Creato da corsaramora il 24/05/2005
tutto cio' che ci accade intorno ..mie riflessioni e non...
 

 

Post N° 653

Post n°653 pubblicato il 25 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Ogni anno che ci allontana da quel 25 aprile del 1945, e che ci richiama a questa data fermata nel calendario delle feste civili della Repubblica, accade di dover riflettere sulla memoria collettiva degli italiani e sui caratteri che ne derivano per descrivere la nostra storia nazionale. Per le generazioni che hanno vissuto, tra l’adolescenza e la prima giovinezza, gli anni della guerra, della caduta del fascismo, della resistenza partigiana, della cacciata dei tedeschi, liberazione ha significato insieme fine della dittatura e dell’occupazione straniera, ritorno alla pace. Ma già per i meno giovani d’allora, liberazione non aveva questo significato univoco e felicemente liberatorio. La guerra civile con tutte le sue crudeltà, e la sconfitta militare con le sue umiliazioni avevano lasciato cicatrici profonde e dolorose. Liberazione era la vittoria di una parte, e tutto quello che ne derivò: la Repubblica, la Costituzione, le libertà democratiche apparvero a lungo come di parte.

La Democrazia cristiana raccolse un blocco moderato che si dette una ragione della liberazione come uscita epocale dal dominio della violenza politica, della «statolatria», del nazionalismo anacronistico e contrario all’universalismo e pacifismo della Chiesa, e insieme ingresso in un’era nuova, laboriosa, della ricostruzione e poi dello sviluppo economico. In simmetria, un altro blocco di proletariato e ceti medi emergenti, che nella liberazione vedeva l’inizio di un processo di promozione ed emancipazione delle classi, come si diceva, subalterne, che reclamavano, traverso i partiti di sinistra, l’attuazione della Costituzione ostacolata dagli interessi dei gruppi sociali conservatori. Fu da quelle due distinte «liberazioni» che cominciarono a crescere le radici della crisi della politica in Italia. Gli anni di piombo ce li siamo sanamente dimenticati. Ma se rivediamo qualche film, o rileggiamo qualche libro di narrativa o di saggistica, o qualche pagina di giornale di allora, torneremo a rivivere stati d’animo, di tensione, di allarme, di ansia da insoddisfazione di non sapevamo che cosa, che turbavano gli studenti nelle scuole e nelle università e poi passavano nelle famiglie, e continuavano sotto traccia, e chissà con quali metamorfosi, nella clandestinità dell’eversione terroristica. Gli eventi degli anni successivi, le analisi non più soltanto di osservatori isolati o di parte, ma di commissioni parlamentari bicamerali, misero in luce l’inadeguatezza del nostro sistema politico a governare una economia che chiedeva meno Stato e più mercato, una società disordinata da rapidi processi evolutivi che lamentava al contrario troppo poco Stato, vale a dire l’assenza o il ritardo di una legislazione di grandi riforme. Proprio quando mutava la geometria degli schieramenti dei partiti e si legittimava all’alternanza del potere la sinistra, e la destra si staccava dalla matrice fascista, il Paese si divise, o fu diviso, su che cosa dovesse essere lo Stato, unitario o regionalista o federale, che cosa il governo, se presidenziale, semipresidenziale, parlamentare; che cosa la giustizia, se soggetta soltanto alla legge o dipendente dal Parlamento e dal governo; se la nazione dovesse proteggersi dalla sovranazione europea o viceversa cedere a questa molte parti della propria sovranità, se si dovesse restare estranei o meno ad ogni intervento militare nelle vicende geopolitiche della pace e della guerra, se la laicità significa libertà religiosa dei cittadini o rottura di ogni rapporto tra Stato e Chiesa. Insomma, la istigazione a dividere, che corrisponde alla parabola evangelica della semina della zizzania, è giunta a contare perfino tre Repubbliche, nelle scansioni temporali della nostra vita pubblica. Non c’eravamo accorti della seconda che ci hanno avvertiti di essere già nella terza. A questo punto, che vale ricordare la liberazione come evento fondativo di un cammino già spezzato tre volte? È una riflessione amara, ma può giovare ad orientare criticamente le nostre coscienze, quando le decisioni collettive ci vengono demandate quali elettori. Le inconcludenti divisioni, in nome non di ideali, di idee, di progetti, ma di descrizioni mitologiche della realtà, non contribuiscono alla fortuna dei popoli liberi

il mattino

 
 
 

Post N° 652

Post n°652 pubblicato il 25 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Ormai è un ritornello. Un tragico ritornello. Anzi, peggio: un luogo comune. Si accende la tv ed eccoli là, uno dopo l’altro, i resti sparsi, accartocciati, ammassati di ciò che rimane di un incidente. Teli bianchi, pietosamente, coprono i corpi straziati delle vittime. Stasera, concluso il rientro dal lungo ponte, il bollettino verrà aggiornato. E si scoprirà che i numeri di questo massacro aumentano così come l’indifferenza verso un fenomeno che ha costi sociali, per non dire di quelli individuali, altissimi.

Tutto questo sangue, spesso di giovanissimi, è vissuto come lontano da noi, esterno ed estraneo, quasi un’idea virtuale, cinematografica. Manco a dirlo siamo in testa in Europa. E dentro questa luttuosa classifica i motociclisti che perdono la vita o se la giocano tutta su una sedia a rotelle sono i più numerosi. Dal ’95 al 2004 (ultimi dati ufficiali) quasi 14mila motociclisti e ciclomotoristi sono morti sull’asfalto. Ottocentomila i feriti. Con percentuali da brivido: +31,7% i decessi, +44% i feriti. Si fa notare: aumentano le moto, moto potentissime anche nelle basse cilindrate, due ruote che schizzano a cento all’ora in tre secondi, e a tutto gas sfiorano i trecento. Roba da Gran Premio. Valentino Rossi, là sopra, in quelle condizioni, direbbe: scusate se stavolta non ci ho provato. Se il parco delle motociclette si è decuplicato in dieci anni, le strade sono rimaste le stesse. Meglio: sono invecchiate. Buche, asfalto a macchia di leopardo, guardrail a lama di rasoio, traffico nel quale svicolare pericolosamente tra i paraurti per guadagnare qualche metro, una birra di troppo, un diffuso delirio di onnipotenza, un senso infantile e invincibile di invulnerabilità e di bravura, la totale sottovalutazione dei rischi. Ecco il micidiale cocktail che forma le statistiche appena ricordate. La Polizia di Stato, in un recente workshop, ha chiesto ad esperti della comunicazione dei contributi per lanciare spot e slogan capaci di aumentare la sicurezza e incentivare il senso collettivo alla prudenza. Ci stanno provando anche gli alti, i tedeschi, i francesi, gli inglesi. Cercano di parlare soprattutto ai giovani, con il loro linguaggio. I risultati, finora, non brillano per efficacia. Anche quella è una strada faticosa da percorrere. Ma i cimiteri del lunedì sono una realtà insopportabile per non tentare il tutto per tutto. Compresa - e del resto richiesta - una maggiore severità. Prevenzione e repressione dura per i corsari della strada. Via la patente, e subito, per questi cavalieri d’acciaio dell’apocalisse quotidiana. Manca, purtroppo - è un dato diffusamente riconosciuto - la percezione di un rigore senza deroga e di una rete di controlli non più a maglie larghe. C’è, nella velocità sconsiderata, nel vezzo arrembante di trasformare ogni strada in una Imola o in una Monza, il senso di un’arroganza, di una sfida alle regole più elementari che segna un punto inaccettabile di degrado. Se poi ci sono i morti non si trovano quasi mai giudici disposti ad applicare con rigore le leggi. Si possono ammazzare quattro ventenni guidando ubriachi contromano e scappare dall’ospedale indisturbati lasciando il conto da pagare, come non si farebbe neppure in un motel. La solita storia del dolo e della colpa. Che sgomento assistere ad una simile carneficina, ogni giorno, ogni fine settimana, e rimettersi subito in corsa come se nulla fosse. La vita lasciata nella nuvola di un colpo d’acceleratore. Si può essere più cretini di così? 

