Creato da corsaramora il 24/05/2005
tutto cio' che ci accade intorno ..mie riflessioni e non...
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Messaggi del 13/09/2005
Post n°384 pubblicato il 13 Settembre 2005 da corsaramora
Piazza San Domenico Maggiore, esterno notte. Siamo nel cuore magico della città, dove con la polvere della storia s’è posata anche la cenere di mille leggende, e ogni vicolo, ogni cortile, ogni palazzo racconta - a chi vuole ascoltarle - storie da brivido, macabre o tenerissime. Storie d’amore e di morte, di incantesimi e maledizioni: storie napoletane. Come quella ambientata nello storico palazzo al numero 9 della piazza, costruito nel XVI secolo dai principi di Sansevero. Luogo di esperimenti alchemici e di fantasiose invenzioni - nei sotterranei dell’edificio si trovava il misterioso laboratorio di Raimondo di Sangro - Palazzo Sansevero fu teatro, la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1590, di un feroce assassinio. Tre i protagonisti di questa fosca vicenda: la giovane principessa Maria d’Avalos, suo marito Carlo Gesualdo, principe di Venosa e l’amante di lei, il bel duca Fabrizio Carafa. È della giovane e sventurata principessa il «grido agghiacciante» che ancora, secondo un’antica leggenda, risuona una volta all’anno nel palazzo al numero 9 di piazza San Domenico? |
Post n°383 pubblicato il 13 Settembre 2005 da corsaramora
Se Capurro e Di Capua ci hanno dato 'O sole mio; se Nicolardi e Mario ci hanno dato Tammuriata nera; se Califano e Cannio ci hanno dato 'O surdato nnammurato, ecco che la coppia Berlusconi-Apicella ci regala nuove canzoni napoletane raccolte in un album che si chiama Meglio una canzone. GIA''...MEGLIO UNA CANZONE!!!! |
Post n°382 pubblicato il 13 Settembre 2005 da corsaramora
Tre cose furono belle in quell'anno (1839): La canzone napoletana ha due possibili date di nascita: il 1839 con la canzone Te voglio bene assaje oppure il 1880 con la canzone Funiculì funiculà. Naturalmente la tradizione è molto più antica di queste date: pensate che già nel 1221 la serenata dopo il tramonto, sotto la finestra di una ragazza, era frequentissima! Così frequente che i napoletani non potevano mai dormire tranquilli. E proprio per questo l'Imperatore Federico II ha dovuto fare una legge per vietare le serenate in tutta la città. Sicuramente però il grandissimo successo delle canzoni napoletane "moderne" - che ancora oggi tutti conoscono - è cominciato alla fine dell'Ottocento. I motivi di questo successo sono numerosi: - La festa di Piedigrotta, una festa antichissima che era diventata una specie di "Festival di Sanremo", una vetrina per le nuove canzoni napoletane che venivano presentate in quella occasione al pubblico, nazionale e internazionale. - L'editoria musicale: ancora prima della nascita del disco, gli editori vendevano le copielle, dei fogli di carta con stampati i testi delle canzoni più popolari (di "te voglio bene assaje" ne furono stampate più di 180.000!) - I posteggiatori, musici più o meno colti che si esibiscono nei locali e nei luoghi di ritrovo di Napoli diffondendo le canzoni fra un pubblico sempre più vasto. I più bravi posteggiatori venivano invitati anche all'estero come intrattenitori (posteggiatore era per esempio Eduardo di Capua, l'autore di 'O sole mio). - La nascita dei caffè-concerto e dei primi teatri di varietà, punti di ritrovo stabili dove andare ad ascoltare musica. - L'alta qualità di molte canzoni napoletane, che entrano nel repertorio dei grandi cantanti lirici anche di fama internazionale, i quali le cantano nei loro concerti in Italia e all'estero e le rendono popolari come le arie più famose dell'opera e del melodramma. Fra questi cantanti Enrico Caruso è certamente il più