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Donna con cappello - Virginia Fabbri
Donna con cappello – Virginia Fabbri
Erano passati 2 anni dal giorno in cui si era svegliato quando, in uno dei suoi spostamenti in macchina incontrò Angela che usciva da una farmacia. In un istante la popolazione sul pianeta si era raddoppiata, ora erano in due. Sarebbero serviti altri 8 mesi per triplicarla.
Entrarono in un bar, si sedettero e si raccontarono le loro storie reciproche. Lei si era svegliata 21 mesi prima, lui 24 mesi prima. Si raccontarono dove e come stavano vivendo le loro due solitudini ed altro, poi Bruno le chiese:
“Ti andrebbe di proseguire assieme? Unirti a me. In fondo, mettere assieme due solitudini è farsi compagnia.”
“Speravo me lo chiedessi, ma se non lo avessi fatto tu lo avrei fatto io perché a me la solitudine non pesa ed essere in due non è che cambi di parecchio il concetto di solitudine; quello che cambia e di parecchio, è il senso di protezione reciproca. Di ansia e paura”, si alzò e gli chiese di accompagnarla alla toilette e di entrare dentro con lei. Non voleva restare sola o, forse, aveva paura di non ritrovarlo uscendo. Bruno entrò con lei e si girò mentre lei si sedeva sul water. Quando lei si alzò, Bruno le disse:
“Approfitto anch’io”
Lei non uscì, si girò soltanto lavandosi le mani nel lavabo e mentre lui finiva di pisciare gli si avvicinò. Gli mise una mano dietro la schiena e l’altra gliela fece scivolare fino a prenderglielo in mano. Sempre tenendoglielo si sedette sul bidet e glielo accarezzò con la guancia, poi con le labbra fino a schiuderle. Bruno si abbassò su di lei, la prese nei fianchi e la sedette sul lavabo. Le sbottonò la camicetta, poi le sfilò le mutandine.
Da quel pomeriggio continuarono a stare assieme e a girare alla ricerca di altri. Entrambi, in giorni diversi, si erano svegliati ed intorno a loro era tutto immobile. La gente era scomparsa. Nessuna traccia di nessuno. Svegliarsi senza un passato e con un solo ricordo, ma molto vago e somigliante ad una nebbia fittissima.
Quella mattina di due anni ed 8 mesi prima, lui fece la doccia, si vestì ed uscì in un paesaggio immobile. Negozi, case, uffici, nessun segno di vita, della gente nessuna traccia. Come vaporizzata. Nessun segno di macerie. Tutto era intatto. Elettricità, carburanti, acqua, alimenti nei frigoriferi. Frutta sugli alberi. Solo le erbacce creavano qualche problema. Poi incontrò Angela e, nei successivi 8 mesi continuò con lei a spostarsi usando un pickup; utilizzavano qualunque macchina che trovavano nei garage o in strada, ma preferivano il pickup perché con quello, durante i loro giri, potevano caricargli su quanto poteva essergli necessario; mangiavano e dormivano dove capitava; il cibo abbondava nei congelatori dei negozi.

2
Quel giorno, percorrevano una strada che fiancheggiava il mare ed Angela notò qualcuno che nuotava. Scesero dal pickup, lui prese lo zainetto e si avviarono in spiaggia mentre Daniele usciva dal mare. Bruno chiese ad Angela di camminargli al fianco. Avvicinatisi a Daniele, la cosa che saltò subito all’occhio di Angela era che lui fosse più alto, ma anche più attrezzato di Bruno. Si fermarono a due metri da lui. Si parlarono scambiandosi informazioni. Daniele era tranquillo, sorrideva e rimasero lì a raccontarsi da dove venivano, dove vivevano, se c’erano altri. Alla fine erano solo loro tre. Dopo quasi un’ora di dialogo, Bruno si rivolse a lei:
“Angela, dovremmo finire le cose che stavamo facendo. Un’ora al massimo e torniamo”, poi rivolto a Daniele: “Tu ci aspetti qua?”
“Come volete”, rispose.
“Bruno, io preferirei fare un tuffo. Ti aspetto qua anch’io”, disse Angela.