 
 
 

Post N° 651

Post n°651 pubblicato il 24 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

e' giusto ricordare come dice driver 64 oltre chernobyl tante altre tragedie ambientali..

Hiroshima, Chernobyl, Seveso e Bhopal sono i nomi di alcune città tragicamente famose per altrettanti tragici episodi ambientali. Ma esiste un altro luogo della terra che nessuno nomina, che nessuno ricorda e che potrebbe aggiungersi alla lista: Augusta, in Sicilia.

Si tratta di una città ad altissimo rischio sismico, chimico, industriale e militare. Insomma un cocktail micidiale. Circa 200.000 abitanti che vivono a stretto contatto con una polveriera pronta a saltare.
Nel porto di Augusta si concentra il più alto numero di raffinerie di petrolio d’Europa, nelle quali viene raffinato quasi la totalità del greggio importato dall’Italia. Le raffinerie comprendono un deposito di carburante in pieno centro abitato e tredici industrie chimiche. A questo aggiungiamo due basi militari di importanza strategica nel Mediterraneo (una della Marina Militare e l’altra della Nato) e un impianto di incenerimento per i rifiuti speciali ospedalieri dell’intera regione.
Oggi Augusta sta pagando il prezzo degli errori di una politica che applaudiva alle ciminiere come unica via allo sviluppo di questa regione. Forse all’inizio (quaranta anni fa) un po’ di ricchezza è pure arrivata, ma l’ecosistema della fascia costiera è stato devastato, e l’industrializzazione ha segnato la fine dell’agricoltura, della pesca e dell’estrazione del sale. Va ricordato che gran parte della zona portuale sorge su vasta area archeologica e su una stupenda costa che, se valorizzata, avrebbe portato turismo e quindi sviluppo.
Certo se si parla di cifre bisogna dire che da queste industrie l’Italia preleva il 60% del fabbisogno di carburanti, il 100% dei lubrificanti, le paraffine, lo zolfo che fanno funzionare gli impianti di Marghera, Gela e Manfredonia.
Però vanno ricordate anche le cifre “negative”: nella sola Augusta si muore di neoplasie (tumori all’apparato respiratorio) più che in ogni altra parte d’Italia. Ogni anno si registra la nascita di bambini malformati in misura notevolmente superiore alla media nazionale. In continuo aumento le malattie respiratorie croniche e le dermatiti. La durata media della vita nella zona è di 6 anni inferiore a quella nazionale.
Poi si arriva al paradosso: da decenni i cittadini si mobilitano per la costruzione di un ponte che oltre a migliorare la viabilità della città consentirebbe una veloce via di fuga in caso di evacuazione (nel 1985 in seguito alla fuoriuscita di una nube tossica la città non fu evacuata per mancanza di vie libere e sufficienti), ma ancora non è stato costruito il ponte perché “stona” nel paesaggio e ha un elevato impatto ambientale. La vita dei cittadini di Augusta vale forse meno del paesaggio? E ancora, il profitto deve prevalere sempre ad ogni costo e a qualunque costo?

 
 
 

Post N° 650

Post n°650 pubblicato il 24 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Un nome, un incubo: Cernobyl. La più grave tragedia nucleare civile della storia. Uno scoppio improvviso nella notte, l’incendio. Quindi nuvole radioattive in giro per i cieli di mezza Europa, che verrà avvertita ufficialmente dal Cremlino del pericolo solo dieci giorni dopo l’incidente. La popolazione civile locale viene addirittura invitata ad uscire per strada per partecipare alle celebrazioni del primo maggio, mentre le auto nere fanno la spola con gli aeroporti per porre in salvo i figli e le famiglie della nomenklatura. Sabato 26 aprile 1986. Ore 1,24 del mattino. Alla centrale di Cernobyl (Ucraina), centoventi chilometri da Kiev, il reattore numero quattro, in funzione da appena due anni e mezzo, esplode mentre è in corso un esperimento per vedere quanto a lungo i generatori possano funzionare senza essere alimentati. Ma qualcosa non funziona. Errori fatali dei tecnici si susseguono fino all’apocalisse nucleare. È il panico. Nessuno sa cosa fare. Squadre di pompieri e volontari vengono spediti a morire senza attrezzature, quasi a mani nude. Sono necessari ben vinticinque giorni per avere ragione del fumo

La direzione del vento cambia tre volte in quel periodo. Vaste aree della Bielorussia, della Scandinavia, della Germania, dell’Asia centrale vengono contaminate. Anche in Italia arrivano particelle radioattive contenenti soprattutto cesio 137 e stronzio 90. «Non ci rendemmo conto subito della catastrofe - raccontò, qualche anno più tardi, l’ex presidente sovietico Michail Gorbaciov - Nel mondo non si era mai verificato un incidente simile». Ai primi di maggio, in poche ore, centottantamila persone che vivono vicino alla centrale vengono evacuate. Cinquantaseimila chilometri quadrati diventano inutilizzabili, la terra di nessuno. Ufficialmente, per lo scoppio atomico, muoiono 32 uomini: due per l’esplosione, trenta per le gravi ustioni provocate dalle radiazioni. In realtà, le cifre sarebbero diverse, e molto più gravi. La Croce Rossa indica in 3 milioni le vittime di Cernobyl. Ma è quasi impossibile fare un calcolo preciso e stabilire l’incidenza della contaminazione sulla salute della gente. I primi a pagare sono i più indifesi, i bambini con il cancro alla tiroide. La popolazione continua a cibarsi della verdura e della frutta prodotta in queste regioni ormai avvelenate per sempre. Nel corso degli anni il reattore numero 4 è stato racchiuso nel cosiddetto «sarcofago», una struttura muraria in acciaio di colore nero alta 70 metri, che però ultimamente presenta delle vistose e preoccupanti crepe. Al suo interno, macerie radioattive. L’Ucraina sta organizzando un appalto internazionale per trovare una soluzione più duratura entro il 2008. Gli altri tre reattori di Cernobyl sono stati dismessi tra mille difficoltà. Kiev ha bisogno di energia a basso costo. E la «guerra del gas» con Mosca, proprio quest’anno, ha riproposto il problema. L’epopea nucleare nell’ex Urss non è però finita. La Russia, secondo produttore di petrolio e primo di gas al mondo, ha in progetto di costruire 40 nuove centrali, molto più avanzate tecnologicamente rispetto a quella di Cernobyl, entro il 2030. Commesse per i tecnici di Mosca verranno anche dalla Cina. Senza il nucleare, ha compreso da lungo tempo il Cremlino, non si può mantenere lo status di superpotenza. E questo è un rischio che la Russia non vuole certo correre.
il mattino