celebre. La "canzone napoletana" comprende in realtà parecchi generi diversi: la serenata naturalmente (quella che si suona la sera sotto la finestra dell'innamorata), la mandolinata (come una serenata ma con forte presenza di mandolini), la tarantella (nata da un ballo del Seicento), la tammurriata (caratterizzata dal ritmo incalzante di uno strumento che si chiama tammorra: fra le tammuriate più famose ricordiamo Tammuriata nera di E.A. Mario). E a seconda dell'argomento ci sono barcarole (canzoni ispirate al mare), canzoni di giacca (canzoni che parlano della malavita, avventure di "guappi" vestiti appunto con giacca attillata e fazzoletto al collo), canzoni dei carcerati, canzoni di guerra ('O surdato nnammurato), canzoni dei "mestieri" (A tabaccara, A lattara, Acquaiola 'e Margellina, A levatrice, O pizzaiuolo, L'ostricaro 'e Napule, ecc.). Ci sono poi le canzoni d'occasione, quelle scritte per celebrare un avvenimento particolare (come Torna a Surriento, per esempio). Dopo la Prima guerra mondiale gli spettacoli musicali, per andare in scena, dovevano pagare una tassa molto forte; questo, per favorire la diffusione del teatro di prosa. Ma, come si dice, "fatta le legge, trovato l'inganno". Gli ingegnosi artisti napoletani scrivono allora "scene sulle canzoni", veri pezzi teatrali che ruotano intorno al testo delle canzoni. A questo punto lo spettacolo che andrà a teatro non sarà più solo uno spettacolo musicale ma un varietà con recitazione, ballo e musica. E niente tassa. La sceneggiata ha avuto grande fortuna in Italia e in America. La sua caratteristica principale è quella di esagerare i sentimenti con una recitazione e una gestualità estremamente vistose. Per questo fare la sceneggiata oggi è diventato un modo di dire: un giocatore di calcio che cade in terra e sta cinque minuti a lamentarsi (anche se non si è fatto niente) oppure una persona che per un problema piccolo piccolo si agita vistosamente e coinvolge tutti nel suo dramma, ecco, per loro si può dire che "fanno la sceneggiata". |
Post n°381 pubblicato il 13 Settembre 2005 da corsaramora
Nella legge del 1874 "trovasi sempre adoperato il genere mascolino avvocato e mai la parola avvocata che pur esiste nella lingua italiana". Questa una delle bizzarre motivazioni estrapolata dall'arringa pronunciata dal Procuratore Generale della Corte di Appello di Torino nel processo che segnò il rigetto del provvedimento di iscrizione all'Albo dell'avvocata Lidia Poet, la prima donna in Italia a chiedere di poter esercitare l'avvocatura, deliberato dal Consiglio dell'Ordine Forense di Torino. Correva l'aprile 1884 e il Procuratore che aveva chiesto l'annullamento della delibera era per cronaca, Vincenzo Calenda, di Tavani, aristocratico molto noto negli ambienti giudiziari e non, poi divenuto Senatore del Regno. Le motivazioni del Procuratore Generale Calenda di Tavani, avverso l'ingresso delle donne nell'avvocatura, ovvero come si diceva all'epoca della "milizia togata" motivazioni che possono sembrare stravaganti, ma che evidentemente all'epoca non lo erano, furono in sintesi le seguenti: 1) Nessuna legge aveva mai pensato di distogliere le donne dalle ordinarie occupazioni domestiche che loro sono proprie. 2) Ammettere le donne all'avvocatura era ridicolo e inopportuno. 3) Il precetto del Codice Civile secondo il quale ogni cittadino gode dei diritti civili non poteva riferirsi alle donne. "In caso contrario queste avrebbero potuto diventare Consigliere Provinciale, elettore politico, deputato e voi ridereste a codeste esorbitanze e ne riderebbero per fermo anch'esse le donne, le quali, giammai sospetteranno che le leggi concedano tanta somma di diritti, mentre governo, parlamento, giornalismo in 35 anni di libertà non curano di attribuire loro pur una particella sola". 