“Va bene, a dopo”, disse Bruno avviandosi verso il pickup. Risalì la spiaggia, montò sul pickup e partì. Si fermò pochi chilometri dopo, al primo distributore. Scese dal pickup e fece il pieno di gasolio. Poi andò verso il negozio della stazione di servizio. Aprì la porta, prese qualche barattolo di grasso, qualche lattina d’olio, due batterie, qualche lattina d’acido e qualcuna di antigelo, caricando man mano il tutto nel pickup. Uscì dal negozio ed entrò nel bar di fianco dove riempì un sacchetto di plastica di pacchetti di sigarette ed accendini. Guardò l’ora, tornò al pickup e ripartì verso la spiaggia. Zainetto a tracolla e si avviò. Daniele ed Angela, non erano in spiaggia. Si guardò intorno e decise di seguire le tracce sulla spiaggia. Conducevano ad una duna appena distante. Giunto alla duna, fece appena qualche passo e li vide oltre, distesi fra sabbia ed erba. Scopavano. Fece qualche passo indietro e risalì la spiaggia tornando al pickup. Si appoggiò alla portiera, accese una sigaretta ed aspettò. Da quando si era svegliato ed in tutto quel tempo aveva provato sensazioni di fame, sete, voglia di sesso, sonno. Improvvisamente, quel pomeriggio, provò qualcosa di nuovo. Sicuramente diffidenza, ma questa la provò anche quando incontrò Angela ed era normale perché essa rientra nel timore del non conosciuto. Quel timore che può evaporare con la conoscenza o amplificarsi in paura. Quindi non era sorpreso della diffidenza, ma di quel disagio che sentiva verso Daniele e non riusciva a decifrare ancora.

Si era svegliato e non aveva alcun passato. I sentimenti erano un qualcosa ancora in bozzolo. Mancava l’esperienza e i sentimenti a noi più comuni hanno bisogno dei raffronti per esistere. Se su tutto il pianeta ci sei solo tu ed una donna non potrai conoscere, ad esempio, né l’amore e nemmeno la gelosia perché entrambi i sentimenti non saranno mai messi alla prova e, se non puoi scegliere, non puoi parlare d’amore. Non hai alternative per capire realmente cosa sia provare amore. Puoi provare attrazione, desiderio, fiducia, anche benessere, ma sempre senza un confronto reale ed alternativo. E quel suo improvviso disagio, era dovuto proprio al trovarsi per la prima volta di fronte ad un’alternativa che capovolgeva lo status realizzatosi tra lui ed Angela in quegli otto mesi. Fino a quel pomeriggio avevano condiviso le proprie vite ed ora ciascuno doveva condividere anche Daniele. Questo, in termini sociali non era un problema, anzi era qualcosa di positivo perché pure se la socialità per certi versi complica la vita, i suoi vantaggi, però, sono maggiori degli svantaggi. Il problema era Angela perché, ferma restando la sua volontà o la sua scelta, immaginando che quella scopata dietro la duna fosse la sua disponibilità a concedersi ad entrambi, loro due sarebbero stati altrettanto disponibili? In fondo, anche se era presto per dirlo, l’evoluzione è iniziata così.
Quel pomeriggio un nuovo seme stava mettendo radici. Anzi, più di uno ed anche se è difficile dire in che ordine, di sicuro, erano le radici della gelosia, del possesso che, da privato, diventa condiviso. Era il primo segnale di un sentimento nuovo ed ancora in embrione, l’amore. Quell’amore che, come l’intelligenza, non era nato assieme all’uomo perché l’unico e primordiale sentimento nato con l’uomo è la paura.
Si potrebbe pensare che quelle radici nascevano per la disparità dovuta a due maschi ed una sola femmina. Invece no, quelle radici sarebbero nate comunque anche se le femmine fossero state due, perché la scelta aveva messo radici già con i soli Bruno ed Angela. Non quella dei sentimenti, ma quella della decisione, dove una delle due avrebbe prevalso. Non essendoci una seconda femmina ed un secondo maschio, scegliere con chi fare sesso non esisteva ancora. A meno che Bruno non preferisse farlo con una capretta piuttosto che con lei, ma non credo che una capretta potesse ingelosirla né tantomeno far innamorare Bruno. Più probabile che lei avrebbe provato invidia verso la capretta. Con due femmine e due maschi, in ogni caso, l’alternativa diventa possibile ed ora c’era. Poteva essere un fatto positivo per Angela, ma non per Bruno e nemmeno per Daniele perché Angela era quella che poteva scegliere. Loro due no. Per loro c’era il timore della scelta. Un timore che, peggio ancora, poteva essere alimentato da un sentimento nuovo, l’amore. Quel sentimento che come un ramo, lui stesso genererà a sua volta quei sentimenti parassiti e negativi quali la gelosia, l’invidia, la rabbia, il rancore, fino all’odio.