 
 
 

Post N° 649

Post n°649 pubblicato il 23 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora


 L'Italia spaccata in due, l'un l'altra inimica, il paese ingovernabile, il futuro imprevedibile. Ma non è così il mondo intero, diviso sul suo presente, incerto sul suo futuro, incerto sul controllo della scienza, sull'energia, sulla democrazia, sullo sviluppo, sul capitalismo globale?

Durante la campagna elettorale Silvio Berlusconi ha fatto sua l'ideologia dei neo conservatori anglosassoni. La sinistra, ha detto, pretende che il figlio di un operaio sia la stessa cosa, abbia le stesse attese del figlio di un dirigente. La sinistra continua a far la guerra alla ricchezza invece di farla alla povertà. È la vecchia idea del liberismo che sconfisse il feudalesimo e che pose le basi della rivoluzione industriale.

Noi crediamo che oggi sia una idea reazionaria, sbagliata, destinata a fallire tutti i suoi obiettivi. L'egoismo individuale e di classe come motore dello sviluppo e della crescita della ricchezza? Un'illusione contraddetta dalla realtà.

Negli anni del capitalismo globale, anarcoide, senza regole, i poveri del mondo sono cresciuti invece che diminuire. Sono cresciuti certamente quelli che si sentono poveri in paragone di quelli che si sentono ricchi. Il risorgimento arabo e il terrorismo a cui affida le sue vendette e le sue speranze non nascono da una povertà reale peggiore di quella passata, ma da una povertà relativa, paragonata a quella in crescita dei paesi ricchi.

Il mondo ha bisogno di eguaglianza e non di conflittualità. Una civiltà come quella americana basata sulla conflittualità esasperata, sulla lodata e predicata concorrenza, conduce inevitabilmente a un imperialismo militare che crede di poter risolvere con la forza i rapporti fra le nazioni. Ma con la forza nella modernità non si risolve niente, il terrorismo di matrice araba dimostra che i poveri hanno a loro disposizione le stesse armi dei ricchi.

Il berlusconismo non ha capito un altro aspetto della modernità: la concorrenza capitalistica non evita i pericoli di autodistruzione della specie. L'uso dissennato del petrolio, la moltiplicazione incontrollata dei mezzi di trasporto, la cementificazione del territorio sono arrivati al punto di rendere invivibile gran parte del pianeta. Risulta da uno studio recente che la cementificazione del territorio nell'hinterland a nord della Lombardia sta coprendo la maggior parte del territorio rendendolo ingovernabile, esponendolo a inquinamenti e alluvioni continui. L'inaugurazione della nuova fiera campionaria di Milano e l'adiacente aeroporto della Malpensa sono la prova più recente dei rischi estremi di uno sviluppo alla maniera dei neo conservatori: la Fiera è stata aperta senza aver previsto le vie di accesso; l'aeroporto, senza considerare i danni insopportabili ai centri urbani circostanti.

Negli anni del riformismo che fece crescere il paese Italia si capì che la programmazione era un aspetto fondamentale della società moderna. Faceva parte di questa programmazione anche una crescita civile della nazione, anche un ingresso nella sua gestione dei contadini e degli operai fin lì, fino alla fine del fascismo, cittadini di serie B. E la democrazia nata dalla Resistenza compì il miracolo di unificare la nazione.

Ma quale unificazione si può avere dal berlusconismo, cioè da un neoconservatorismo il cui leader non ha esitazione a dichiarare: la sinistra pretende che il figlio di un operaio sia la stessa cosa del figlio di un dirigente e continua a far la guerra alla ricchezza invece che alla povertà. Ma qui sta l'inganno: non è per niente vero che la gestione della borghesia ricca faccia la guerra alla povertà e che aumenti la ricchezza di tutti. In realtà aumenta la povertà dei poveri e ingrandisce in modo offensivo la ricchezza dei ricchi. In questi anni di berlusconismo i capitali delle ditte legate al berlusconiano Lunardi si sono moltiplicati per quattro, ma i salari degli operai che scavano le sue gallerie sono sempre gli stessi

giorgio bocca

l'espresso

 
 
 