4) La legge del 1874 non aveva preso in considerazione la presenza di donne avvocato perchè a quel tempo queste non erano ancora ammesse all'Università, Si trattava pertanto, sempre secondo il Calenda di Tavani, di un divieto a perorare in Tribunale che affonda le radici nel tempo, fino ai romani. "Le cose - disse - da quel giorno più non mutano nella lunga tratta dè secoli". Auguro all'Italia che non abbia a sentir mai il bisogno nè di donne soldate nè delle donne avvocate". 5) L'ingresso delle donne nell'avvocatura porterebbe alla disgregazione familiare, riducendo i matrimoni. 6) I giudici - udite udite - avrebbero perso la loro serenità di giudizio davanti ad un'avvocatessa attraente, anche perchè la moda femminile, con i suoi abbigliamenti strani e bizzarri, non si conciliava con la severità della toga. Sul tema si aprì un dibattito con delle prese di posizione contro l'ingresso delle donne nelle libere professioni che oggi farebbero rizzare i capelli non solo alle femministe, ma a chiunque sia dotato di un minimo buon senso nonchè di quel minimo di sentimento di rispetto e di civile convivenza. Il tema d'altronde, data l'epoca caratterizzata dalla prepotenza maschile nella quale veniva dibattuto, si inseriva in quello più generale della parità tra uomo e donna. In definitiva più che l'indirizzo giuridico, erano le ragioni socio-culturali a sostenere la esclusione della donna dalle libere professioni. I più illuminati insorsero contro questa concezione a relegare la donna ad un ruolo esclusivamente domestico, poichè in gioco c'era l'emancipazione e la redenzione femminile che tanto preoccupa il nostro tempo. Così si espresse lo scrittore e storico pugliese Giuseppe Maselli-Campagna. Di contro la scrittrice Matilde Serao insistè sul fatto che "le donne avvocatesse si sarebbero esposte al ridicolo, così come tutte quelle emancipate senza talento, senza istruzione vera, senza serietà, che vogliono votare e non lavorare" la quale Matilde Serao fu accusata di spingere le donne laureate a fare "la calza". La sentenza sottoscritta dal Presidente della Cassazione di Torino, Lorenzo Eula, noto giurista e futuro guardasigilli, sia pure con motivazioni più ponderate e più eleganti nella forma e nel contenuto, accolse le conclusioni del Procuratore Generale e respinse il ricorso della Poet. Tra l'altro si legge nella sentenza che "l'influenza del sesso sulla capacità e condizione giuridica è dovunque sempre stata tale, che i legislatori si sono trovati nella necessità per ragioni appunto di ordine morale e sociale, non meno che per l'interesse della famiglia, che è la base della società, di dove, a riguardo delle donne, riconoscere e mantenere in massima uno stato particolare restrittivo di diritti...che sono considerati di ragion pubblica perchè dipendenti dal sistema generale delle cose e delle azioni". La sentenza prende in esame tra l'altro, anche l'istituto dell'autorizzazione maritale, la quale, all'epoca impediva alle donne di intraprendere azioni commerciali e gestire patrimoni senza il consenso dei coniugi. Insomma il medioevo si è spinto oltre le soglie del '900. Bisogna attendere infatti il 1919 perchè la legge n. 1776 oltre ad abolire l'autorizzazione maritale, ammise con l'art. 7 le donne all'esercizio di tutte le professioni e di tutti gli impieghi pubblici. Un censimento del 1921 indica in 85 il numero delle donne italiane che esercitavano l'avvocatura. E purtuttavia le donne dovevano subire discriminazioni anche durante il ventennio fascista che identificò la missione delle donne esclusivamente nella maternità. L'orientamento antifemminista del regime è noto. |
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