leggetti

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L’ultima volta che scrissi ‘lessi’ ebbi come un turbamento. Di quelli che mi prendono quando ho a che fare con certi verbi. Come quella volta, forse la prima in cui decisi di tirar fuori le palle per dimostrare più a me che a lei di avercele e le urlai ‘scomparisci!’. Nemmeno a dirlo, scomparve davvero e, ancora oggi, non so se per le palle o per quella declinazione. Di certo, da allora, non ho mai più cacciato una donna, neanche con un “finisciamola qua”.
Tornando a ‘lessi’, oltre al turbamento, ebbi come una visione. In un angolo seduta a terra sotto la finestra c’era una ragazza. Le gambe piegate e le braccia attorno. La guancia appoggiata sulle ginocchia. Nella penombra della stanza una fetta sottile di luce le carezzava i capelli disegnando un riflesso castano. Mi inginocchiai davanti a lei e sentii che Leggetti aveva un bell’odore. Non sapevo altro. Non avevo modo di vederle gli occhi e nemmeno la bocca. Leggetti, senza alzare la testa, mi disse:
“Non voglio compassione”
“Nessuna compassione. Vorrei dirti però che tu non sei la sola. Ci sono anche tanti congiuntivi sbagliati che, a differenza di te, non si isolano o si chiudono in se stessi”, proprio io mi avventuravo nella jungla della grammatica.
Leggetti alzò appena la testa e mi guardò aggrottando le sopracciglia. Non rispose subito e mi diede il tempo di pensare ‘fanculo quanto cazzo sei bella’.
“Ti ho detto che non voglio compassione, ma hai cominciato lo stesso col piede sbagliato. I congiuntivi non c’entrano nulla con Leggetti. Saprei e Sapessi vivono la loro vita a prescindere da come vengono utilizzate. Esistono. Io no e, quando esisto, sono solo e sempre uno sbaglio. Faccio ridere quando non faccio addirittura orrore. Capisci?”
“Dici che la grammatica è razzista?”
“Peggio, la grammatica è un regime. Non è una democrazia. Discrimina le parole. Perché?”, e si sfilò la camicia che aveva sui jeans. Impiegai un nanosecondo a decidere se continuare a guardarla negli occhi o guardare quel seno nudo. Considerata la mia timidezza, decisi per gli occhi. I miei occhi, invece, fottendosene della mia timidezza, decisero per il seno. Avrei voluto dirle che forse stava commettendo un errore giudiziario incolpando la grammatica piuttosto che l’ignoranza, ma preferii tacere perché Leggetti non si fermò alla camicia. Si sfilò anche i jeans e le culotte.
“Avanti, dimmelo cos’ho che non va per essere anch’io una parola come le altre? Guardami!”
Come Jonathan quando chiuse le ali e si buttò giù in picchiata, il mio sguardo si tuffò giù dal seno e volò in caduta libera fino ad aggrapparsi fortunosamente a quel pube non completamente depilato. E là rimase.
“Dimmelo. Cosa cambia fra Lessi e Leggetti? Te lo dico io cosa cambia: nulla! Tranne voi e la vostra stupida grammatica. La rappresentazione della vostra ipocrisia. Fingete di guardare ai contenuti, ma con la grammatica uccidete la libertà.”
“Libertà di parola, intendi?”
“No, libertà di espressione, idiota”.
Si rivestì ed andò a sedersi di nuovo sotto la finestra. Le gambe piegate e le braccia attorno. La guancia appoggiata sulle ginocchia. Nella penombra della stanza una fetta sottile di luce le carezzava i capelli disegnando un riflesso castano.
leggettiultima modifica: 2020-04-15T17:08:47+02:00da arienpassant

5 pensieri riguardo “leggetti”

  1. Bel post, d’altronde per una persona che non ha peli sulla lingua, è molto. Volevo ringraziarti per il tuo passaggio nel mio umile blog, soffermandoti sul mio post che tratta la storia di Nasrin, Avvocato, iraniana, condannata a 33 anni di carcere e a 148 frustate solo per aver difeso i giusti diritti , difensore dei diritti umani, ma vado oltre, sei riuscito a farmi “rivedere” la condizione tra la donna orientale e la donna occidentale, e di questo ti ringrazio!
    Volevo solo farti sapere che è piacevole discutere, scambiare messaggi, opinioni con gente intelligente, nonché preparata, e questa piattaforma, ahimè, lascia a desiderare. Un grazie di cuore, alla prossima Nina.

  2. Ti ringrazio, e sono contento di averti proposto anche un’altra prospettiva perché, da maschio, mi piacerebbe che la donna, dovendo affrontare una scalata ingiusta per conquistarsi lo spazio che le competerebbe nel diritto, non commetta l’errore di distinguere la sua condizione fra il “privilegio” di essere occidentale rispetto a quello di un certo oriente. Il maschio potrebbe approfittarne dicendo: “di cosa ti lamenti, in occidente, almeno, non ti frustiamo”. Io però so della frustrazione di donne che devono lasciare il lavoro dopo una gravidanza solo perché non ci sono asili nido a sufficienza; di donne che se non la danno, quando non perdono il lavoro, si giocano comunque la carriera; di donne che a parità di mansioni percepiscono il 20/30% in meno del maschio. Di certo rispetto alle “frustate”, la erre in più non esprime a sufficienza quanta sofferenza, dolore ed umiliazione c’è nel sentirsi “frust(r)ate”.
    Ciao 🙂

  3. Quando ho scelto questa foto ho immaginato il dialogo fra loro due. L’abitino doveva essere in tessuto morbido e leggerissimo e glielo aveva imposto lui così come le aveva imposto la posizione dal busto in giù, l’altra metà del corpo, fai tu Kim. Ora, prima dello scatto consentimi solo di sistemare io il tessuto fra le tue gambe. Tranquilla, cercherò di non sfiorartela nemmeno.
    “Se è importante, fai pure”, rispose Kim.
    Sistemato il tutto, Newton pregò Kim, di cambiare come meglio credesse la posizione delle braccia, quella del viso e le espressioni, ma di non muovere di un millimetro quella delle gambe. Non essendoci uno specchio, Kim poté vedere il risultato solo dopo che Newton aveva stampato i vari scatti e gli disse:
    “Ecco, ora comprendo tutta quella cura nel sistemarmi la piega. Sei davvero un grande fotografo, ma anche un porco”, e gli sorrise.

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