Un giorno ti vedrò

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Un Giorno ti Vedrò

Una storia per te, che possa arrivare dritta al tuo cuore, non so per quali vie, ma so che arriverà a destinazione.

A te che hai reso fantastici quei giorni di prigione, giorni di Libertà….

Arrivederci Andy, ovunque tu sia!!!

“ La linea della Vita, come quella che trovate sul palmo della vostra mano, non è dritta, è piena di curve, di ostacoli, per la linea della nostra vita non troviamo il manuale delle istruzioni, e un giorno la linea della mia vita era diventata esattamente un’iperbole dalla folle indecifrabile funzione matematica….

Se hai voglia poi di risolvere la funzione-diceva il mio amico- cerca!!!! Cerca nella tua testa un posto tranquillo, un rifugio nel ricordo più bello della tua vita e da lì Vai!!! Vai avanti e lotta per essere libera di nuovo libera!!!”

Era una gabbia di matti, ognuno con il suo filo esistenziale spezzato, eppure nei loro occhi , la luce non si era spenta:- “la Luce della consapevolezza”-.

Loro vagavano a passo svelto, lento, di nuovo svelto, stringendo i pugni, graffiandosi i denti per non urlare.

Quale luce allora?

La Luce negli occhi di quelli consapevoli che non torneranno indietro, non guariranno mai totalmente, la luce negli occhi di quelli che un giorno hanno deciso di fare un grande salto, fuori dalla gabbia , fuori da ogni regola, fuori da ogni schema umano, perché di umano nella loro vita non è rimasto nulla da condividere…

Un coraggioso salto che li ha catapultati nuovamente in gabbia, una nuova gabbia blindata , la zona morta, la zona bianca , neutra, linda, profumata, antisettica, antiincendio, antistress, antipanico…..

Quale luce allora?

La luce negli occhi di quelli che sperano di trovare una via di fuga, e la troveranno nella cura, la cura giusta se saranno fortunati, e che non faccia sentire il loro corpo sempre pesante, flaccido, e il più delle volte così rigido da camminare come un robot.

 

Si chiamava Andy, e giuro, non scorderò mai i suoi occhi, il suo viso, il suo corpo, i suoi respiri e ogni cosa che ci girava intorno, senza che fosse per sempre.

Non so che fine abbia fatto, ma spero stia bene, spero! Spero stia meglio di come e dove io lo avevo lasciato.

Sono passati anni e, nonostante la distanza, la distanza l’una dall’altro, ho chiara, nitida l’immagine, il corto di quel pezzo di vita che, se non fosse stato per quella mia girata di testa, non avrei mai vissuto.

Il trascorrere del tempo non affievolisce i ricordi, almeno per me.

Il trascorrere del mio tempo, i ricordi li accentua, li allunga a dismisura, li salvifica, li perdona, li culla: il mio tempo è una calda coperta invernale, serve per riscaldarmi durante la notte, il mio tempo è una madre che lo rende accogliente anche nei momenti in cui non lo è stato.

Vidi Andy la prima volta al di là di una porta a vetro, mi salutava con un mezzo e spietato sorriso facendomi segno di vittoria con le sue dita (potevo distinguerlo bene quel segnale) appiccicate sulla vetrata.

La luce della mia camera presto si spense e filtrava a malapena il colore rossastro di un macabro tramonto,

pregavo che non si spegnesse, che non calasse giù il sole, eppure mi salutò, lasciandomi nel buio della notte più lunga della mia vita.

Legata alle caviglia, legata ai polsi…. Nessuna possibilità di muovermi, nessuna possibilità di chiedere aiuto, caldo, così tanto caldo da non respirare.

Non dovevo agitarmi, non dovevo piangere eppure scendevano lacrime, mi solleticavano il viso, ma non era piacevole, esse arrivavano sino alle labbra insieme al muco del mio naso e io non potevo asciugare, alleviare il dolore.

Pensavo alla morte e pensavo alla vita e per quest’ultima decisi di scegliere, così cercai di calmarmi pensando al giorno dopo , che se mai fosse arrivato dovevo essere sveglia.