Post N° 648

Post n°648 pubblicato il 22 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Trentacinquemila le partigiane, inquadrate nelle formazioni combattenti; 20.000 le patriote, con funzioni di supporto; 70.000 in tutto le donne organizzate nei Gruppi di difesa; 16 le medaglie d'oro, 17 quelle d'argento; 512 le commissarie di guerra; 683 le donne fucilate o cadute in combattimento; 1750 le donne ferite; 4633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 1890 le deportate in Germania. Sono questi i numeri (dati dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) della Resistenza al femminile, una realtà poco conosciuta e studiata.
Durante la guerra le donne, non solo si erano fatte carico delle responsabilità sociali tradizionalmente maschili, sostituendo l'uomo nel lavoro e nel mantenimento della famiglia, ma avevano anche scelto di schierarsi e combattere, nelle diverse forme possibili, la lotta resistenziale, ribaltando la consueta divisione dei ruoli maschile e femminile.
Nei libri di storia si accenna appena alla partecipazione delle donne alla Resistenza, sebbene il loro apporto si fosse rivelato determinante ai fini di una maggior efficacia dell'organizzazione delle formazioni partigiane, entrando a far parte di diritto nella storia della Liberazione nazionale: le donne si occupavano della stampa e propaganda del pensiero d'opposizione al nazifascismo, attaccando manifesti o facendo volantinaggio, curando collegamenti, informazioni, trasportando e raccogliendo documenti, armi, munizioni, esplosivi, viveri, scarpe o attivando assistenza in ospedale, preparando documenti falsi, rifugi e sistemazioni per i partigiani.
Risulta evidente che un aiuto di questo tipo, considerato dalle stesse protagoniste come "naturale", trova difficoltà ad essere formulato storicamente in modo ufficiale. Infatti i dati numerici sopra riportati non sono completamente attendibili, poiché la maggior parte di essi si ricava da riconoscimenti ufficiali e "premiazioni" assegnate a guerra conclusa sulla base di criteri militari, in cui la maggioranza non rientrava o non si riconosceva. Di fatto veniva riconosciuto partigiano chi aveva portato le armi per almeno tre mesi in una formazione armata regolarmente riconosciuta dal Comando Volontari della Libertà ed aveva compiuto almeno tre azioni di sabotaggio o di guerra.
Ma l'azione femminile, oltre alla direzione dettata dalla necessità di dare assistenza ai partigiani, attraverso molteplici attività materiali, si orientava anche politicamente: numerosissime donne, di ogni estrazione sociale, operaie, studentesse, casalinghe, insegnanti, in città, così come in campagna, organizzarono veri e propri corsi di preparazione politica e tecnica, di specializzazione per l'assistenza sanitaria, per la stampa dei giornali e dei fogli del Comitato di Liberazione Nazionale.
La seconda guerra mondiale ha permesso alle donne, in un certo senso, di emergere dall'anonimato e le ha trasformate in soggetti storici finalmente visibili, nell'esperienza di sostegno e solidarietà offerta all'azione partigiana; solidarietà che ha valicato l'ambito familiare ed è diventata valore civile di convivenza.
L'antifascismo fu, per le donne, una scelta difficile, ma libera da costrizioni esterne: non fu dettata dal timore di rastrellamenti messi in atto in seguito ai bandi, o dallo stato di evasione che fece confluire nelle bande partigiane migliaia di giovani. In più quelle che partecipavano attivamente non erano né fanatiche, né guerrafondaie, ma donne normali. La Resistenza, per queste donne, non significò impugnare un moschetto, ma soprattutto significò la conquista della cittadinanza politica.
Il desiderio di liberarsi dai tedeschi si intrecciava con quello di conquistare la parità con l'uomo: ciò esprime il fatto che allora la donna acquistò la consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità, derivante dalla rottura del sistema di controllo sociale causata dalla guerra. Si trattò di una guerra nella guerra, della battaglia per la loro emancipazione dopo una millenaria subordinazione. La motivazione politica portò ad un risultato importantissimo: la richiesta di un riconoscimento di un ruolo pubblico nel nuovo sistema democratico, fino ad allora negato alla donna da una società prevalentemente maschilista.

 
 
 

Post N° 647

Post n°647 pubblicato il 22 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Il più insidioso reato che ha trovato terreno fertile nel più straordinario, veloce, riservato, ed economico strumento di comunicazione creato dall'uomo è proprio la Cyberpedofilia: la rete nella rete, il network creato dai pedofili di tutto il mondo. Alle forze di polizia il compito di individuarli e neutralizzarli. Agli utenti di Internet il compito di segnalare ogni sito "sospetto". Come difendere i bambini e i ragazzi che, nelle nostre case, hanno un approccio ormai quotidiano alla Rete?
Intanto i programmi di navigazione (browser) possono essere facilmente programmati per escludere l'accesso a siti pericolosi. Chiedete una mano a qualche navigatore più esperto oppure a chi vi ha fornito l'accesso a Internet. Il sistema non è perfetto ma dà comunque un grosso aiuto. Più che nelle pagine web, il pericolo si annida nelle chat e nei newsgroup.
Non bisogna generalizzare, o - peggio - criminalizzare. Questi ambienti virtuali in cui si chiacchiera e discute sugli argomenti più disparati, sono largamente sani e inoffensivi. Dobbiamo soltanto adattare alla Rete il vecchio consiglio del "non accettare caramelle dagli sconosciuti". In questo ci aiutano i massimi esperti italiani in crimini informatici, i docenti del Gruppo di ricerca permanente sul Computer Crime dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma: http://www.criminologia.org. L'equipe coordinata dal prof. Marco Strano studia da anni i comportamenti dei cyberpedofili e ha adottato una serie di suggerimenti per genitori e ragazzi. Basterebbe seguire queste indicazioni per tenere alla larga dai nostri figli i pedofili che agiscono su Internet. Eccoli:


Consigli per i genitori dei bambini che usano Internet
  1. Tieni il computer in un posto centrale della casa, non nella stanza del bambino. Il computer dovrebbe essere un'attività per tutta la famiglia, non un pretesto del bambino per isolarsi.

  2. Cerca di imparare ad usare Internet, per riuscire a capire cosa fanno i tuoi bambini.

  3. Cerca di conoscere gli amici online dei tuoi bambini.

  4. Leggi e visiona le e-mail con i tuoi bambini. Molti pedofili allegano foto di pornografia infantile alle e-mail inviate ai bambini. La pornografia viene usata dal pedofilo per convincere il bambino che altri bambini compiono atti sessuali. Assicurati di controllare tutti gli attachment alle e-mail (file di testo o di immagini allegati).

  5. Aiuta i tuoi bambini ad usare il computer in maniera equilibrata. Molti bambini si appassionano troppo al computer, dimenticando di giocare con gli amici reali.

  6. Stabilisci delle regole ben precise su come utilizzare Internet.

  7. Assicurati che comprendano che non possono incontrare nessuno nella vita reale, conosciuto online, senza il consenso dei genitori, e che le persone online non sempre sono così sincere su chi sono.

  8. Insegna ai tuoi bambini a non dare informazioni personali alle persone che incontrano online, specialmente in luoghi pubblici come le chatroom.

  9. Tieni i bambini lontani dalle chatroom o dall'IRC, a meno che non siano controllati.

  10. Incoraggia discussioni tra te e i tuoi bambini su ciò che trovano divertente online.

  11. Insegna ai tuoi bambini a non rispondere quando ricevono e-mail offensive o dannose, messaggi da chat o altre comunicazioni, specie su argomenti sessuali.

  12. Segui i tuoi bambini quando sono online e vedi dove vanno (senza pressarli troppo).

  13. Se non puoi essere a casa quando i bambini sono online, usa dei software di protezione (riconoscono alcune parole chiave, tipo 'sex', 'erotico' ecc., e non consentono l’accesso ai siti che le contengono) per tenerli sotto controllo.

  14. Installa sul tuo computer un programma che memorizza gli indirizzi Internet visitati dal tuo bambino e controlla quali sono quelli più frequenti.

  15. In generale, insegna ai tuoi bambini quali possono essere i rischi di Internet senza terrorizzarli e senza dimenticare che la rete è come il mondo reale: ci sono le cose belle e le cose brutte; adottando un minimo di precauzioni si può esplorare in tutta tranquillità.

Consigli per i bambini che usano Internet
  1. Quando sei su Internet non dare mai a nessuno il tuo indirizzo di casa, il tuo numero di telefono o il nome della tua scuola, a meno che i tuoi genitori non ti diano il permesso.

  2. Non prendere appuntamenti con persone conosciute su Internet, anche se dicono di essere tuoi coetanei, senza prima avere il permesso dei tuoi genitori e fai venire anche loro al primo incontro.

  3. Se frequenti una chat room e qualcuno ti dice qualcosa di strano o preoccupante (ad esempio discorsi sul sesso), parlane appena possibile con i tuoi genitori.