3
Andato via Bruno, Angela e Daniele, seduti sulla sabbia parlarono un po’ mentre il mare gli accarezzava i piedi. Angela si alzò e gli disse che avrebbe fatto il bagno. Si tolse la t-shirt, i pantaloni e, solo con le mutandine, entrò in acqua. Nuotò un po’ verso il largo e tornò. Daniele si alzò. Angela infilò la t-shirt e gli disse “camminiamo un po’, così mi asciugo al sole”. Daniele prese con sé lo zaino ed il telo. Camminarono verso sinistra, dove la sabbia saliva verso una duna. Continuarono a parlare, fino alla duna oltre la quale la sabbia ridiscendeva verso un prato che rubava spazio alla sabbia. Arrivati sul prato, Angela e Daniele si ritrovarono nudi uno davanti all’altra. Tanto vicini da rendere inutile ogni parola. Solo occhi, pelle, respiro e voglia. Non serviva altro per distendersi e chiavare. Siamo diversi l’uno dall’altra, ma non solo fuori. Anche nei paraggi e dentro. Angela voleva provarla la differenza fra Bruno e Daniele. Comprenderla. Diversa lo era anche Angela, ma Daniele non ricordava nemmeno più le differenze. Era passato troppo tempo. Anche il godere non è mai uguale. Il tempo della voglia. Il tempo del godere. Il cazzo di Daniele era più lungo ed andava più profondo. Oltre il dove serve. Quello di Bruno durava di più.
Sbucarono dalla duna ripresero i loro abiti, si rivestirono. Non avevano fretta. Parlavano fra loro. Ogni tanto, parlando, si fermavano. Poi, guardando verso la strada, lo vide.
“Arriviamo”, gli gridò Angela, sempre camminando piano e parlando. Era quasi il tramonto.
“Eccoci”, disse Angela, “l’ho convinto ad unirsi a noi”.
“Gli argomenti non ti mancano, non credo sia stata una gran fatica”, disse Bruno.
Angela incassò senza rispondere.
“Bene, prendi la tua roba e mettila nel pickup”, disse Bruno rivolto a Daniele.
“La mia roba è tutta qua”, disse Daniele mostrando il suo zaino.
Salirono e tornarono verso casa.
“Angela mi ha spiegato come siete organizzati. Bella l’idea del Campo Base e del rifugio”, disse Daniele creando disagio ad Angela.
“Questione di prudenza”, rispose sereno Bruno, “diciamo che abbiamo un posto dove viviamo abitualmente ed un rifugio alternativo nel caso in cui, per qualunque evenienza, dovessimo lasciare il Campo Base. Come avere anche la casa al mare o in montagna, nulla di geniale.”
“Ne avete uno solo, di rifugio alternativo?”, chiese Daniele.
“Cosa ti ha detto Angela?”
“Che ne avete uno”
“E allora, perché lo chiedi? Già non ti fidi di Angela?”, rispose Bruno.
“Ahah, no era per parlare. Cos’avete nel rifugio? Alimenti, vestiti ed armi?”, chiese ancora Daniele.
Bruno percepiva il disagio di Angela. Era muta. Lui, non sapendo cosa avesse raccontato a Daniele cercò di essere vago.
“Abbiamo le stesse cose che sono al Campo Base. Tutto ciò che ci è utile alla sopravvivenza. Uno di questi giorni ti ci portiamo e vedrai tu stesso”, disse Bruno e fischiettò un motivetto sperando che Angela cogliesse.
“Ahia!”, esclamò e fece una velocissima inversione di marcia, “ho lasciato le chiavi alla stazione di servizio. Meno male che sono pochi chilometri”, e accelerò tornando indietro.
Angela non disse una parola. Aveva colto e capito che era una bugia. Bruno guardò allo specchietto il viso di Daniele.
“Scusami, ti ho spaventato? Vuoi che rallento?”.
“Solo un poco. L’inversione… ho avuto un capogiro”, disse Daniele.
Bruno rallentò un poco e proseguirono verso la stazione di servizio. Arrivati, scese.
