamore di questi giorni attorno alla liberalizzazione di alcune professioni. Né i politici né i sindacalisti si fanno paladini delle loro aspirazioni, forse perché anch’essi accettano rassegnati oppure condividono le pretese delle corporazioni professionali.

 
 
 

Post N° 707

Post n°707 pubblicato il 20 Luglio 2006 da corsaramora

                                  

Per molti che avevano creduto alle promesse 'riformiste' di un atlantismo dal volto umano (il volto di Clinton, per esempio; e prima di Carter), le vicende dell'invasione dell'Iraq e dell'Afghanistan hanno rappresentato il ritorno alla dura realtà. Che ha anche portato con sé un ripensamento retrospettivo sugli Usa come patria della democrazia, legittimata anche a esportarla e a difenderla nelle varie parti del mondo contro le violazioni dei diritti umani. Insomma, era l'immagine degli Usa come la diffondono ancora i giornali e le televisioni 'indipendenti', e sulla quale si fondano per esempio le argomentazioni di chi ammonisce l'Italia a non abbandonare l'Afghanistan, magari anche l'Iraq, e le altre regioni in cui contingenti militari italiani sono ancora impegnati 'sotto l'egida' dell'Onu e 'nell'ambito' della Nato.

Che cosa significhino queste espressioni, anzi quale vuoto di senso esse nascondano, lo si può imparare dal bel libro di Danilo Zolo, che collega giustamente la questione delle guerre umanitarie, preventive, antiterroristiche, alla storia del processo di Norimberga, cioè al primo e decisivo momento in cui la criminalizzazione della guerra ha dato luogo, di fatto, all'affermarsi della "giustizia dei vincitori", che contro ogni normale concezione del diritto hanno preteso di applicare, per giunta retroattivamente, le norme del processo penale a individui 'colpevoli' di aver iniziato una guerra, concepita di per sé come crimine contro l'umanità. Molti degli argomenti che Zolo utilizza, provengono dalle critiche mosse da Carl Schmitt, ma anche da Hans Kelsen, al tribunale di Norimberga. Là gli orrori del nazismo sono serviti a giustificare agli occhi del mondo una mostruosità giuridica; in preoccupante analogia con ciò che accade oggi, quando gli orrori del terrorismo servono egregiamente al cinismo imperialistico dell'amministrazione Bush e dei suoi alleati.


Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori. Da Norimberga a Baghdad

 
 
 

Post N° 706

Post n°706 pubblicato il 18 Luglio 2006 da corsaramora

                               

Le elezioni legislative in Kuwait, il 30 giugno scorso, provano ancora una volta che la democrazia non è una tecnica ridotta all'esercizio del voto, bensì una cultura che ha bisogno di tempo e di pedagogia per affermarsi in un paese, ma soprattutto per impregnare le mentalità e penetrare nel costume di una società. Non è certo il caso di rimproverare i kuwaitiani per aver fatto un tentativo che ha l'odore della democrazia, mentre l'America di George Bush sta cercando di mettere in pratica nel mondo arabo la sua tesi sull''esportazione della democrazia'. Un'esportazione tentata in Iraq con l'invasione e l'occupazione militare, ma ben lontana dall'essere realizzata. La democrazia non si pratica sotto l'alta sorveglianza di un esercito straniero. Ma questo è un altro problema. Il Kuwait ha voluto smuovere qualcosa. Tanto meglio. Anche se il risultato è tutt'altro che soddisfacente.

Ad esempio, le 198 mila elettrici (il 58 per cento degli aventi diritto al voto) non hanno eletto neppure una donna a rappresentarle in parlamento. Nessuna delle 29 candidate. Ma c'è di peggio: la maggioranza è andata agli islamisti, quegli stessi che hanno fatto una campagna denigratoria contro le donne, di una violenza inaudita. Gli uomini hanno vissuto quel diritto come un'aggressione alle loro tradizioni, e anche al loro comfort.

La donna, dicono, deve restare in casa, e soprattutto non occuparsi di questioni pubbliche quali la politica e l'andamento delle istituzioni. Pensano che dopo il diritto di voto rivendicheranno altri diritti, per entrare a poco a poco nello spazio pubblico. Il che comporterebbe per loro la necessità di fare i conti con le donne, e soprattutto di smettere di considerarle inferiori. Il diritto di voto alle donne è un progresso politico importante, in una regione ove la sharia fa le veci della costituzione. Nella vicina Arabia Saudita le donne non hanno neppure il diritto di guidare la macchina. La democrazia non cade dal cielo, non spunta da qualche parte come un genio o un miracolo. Il popolo va preparato a questo sconvolgimento delle sue abitudini. Forse le elettrici non hanno sufficiente fiducia in se stesse per dare ad altre donne il potere di rappresentarle in parlamento. Non solo hanno scelto i loro rappresentanti tra i maschi, ma hanno eletto i sostenitori dell'islamismo, che non dà alcuna speranza al divenire della donna in una società di uomini. Questo atteggiamento è quasi normale. Si sono viste donne manifestare nelle piazze delle capitali arabe con quegli stessi islamisti che negano loro ogni diritto. E qualcuna ha persino giustificato il ripudio e la poligamia come "un modo per lottare contro la prostituzione".



L'opposizione islamista, che ha conquistato 35 seggi su 50, non mancherà di silurare l'emendamento del 1 articolo della legge elettorale, che data dal 1962; un emendamento voluto dallo sceicco Sabbah al Ahmed al Sabah, l'emiro del Kuwait, e ratificato il 16 maggio 2005.

In questo paese di 3 milioni di abitanti, di cui 2 milioni sono immigrati, non esistono partiti politici, ma solo movimenti, il cui principale riferimento è l'Islam. Il fatto che sui 253 candidati vi fossero 29 donne è già un progresso - anche se non molto significativo - rispetto al trattamento riservato alle donne nei paesi vicini.

Il miglior criterio per valutare il grado di modernità e di progresso di un paese rimane la condizione della donna. Gli Stati del Golfo, popolati da ex beduini, grazie al petrolio sono diventati ricchi, ma non necessariamente moderni. La modernità consiste nel riconoscimento dell'individuo, nell'uguaglianza dei diritti di uomini e donne, nella cultura dei valori democratici, nell'apertura verso il mondo.

Questi paesi, che pure sanno usare a loro profitto i progressi tecnologici, rifiutano di fare un passo verso una modernità etichettata come occidentale, e quindi "inadatta alle loro tradizioni e alla loro cultura". E si richiamano al Corano, interpretato secondo i loro interessi. Alcuni ricordano che le donne francesi hanno ottenuto il diritto di voto non prima del 1945, e che in alcuni cantoni svizzeri lo hanno solo dall'inizio degli anni 1970.

L'esperienza kuwaitiana è interessante e va seguita, poiché rappresenta un gesto simbolico in materia di cambiamento delle mentalità e delle prassi politiche. Stavolta le donne hanno fatto un'uscita pubblica. La prossima sarà la volta della loro incursione in campo politico. Siamo lontani dalla parità occidentale; ma è solo un inizio. La democrazia è una lotta di lungo respiro. Nel Kuwait è appena incominciata.

L'ESPRESSO

 
 
 

Post N° 705

Post n°705 pubblicato il 18 Luglio 2006 da corsaramora

                      

IL CODICE MOGGI

 
 
 

Post N° 704

Post n°704 pubblicato il 13 Luglio 2006 da corsaramora

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Post N° 703

Post n°703 pubblicato il 30 Giugno 2006 da corsaramora

                               

 
 
 

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