  4. Non rispondere mai a e-mail o messaggi fastidiosi o allusivi, specie se di argomento sessuale e se ti capita di notare fotografie di persone adulte o bambini nudi parlane sempre ai tuoi genitori.

  5. Ricorda che se qualcuno ti fa un'offerta che sembra troppo bella per essere vera, probabilmente non lo è.

  6. Se non riesci a parlare subito con i tuoi genitori di situazioni particolari che ti sono accadute su Internet, (magari perché sono occupati o sono assenti per lavoro), parlane appena puoi con i tuoi insegnanti.

  7. Ricorda che Internet è come il mondo reale: ci sono le cose belle e le cose brutte. Basta seguire queste regole e fare un po’ di attenzione per divertirsi e per imparare tante cose interessanti senza rischiare brutte sorprese.

Domande e risposte > http://www.poliziadistato.it
  • Come ci si deve comportare se si viene contattati da un utente che invia materiale pedo-pornografico o fa intendere di avere rapporti sessuali con minori oppure tenta di adescare un minore in una chat?
    Per quanto concerne le chat-line, bisogna tenere presente che è possibile comunicare in tempo reale con altri utenti con vari strumenti ognuno dei quali presenta caratteristiche ben precise. Esistono vari tipi di chat, come per esempio IRC (Internet Relay Chat), C6 (Atlantide), Netmeeting, Chat Web (chat presenti in alcuni portali) ed ICQ. Nel caso in cui si venga contattati da un utente che invia materiale pedo-pornografico o fa intendere di avere rapporti sessuali con minori o tenta di adescare un minore, in ogni caso è fondamentale:
    · conservare il testo della conversazione con l’indicazione del giorno e dell’ora, insieme ai dati relativi a: o server e canale in cui si è conversato nel caso di IRC o l’eventuale stanza privata usata in C6 o UIN (Universal ICQ Number) in ICQ; o indirizzo del sito che consente di conversare usando Chat Web
    · conservare il nick name (soprannome) della persona con cui si è conversato;
    · contattare con urgenza gli uffici della Polizia Postale e delle Comunicazioni della propria provincia preferibilmente per telefono in modo da consentire agli operatori di svolgere accertamenti in tempo reale;
    · reperire e conservare i log (registrazioni) delle conversazioni.

  • Come ci si deve comportare quando si ricevono messaggi di posta elettronica con riferimenti e/o contenuti pedo-pornografici?
    Nel caso in cui si ricevano messaggi di posta elettronica contenenti immagini pedo-pornografiche o allusioni all’adescamento di minori. In questo caso è importante non cancellare l’e-mail, fino a quando gli operatori della Polizia Postale e delle Comunicazioni non avranno comunicato che è possibile cancellarlo. Se per vari motivi bisogna necessariamente cancellare l’e-mail, prima di procedere alla sua rimozione occorre salvare il testo, l’eventuale allegato e l’header (intestazione) del messaggio di posta elettronica su un floppy disk.

  • Come ci si deve comportare quando si trova materiale pedo-pornografico in un newsgroup o in una community?
    Nel caso in cui ci si imbatta in messaggi pubblicati in newsgroup o nelle communities abbinati a immagini pedo-pornografiche o con allusioni all’adescamento di minori, occorre prendere indicazione del nome esatto del newsgroup o della community e del modo di poterlo reperire, stampando solamente il messaggio testuale, ma non le immagini pornografiche concernenti minori. In entrambi i casi occorre mettersi in contatto con tempestività con gli operatori della Polizia Postale e delle Comunicazioni, anche tramite e-mail, per segnalare quanto individuato.

  • Come ci si deve comportare nel caso in cui capitasse di trovare un sito con contenuti e/o riferimenti pedo-pornografici?
    Può capitare che navigando in Internet ci si imbatta in siti pedo-pornografici. Talvolta il nome del sito lascia intendere il tipo di materiale incluso (si trovano per esempio indicazioni come “teen”, “lolitas” e simili), ma spesso il contenuto è mascherato, poiché le immagini illegali sono presenti in siti che dal loro nome non presentano attinenze all’ambito pornografico minorile o pornografico in genere, in alcuni casi vengono usate infatti indicazioni relative ai cartoni animati o a personaggi famosi che, considerando gli argomenti, possono attrarre anche minorenni. In questo caso occorre segnare l’indirizzo del sito individuato, evitando assolutamente di scaricare materiale pedo-pornografico, poiché questo non è consentito dalla legge, e mettersi in contatto con tempestività con gli Uffici della Polizia Postale e delle Comunicazioni presenti nel territorio, anche tramite e-mail. Si deve tener presente che alla Polizia serve unicamente l’indicazione esatta del nome del sito (URL), e non esempi delle immagini che vi vengono pubblicate, in quanto gli operatori provvederanno successivamente alla segnalazione ad effettuare gli opportuni accertamenti.

 
 
 

Post N° 646

Post n°646 pubblicato il 19 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Il corno portafortuna è, senza dubbio, il più diffuso amuleto italiano. Le sue origini sono antichissime e risalgono addirittura ai tempi del Neolitico (3500 A.C.), quando gli abitanti delle capanne usavano apporre fuori dall' uscio un corno come auspicio di fertilità.

Specialmente in quei tempi la fertilità veniva associata alla fortuna in quanto, più un popolo era fertile, più era potente e quindi fortunato. In altri tempi i corni venivano usati come doni votivi alla Dea Iside, affinché la Dea Madre assistesse gli animali nel procreare. La mitologia ci informa che Giove donò alla sua nutrice un corno in segno di gratitudine, questo corno era dotato di virtù magiche in modo che, la nutrice, potesse ottenere tutto ciò che desiderava. Il corno trae le sue origini per via della forma, si pensa infatti che gli oggetti a punta, specialmente se aventi forma di corno, difendono da cattive influenze e malasorte se portati con se. Si dice che il corno per portare fortuna deve essere ROSSO e FATTO A MANO. Rosso perché già nel Medioevo ogni talismano rosso aveva doppia efficacia e il rosso simboleggiava la vittoria sui nemici. Già nei tempi più antichi diverse popolazioni associavano al colore rosso un significato di fortuna e buon auspicio. In Cina e Germania dove tutti gli editti ed i sigilli imperiali erano rossi in segno di buona fortuna. Nelle Indie dove i raccolti venivano protetti con teloni rigorosamente rossi e strisce di tela dello stesso colore venivano portate sul collo per prevenire i mali. Gli antichi medici suggerivano che abiti rossi potessero guarire i reumatismi dove ogni mezzo aveva fallito. L'efficacia di tutti questi rimedi ed altri ancora non stanno nei vari materiali utilizzati ma , solo ed esclusivamente, nel colore rosso. Il motivo per il quale il corno deve essere fatto a mano sta invece nel fatto che ogni talismano fatto a mano acquisisce poteri benefici dalle mani che lo producono.
Emblematico antidoto e sacramentale scudo contro ogni malefico influsso, il corno è il referente apotropaico per antonomasia: amuleto propiziatorio, autentico simbolo della vita, da opporre a tutto ciò che viene ritenuto potenziale latore di morte. Apotropaios è parola greca che significa letteralmente "allontanante" da cui deriva l’italiano apotropaico, cioè di oggetto, gesto, parola o similia, che serve ad allontanare un’influenza magica, ritenuta maligna e/o dannosa per chi la riceve. E’ inutile ricordare che a Napoli, nella nostra città, l’oggetto apotropaico, nella sua varia forma e configurazione, ha assunto nel tempo un rilievo culturale non secondario e la sua diffusione assicura una presa popolare non disprezzabile, compresa quella quota non trascurabile di kitch e di "già visto" e consumato. Prototipo dei talismani, considerato essenziale medicus invidiae, il corno per adiempiere validamente alla sua funzione scaramentica non deve mai venire acquistato, ma solo formare oggetto di dono, e risultare: tuosto, vacante, stuorto e cu' 'a ponta (apparire rigido, cavo all'interno, a forma sinusoidale e terminante a punta).