 

La vetrata alla destra del mio letto regalò finalmente una bellissima vista del nuovo giorno nascente e in quegli attimi donai un’intensa preghiera al mio dio, perché sentivo di avere ancora energia nell’anima e nella mente.

La porta scricchiolò forte ed entrarono quattro infermieri, erano giovani, io più di loro.

Prima di slegarmi diedero una veloce pulita al mio viso, usarono del cotone asciutto e piano fui liberata.

Avevo bisogno di un bagno e gentilmente con voce decisa chiesi di poterlo usare.

Mi lavai subito la faccia e amai l’acqua, fresca – limpida.

Tornai in camera e loro erano lì ad aspettarmi, ma sapevo che il peggio era passato.

Gli ospedali non sono il genere di luogo per cui mettere una firma e starci una vita, ma se posso dirla tutta, ce ne sono certi che sembrano delle oasi.

Questo era blindato, toccò a me rendere accessibile, in una soleggiata mattina, il giardino, che noi pazienti scrutavamo, come se fosse la cosa più bella mai vista prima.

Le porte furono aperte dal caposala e a noi sembrava ci avesse regalato tutto un mondo da scoprire: “ Che gioia, vederli accarezzati dal sole, rilassati, in pace con loro stessi e penso anche con il mondo intero”.

Eravamo tutti nel giardino, nel nostro spazio di Luce, nel nostro spazio conquistato, dopo giorni d’aria condizionata, di luce a neon, ognuno con le sue lamentele da riportare al caposala, che se non sapevi prendere dal giusto verso ottenevi come premio la giusta dose di sedativi e se avevi magari alzato il tono della tua voce ci potevi aggiungere i bracciali da polso su un letto così bianco, che per protesta lo avresti decorato volentieri delle tue feci.

Quel piccolo giardino ci ricordava della vita, e mi riferisco agli odori, ai colori, al lieve vento che ti accarezza il viso, alla possibilità di alzare gli occhi per scorgere il cielo infinito; solo chi ha provato una volta almeno la gabbia può sentire la grazia che si nasconde dietro questi elementi, riconquistarli, perché se ci sei stato troppo tempo nella gabbia, gli elementi della vita ti possono investire con tale potenza da averne paura.

Andy si tolse la t-shirt rossa, mostrandomi un fisico asciutto e allo stesso tempo scolpito, aveva dei tatuaggi e i suoi occhi , punti dal sole, mi facevano vedere meglio il loro colore, verde acceso occhi brillanti come non ne ho visti più.

Aveva una lunga barba, così una mattina mi svegliai di lena con un solo desiderio, svegliare Andy e ripulirlo, volevo vedere bene i dettagli del suo viso.

Seduto sul bordo della vasca da bagno mi accolse sulle sue gambe e io cominciai a tagliare.

Pensavo tra me che stessi facendo la cosa più dolce ed elegante che una donna possa fare ad un uomo e io l’avevo visto fare solo nei film.

Così anche io avevo eseguito quello che per me era da considerare un vero e proprio rituale magico, un po’ come quello del nodo alla cravatta .

Andy mi chiamava bimbetta e forse aveva ragione, mi trovavo esattamente in quel limbo, tra l’essere una bimba e una donna, è una fase in cui potresti avere gli occhi bene aperti, i piedi ben piantati a terra e invece sei solo una persona inconsapevole, agendo senza preoccuparti delle conseguenze.

E una cosa di cui non mi ero assolutamente preoccupata era che presto, molto più presto di Andy avrei lasciato quel posto.

Il giorno in cui esci dalla gabbia ti senti euforico e nello stesso tempo hai una stretta in gola a dover salutare chi invece deve restare.

L’ibernazione forzata era terminata.

La gabbia si apriva e si richiudeva alle mie spalle, che voltavo, sicura di vedere, per l’ultima volta il mio amico Andy.

Ps: La Libertà non è un regalo è una conquista, una conquista delle nostre anime e delle nostre menti, così fragili e nello stesso tempo così potenti che spesso non sappiamo dominarle.

Un giorno ti vedròultima modifica: 2016-10-02T13:48:39+02:00da simona.leone1981