“Faccio in un attimo”, ed entrò nel bar. Girò intorno al banco e prese il piccolo borsello con le chiavi che aveva notato quando aveva preso i pacchetti di sigarette e gli accendini qualche ora prima. Tornò al pickup. Infilò il piccolo borsello nello zainetto e ripartì. Daniele era meno teso.
Bruno guidava senza correre. Ogni tanto dava un’occhiata nello specchietto. Daniele era più rilassato e, per qualche chilometro, con l’occhio al finestrino. Poi smise di guardar fuori.
Arrivati al Campo Base, mostrarono l’appartamento a Daniele dandogli una stanza dove sistemarsi. Bruno ed Angela fecero la doccia, e dissero a Daniele che poteva organizzarsi per cenare. Avrebbe trovato tutto nei frigo. Loro due invece sarebbero usciti per il solito giro serale e dopo essersi rivestiti così fecero.

4
Presero il pickup e si diressero in collina, alla Vecchia Trattoria con la terrazza a strapiombo sul mare. Si sedettero al solito tavolo. Era il posto nel quale ogni tanto trascorrevano le sere sgranocchiando pistacchi, nocciole e patatine, sorseggiando vino.
“Che succede Bruno?”, gli chiese Angela.
“Ti ricordi quando, due mesi dopo esserci incontrati, ti chiesi se ti sentivi sicura con me, se ti sentivi protetta, se ti fidavi di me? Mi rispondesti “tutte e tre le cose” ed io ti dissi, “allora vieni con me” e ti portai al rifugio Azzurro. Te lo mostrai e non ti nascosi nulla di quanto c’era dentro. Ti spiegai anche il senso di quel rifugio. Era un’alternativa nel caso in cui il Campo Base, per un motivo qualunque fosse venuto meno. Quando uscimmo, in macchina mi chiedesti perché avevo aspettato due mesi prima di mostrartelo. Ti dissi che, come te, anch’io avevo avuto bisogno di tempo prima di potermi fidare di te. E ti dissi che quel rifugio poteva essere la nostra salvezza se fossimo rimasti fedeli oppure la nostra condanna se ci fossimo traditi. Ci promettemmo di non rivelarlo ad eventuali altri, vero?”
“Sì… ho sbagliato, perdonami”, disse.
“Gli hai accennato o detto anche del rifugio Blu?”
“No”
“Gli hai detto delle armi?”
“No, ma hai visto tu stesso. E’ un ragazzo affidabile.”
“Lo vedremo. Un’ultima cosa. Rifletti prima di rispondermi. Vi ho lasciati in spiaggia. Guardando il mare, la duna dietro la quale stavate scopando era a sinistra. Dopo che vi ho lasciati cos’avete fatto?”
“Niente, io ho fatto il bagno, poi siamo rimasti là a parlare. Poi abbiamo camminato verso la duna. E poi siamo tornati verso la spiaggia e ti abbiamo visto.”
“Dopo che vi ho lasciati avete camminato solo verso la duna o anche dall’altro lato, verso destra. Pensaci bene.”
“No, gli unici movimenti solo verso la duna, perché?”
“Ok” – le rispose Bruno, liquidando la cosa – “torniamo adesso”.
“Aspetta”, gli disse Angela prendendolo per il polso mentre lui si alzava, “vuoi chiedermi o dirmi altro?”
“No, nient’altro. Tu hai altro da dovermi dire?”. Lei restò muta. Bruno sfilò freddamente il polso dalla sua mano e si avviò.
“Bruno!”
“Che c’è?”, disse Bruno senza voltarsi e senza fermarsi.
“… niente”, disse Angela alzandosi.
Tornarono al Campo Base. Daniele era sul divano e giocava con la playstation. Bruno uscì di nuovo per svuotare il pickup dalle cose che aveva preso alla stazione di servizio. Dopo un po’ rientrò ed Angela e Daniele giocavano assieme con la playstation. Aprì il frigo, si versò un bicchiere d’acqua fredda, lo bevve.
“Io esco, buonanotte.”
“Buonanotte”, rispose Daniele.