 
 
 

Post N° 644

Post n°644 pubblicato il 17 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

 inutili cervelli da gallina....cosi' dice l'unico neurone esistente

io sono napoletana e non cammorista ..anche se non ho neuroni attivi ...ma...ma i cammoristi sono napoletani????mah...

ora vi racconto una favola..si intitola :

connivenza con la mafia

Il 20 aprile, in una disadorna aula giudiziaria milanese, tre giudici si sono incontrati per ascoltare le testimonianze di un importante processo. Il procedimento trattava di un caso di presunta corruzione di giudici. Sulla porta, c’era, scritta a mano, la lista degli accusati. In cima c’era il nome di Silvio Berlusconi.

Il caso illustra in modo evidente come Berlusconi non si sia lasciato alle spalle i suoi problemi legali. Poco prima che diventasse Presidente del Consiglio, nel maggio del 1994, il suo impero finanziario, FININVEST, fu oggetto delle indagini di mani pulite. Quest’operazione, inaugurata dai magistrati di Milano nel 1992, aveva messo a nudo una profonda corruzione nella politica, nella burocrazia e nel mondo dell’imprenditoria italiana.

Quando nel 1993 Berlusconi fondò il suo partito – Forza Italia – si sapeva poco di come egli gestisse i propri affari. Si presentava agli italiani come un uomo che si era fatto da sé, che aveva costruito un potente impero televisivo infrangendo il monopolio della RAI. Disse ai suoi potenziali elettori che rappresentava una rottura con il passato corrotto del Paese.

A partire dal 1994, i magistrati hanno condotto indagini su vari capi d’imputazione a carico di Berlusconi, tra i quali i reati di riciclaggio di denaro sporco, collusione con la mafia, evasione fiscale, concorso in omicidio, corruzione di politici, giudici e guardie di finanza. Berlusconi respinge vigorosamente tutte le accuse, sostenendo che la magistratura è dominata da giudici di sinistra e che le indagini di mani pulite erano condizionate politicamente. Non c’è da sorprendersi che i suoi più intimi accoliti ribadiscano le sue affermazioni. “Berlusconi è perseguitato fin dal 1993; c’è qualcosa di marcio nel sistema giudiziario”, dice Fedele Confalonieri, un suo vecchio amico e presidente di Mediaset, il gruppo televisivo di Fininvest.

Nel 1996, un alto magistrato inglese, Simon Brown, aveva un’opinione alquanto diversa. Il caso riguardava il fallito tentativo da parte di Berlusconi di impedire che la magistratura italiana entrasse in possesso di alcuni documenti sequestrati dall’Ufficio Grandi Frodi britannico. Secondo i magistrati questi documenti provavano che Berlusconi si era reso colpevole di un caso di finanziamento illecito ai partiti, accusa che Berlusconi ha sempre sostenuto essere il frutto di una montatura ai suoi danni.

Secondo il Giudice Brown, tuttavia era improprio:

“sostenere che l’iniziativa dei giudici sia motivata da ‘fini politici’, ovvero definire il loro atteggiamento nei confronti di Berlusconi una persecuzione politica….i magistrati si stanno mostrando equanimi nel trattare allo stesso modo i politici di tutti i partiti. Mi sembra paradossale che gli accusati si dichiarino vittime di una persecuzione politica mentre all’epoca dei fatti era lo stesso Berlusconi ad essere al governo…mi riesce francamente difficile considerare ‘prigionieri politici’ coloro che si sono resi responsabili di finanziamenti illeciti”.

Ma Berlusconi ha una seconda linea di difesa: “l’Italia non è un paese normale. Anche un caso anomalo come Berlusconi va visto nel contesto del paese. Non ha fatto né più né meno di quanto avrebbe fatto un qualsiasi imprenditore italiano” , afferma Confalonieri.

Ed effettivamente molte persone, e non solo a destra, fanno eco a questa difesa. Berlusconi, dicono, ha fatto solo quello che tutti gli umprenditori dovevano fare per andare avanti: pagare tutti quelli, politici e giudici inclusi, che potevano aiutarlo. Il problema di Berlusconi, dicono, è semplicemente di essere stato più astuto e di essere diventato più ricco dei suoi rivali. Inoltre, aggiungono, cosa facevano i magistrati prima di mani pulite, quando erano visibilmente inerti nel perseguire le persone importanti?

Non tutti concordano. Secondo un importante banchiere italiano, Berlusconi “ha oltrepassato in maniera inaccettabile i limiti per fare affari in Italia”.

fine prima puntata e ultima.....

 
 
 

Post N° 643

Post n°643 pubblicato il 15 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Currite, giuvinò! Ce stà 'a pastiera!"

E' nu sciore ca sboccia a primmavera,

e con inimitabile fragranza

soddisfa primm 'o naso,e dopp'a panza.

Pasqua senza pastiera niente vale:

è 'a Vigilia senz'albero 'e Natale,

è comm 'o Ferragosto senza sole.

Guagliò,chest'è 'a pastiera.Chi ne vuole?

Ll' ingrediente so' buone e genuine:

ova,ricotta,zucchero e farina

(e' o ggrano ca mmiscato all'acqua e' fiori 

arricchisce e moltiplica i sapori).

'E ttruove facilmente a tutte parte:

ma quanno i' à fà l'imposto,ce vò ll'arte!

A Napule Partenope,'a sirena, 

c'a pastiera faceva pranzo e cena.

Il suo grande segreto 'o ssai qual'è?

Stu dolce pò ghì pure annanz' o Rre.

E difatti ce jette. Alludo a quando

il grande Re borbone ferdinando

fece nu' monumento alla pastiera,

perchè facette ridere 'a mugliera.

Mò tiene voglia e ne pruvà na' fetta?

Fattèlla: ccà ce stà pur' a ricetta.

A può truvà muovendo un solo dito:

te serve pe cliccà ncopp ' a stu sito.

Màngiat sta pastiera,e ncopp' a pasta

dimme cumm'era: aspetto  na' risposta.

Che sarà certamente"Oj mamma mia!

Chest nunn'è nu dolce: è na' poesia!"

 
 
 

Post N° 642

Post n°642 pubblicato il 15 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Sorrento è conosciuta nel mondo non solo per le straordinarie risorse paesaggistiche ma anche per i dolci. Chi ha la fortuna di visitare la nostra Penisola nel periodo pasquale ha la possibilità di gustare due tipici dolci pasquali: il casatiello e la pastiera.
Qui a Sorrento la realtà, molto spesso, si fonda con la leggenda ed è questa una delle peculiarità che rende la nostra terra ricca di magia. Anche la storia della pastiera è legata ad una leggenda: il mito della Sirena Partenope.
Narra la leggenda che la Sirena Partenope allietava con il suo melodioso canto la vita delle genti del golfo. Per ringraziare la Sirena gli abitanti di questi luoghi decisero di offrirle i frutti della loro fertile terra: la farina, ricchezza e forza dei contadini; la ricotta, dono dei pastori; le uova, simbolo di vita che sempre si rinnova; il grano tenero bollito nel latte; l'acqua di fiori d'arancio per dedicarle l'intenso aroma degli aranceti sorrentini; le spezie profumate delle lontane terre d'oriente e lo zucchero, simbolo della dolcezza del suo sublime canto.
La Sirena Partenope, commossa da tanti doni, fece ritorno nel suo Regno, nella profondità degli abissi, e depose i doni ricevuti ai piedi degli dei.
Gli dei, ammaliati dal soave canto di Partenope, con arti divine, mescolarono tutti gli ingredienti che la Sirena aveva ricevuto in dono: il risultato fu un dolce che superava la bontà e la dolcezza della stessa Partenope … la pastiera.
C'è anche un'altra storia che si racconta intorno a questo gustosissimo dolce. Il re Ferdinando II di Borbone aveva sposato Maria Teresa d'Austria, donna austera che i sudditi avevano soprannominato "la regina che non sorride mai". Si narra che un giorno Maria Teresa, cedendo alle insistenze di Ferdinando, assaggiò una fettina di pastiera ed un sorriso le illuminò il volto, al che il re rispose: "per far sorridere Maria Teresa ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo!".
Oggi noi siamo più fortunati, perché per sorridere gustando una fetta di pastiera non abbiamo bisogno di attendere la Pasqua, è facile trovarla tutto l'anno perché è diventata una delle tipiche tradizioni dolciarie della Campania.

Il mio suggerimento:
Anche se visitate Sorrento lontano dalla Pasqua, vi consiglio di assaggiarla una fettina di pastiera; le varianti sono tante, dall'aggiunta di crema pasticcera a quella con la cioccolata … scegliete quella che più lusinga il vostro palato e vedrete che gustandola non potrete fare a meno di sorridere, come Maria Teresa d'Austria!

 
 
 

Post N° 641

Post n°641 pubblicato il 15 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

buona pasqua a tutti

 
 
 

Post N° 640

Post n°640 pubblicato il 12 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Il riscatto dell’emigrante


Finora quasi non ce n’eravamo accorti. Che esistevano gli emigrati, dico. Se non in quelle foto in bianco e nero così cupe e drammatiche, di famiglie con valigie di cartone in attesa di una nave. Facce scure, tristi, dolorose. Diciamo la verità, se non fosse stato per l’accidente elettorale che li ha visti inaspettati protagonisti al Senato, ci eravamo dimenticati della loro esistenza. Erano un problema da non affrontare, ex connazionali vittime di dinamiche economiche lontane e inattuali

Più che altro, di tanto in tanto, cercavamo di immaginarceli e quando succedeva venivano fuori racconti un po’ surreali e un po’ grotteschi. Tratteggiavamo, distrattamente, con i nostri racconti, figure tra il mitologico e il folcloristico, personaggi sempre un po’ patetici nel tentativo di recuperare la perduta lingua italiana, forzando troppo il tono, accettuando gli aggettivi. Protagonisti di canzoni da cantare a squarciagola. Vestiti con un abbigliamento troppo colorato, pieni d’oro da capo a piedi. Persone dal pianto facile, soprattutto quando raccontano di com’era l’Italia ai loro tempi. Non so, ma quando sento raffigurazioni cosi, poi mi immalinconisco. Penso che questo nostro Paese sia incapace di raccontarsi. Non riesce a guardarsi allo specchio se non in maniera distorta. Sappiamo raccontare solo a patto di trasformare l’altro in una maschera, oppure rendere tutto così teatrale, esagerato che alla fine perdiamo il senso della realtà. Nella maggior parte dei casi non ci piace fare i conti con le asperità della nostra storia, davanti ai nodi ci blocchiamo. E invece di scioglierli con calma e ordinaria diligenza, preferiamo, appunto, ingarburgliarli di più. I cavilli ci piacciono, annodare e poi vantarsi del nodo è una nostra specialità. L’emigrazione è uno di queste asperità, è un nodo importante. Anche se ci sono milioni di persone emigrate, soprattutto nella prima parte del secolo; anche se ognuno di noi ha un parente di primo o secondo grado che è dovuto andare via, manca ancora un serio e condiviso racconto dell’emigrazione. C’è solo una blanda memoria orale. Oppure ci sono iniziative valide ma sporadiche. A livello universitario o per iniziativa di singoli. Piccoli musei, qualche buon libro di racconti o testimonianze. Degli emigrati, cioè, ce ne accorgiamo appunto in casi particolari. Come adesso, quando improvvisamente contano qualcosa nella nostra politica quasi come uno scherzo del destino. Allora, per qualche giorno, diventano materia di discussione. Poi spariranno per un bel po’ dalla nostra memoria. Eppure basta farsi un giro d’estate nelle regioni dove l’emigrazione è stata forte, il Molise, l’Abruzzo, la Calabria, per capire quanto le dinamiche migratorie abbiano inciso nel bene e nel male. Il Molise, una regione di trecentomila abitanti, ha perso durante il Novecento un milione di persone. Alcuni paesi sono ancora spopolati e immobili, sembrano in attesa. In attesa che arrivi la bella stagione e tornino gli emigrati. Solo allora questi centri si rianimano, suonano le bande e si accendono le luminarie. Poi, torna il buio. Oppure, osservando come vivono ancora oggi alcuni molisani, abruzzesi, calabresi, veneti, si potrebbe arrivare a sostenere che una buona parte della loro economia quotidiana gira sulle rimesse mensili degli emigrati. In Molise, in Calabria, nelle valli di Lanzo a pochi chilometri da Torino, ci sono paesi quasi disabitati dove non c’è nulla, nemmeno la scuola, nemmeno un negozio di abbigliamento, però c’è sempre la posta. Magari apre due volte a settimana ma c’è, perché di tanto in tanto arrivano le rimesse. Con queste si ristrutturano le case, si compra l’oro per i nipoti. Gli emigrati, cioè, cercano di offrire qualcosa di concreto ai parenti italiani, magari una certa costante idea di benessere, un’attenzione quotidiana, affinché non patiscano quello che loro hanno patito. L’emigrazione è, si capisce, un punto troppo doloroso, un nodo troppo consistente. E purtroppo noi italiani abbiamo un cattivo rapporto con la rappresentazione del dolore. Un discorso che esige una costante serietà, ma noi troppo spesso preferiamo raccontarci altre storie, comiche, grottesche, esagerate.

il mattino

 
 
 

Post N° 639

Post n°639 pubblicato il 11 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Ora si dirà che Berlusconi aveva previsto tutto. Si dirà che la scelta di chiudere la campagna della Cdl in piazza Plebiscito è stata una sua geniale intuizione (o l’effetto di un sondaggio attendibile?) della crisi dell’Unione in Campania. Si dirà anche che quella serata napoletana ha spalancato le porte per una rivincita del centrodestra nel Sud un anno dopo la disfatta alle regionali. Chissà quanto c’è di vero o di romanzato in questo retroscena, certo è che il primo verdetto degli elettori campani è apparso, qui come a Roma, clamoroso quanto inaspettato: la regione della triade Bassolino-De Mita-Mastella, considerata alla vigilia del voto una roccaforte inviolabile del centrosinistra - quasi alla stregua dell’Emilia-Romagna, Toscana e Umbria -, è stata fino a notte fonda in bilico tra Unione e Cdl, e solo per un pugno di voti è andata al centrosinistra. Con il passar delle ore la Campania sembrava diventare per Prodi quella che fu la Florida per Al Gore nelle presidenziali americane del 2000. 

Un testa a testa avvincente ed emozionante, con un continuo alternarsi di risultati tra proiezioni e scrutinio delle schede, e con le prefetture napoletana e casertana sul banco degli imputati per il forte ritardo nella raccolta e nella pubblicazione dei dati provenienti dai seggi. Ma la vittoria dell’Unione per un pugno di voti non cambia il senso del verdetto regionale. L’arretramento netto del centrosinistra in Campania rispetto a un anno fa segna, innanzitutto, la prima battuta d’arresto conosciuta da Bassolino dal ’93 ad oggi. È ancora presto per dire che un’era politica è finita a Napoli e in Campania, anche se i segnali di crisi sono molteplici e indicativi. Certo è che le non esaltanti prove di governo delle amministrazioni locali, sia alla Regione che a livello comunale e provinciale, hanno contribuito a far franare l’Unione di oltre dieci punti rispetto alle regionali di appena un anno fa, regalando alla Casa delle Libertà un insperato recupero. Sono passati appena dodici mesi dalla trionfale rielezione del governatore a Santa Lucia con il 61%; sembra passato un secolo. La potente macchina di produzione di consensi elettorali, capace di conquistare voti anche indipendentemente dai risultati ottenuti dal governo della cosa pubblica, si è inceppata. È esploso nelle urne il malcontento diffuso e crescente anche dell’elettorato di centrosinistra per i tanti, troppi problemi non risolti; per i rifiuti nelle strade; per il ritorno di una partitocrazia senza partiti e per i meccanismi decisionali esclusivi ed escludenti della nomenclatura; per la lottizzazione delle nomine nella sanità; per le polemiche sugli sprechi e sulle inefficienze della spesa regionale; per la moltiplicazione delle commissioni regionali; per la cattiva amministrazione di Napoli negli ultimi anni; per la bufera giudiziaria a Salerno che ha coinvolto sindaco ed esponenti di primo piano dei Ds; per le profonde divisioni della coalizione a Caserta; per la scelta (sbagliata) dei candidati della Quercia alla Camera e al Senato. Alla fine più che di una rimonta del centrodestra sembra più corretto parlare di un’autoflagellazione del centrosinistra. Il secondo verdetto degli elettori campani è che nel centrosinistra non tutti perdono allo stesso modo. Anzi, nelle pieghe del risultato, emergono ombre su alcuni partiti e luci su altri. Non sfonda la Margherita di De Mita; mantiene ad Avellino rispetto alle regionali, ma arretra a Napoli dove esprime il sindaco da cinque anni. Deludente il risultato dell’Udeur di Mastella, anche nel suo feudo sannita, segno che la politica degli ultimatum e dei veti ha stancato. E sicuramente deludente, nonostante il sorpasso sulla Margherita, è il risultato dei Ds, partito fin troppo appiattito sulla gestione ormai decennale delle istituzioni locali, incapace di avviare un’opera di innovazione nei programmi e negli uomini. Migliore, invece, la prestazione dell’Ulivo sia in Campania 1 che in Campania 2: più forte l’affernazione in città che in provincia. Bene, infine, nel centrosinistra Rifondazione e Verdi. Con i risultati di ieri, il centrosinistra rischia di perdere Napoli, nonostante il risultato complessivo dell’Unione che nel capoluogo è avanti di dieci punti rispetto alla Cdl. Non è improbabile che alla luce dei risultati di ieri si riaprano i giochi delle candidature. Se nemmeno questo campanello d’allarme verrà ascoltato dai tre leader per tentare una ricucitura con Rossi-Doria e la massa critica del suo movimento, allora l’autoflagellazione continuerà. Il terzo verdetto degli elettori campani riguarda la Cdl, in netta flessione rispetto alle Politiche del 2001, in forte rimonta rispetto alle Regionali e alle Europee. Più che i vertici locali, che negli ultimi mesi hanno dato prova di divisioni tra correnti nella gestione dei partiti e nella scelta dei candidati sindaci, sembra essere stata premiata la scelta di Berlusconi di imporre un referendum ideologico tra destra e sinistra, tra due modi diversi di intendere la politica e lo Stato. Al contrario del risultato del centrosinistra, quello della Casa delle Libertà risponde molto di più ai temi e alle sfide nazionali. In ogni caso, la rimonta della Cdl riapre la prospettiva dell’alternanza nella democrazia campana e napoletana. E questo farà bene anche al centrosinistra. A cominciare da un’immediata riflessione su come e con chi governare Napoli nei prossimi cinque anni.

 
 
 

Post N° 638

Post n°638 pubblicato il 11 Aprile 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

I sogni sono fatti di tanta fatica.
Forse, se cerchiamo di prendere delle scorciatoie,
perdiamo di vista la ragione
per cui abbiamo cominciato a sognare
e alla fine scopriamo
che il sogno non ci appartiene più.
Se ascoltiamo la saggezza del cuore
il tempo infallibile ci farà incontrare il nostro destino.
Ricorda: Quando stai per rinunciare,
quando senti che la vita è stata
troppo dura con te,
ricordati chi sei.
Ricorda il tuo sogno.

tratto dal "DELFINO" di S.BAMBAREN

 
 
 

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