Angela non rispose. Sapeva che il suo “buonanotte” non avrebbe cambiato l’umore di Bruno e a lei nemmeno quella notte. Ripresero a giocare ed a ridere in modo complice di una sfida che non stava nel chi con la propria macchina arriva primo al traguardo, ma nel chi farà il primo passo. Dopo una mezzora fu Daniele a farlo tirandola a lui e baciandola; poi le infilò le dita nei capelli e la guidò fino a lui. Angela si lasciò portare. Per lei quello era godere del godimento altrui. Un godimento nel quale quello di Daniele veniva prima del suo. Quel godimento che vuoi guardarlo esplodere a fiotti violenti, per poi assaporarlo. E lo assaporò. Anche il sapore era diverso. Ognuno ha il suo. Dal divano si spostarono in camera di Daniele e per Angela fu ancora godere più del godimento di lui che del suo. La prese dietro e la differenza la sentì tutta.

5
Bruno tornò alla spiaggia, poi si recò al rifugio Azzurro. Raccolse il sacco con le armi, quello con munizioni, li caricò sul pickup e si recò al rifugio Blu. Fece lo stesso e si recò al rifugio Celeste. Era il terzo rifugio. Quello che conosceva solo lui. Scaricò il tutto. Aprì il frigo. Fece un sorso di vodka. E tornò al Campo Base. Erano trascorse due ore. Il divano era vuoto. La playstation accesa. Andò verso la sua camera. Passò davanti alla camera di Daniele, sentì che scopavano. Tornò indietro. Risalì sul pickup ed andò al rifugio Celeste.
Aveva bisogno di riflettere. Daniele e tutte le cose che non quadravano erano un problema. Non ne aveva parlato con Angela proprio per evitare che potesse, anche inavvertitamente, allarmare Daniele. Lui, invece, aveva motivo di allarmarsi perché quando aveva invertito la marcia Daniele era sbiancato. Troppe cose non quadravano.
La prima, quando in spiaggia erano andati incontro a Daniele mentre lui risaliva dal mare, Bruno aveva notato delle tracce di passi sulla sabbia. Sul lato opposto alla duna. Erano le tracce di tre persone che camminavano affiancate. Era tornato in spiaggia proprio per controllarle e le impronte di uno erano identiche a quelle di Daniele, le altre non erano di Angela ed entrambe erano maschili.
La seconda: Daniele andava in giro solo col suo zaino, ma perché non aveva un luogo dove dormire? Certo, poteva dormire e mangiare ovunque, ma era strano.
La terza: Bruno guidava sempre tenendo d’occhio allo specchietto e guardando in giro. Quando dalla spiaggia erano risaliti in macchina aveva lo sguardo rivolto alla strada e, molto in fondo, aveva notato un bagliore. Mentre guidava si chiedeva cosa potesse essere stato e ipotizzò che fosse stata la portiera di una macchina che, aprendosi, aveva fatto da specchio. Pensò che se fosse stata una macchina che li seguiva, invertendo la marcia gli sarebbero andati incontro. Doveva provare. Accertarsene. Tornando indietro incrociò solo due auto ferme sul bordo strada e, mentalmente, prese i riferimenti di entrambe. Quando tornarono indietro ce n’era solo una. La nera era al suo posto e la rossa non c’era più. Inoltre, una volta superato il punto dov’era la rossa, Daniele aveva anche smesso di guardare fuori dal finestrino.
La quarta: Daniele non era da solo, ma si era manifestato da solo e da solo è voluto rimanere ovvero non ha parlato di altri. Perché?
Ecco, le quattro cose che allarmavano Bruno. Ora aveva bisogno di concentrarsi per affrontare il problema senza fare errori e mosse sbagliate. C’era però una quinta cosa. Non poteva contare su Angela che si era dimostrata leggera ed inaffidabile.

Entrò al rifugio. Aprì il frigo, si versò un dito di vodka, accese una sigaretta e si sedette in poltrona. Il pensiero andò a lei e Daniele che scopavano. Bevve per scacciare quel pensiero. Si alzò e uscì sul balcone. Cercò di pensare ad un piano; da quando si erano incontrati, quella era la prima notte che, scopando o non scopando, non avrebbero trascorso assieme; andò al frigo e si versò un altro dito di vodka; il piano era l’ultimo dei suoi pensieri. Aveva di nuovo quella sensazione strana, quel tormento sottile. Ripensò alla velocità con la quale Angela si era concessa a Daniele; andò al balcone e scagliò il bicchiere lontano. Accese un’altra sigaretta e si sedette di nuovo in poltrona, appoggiò la testa alla spalliera e chiuse gli occhi. La mente andò ancora ai sentimenti e, ripensandoci, risistemò il loro ordine cronologico. Il dolore è venuto prima della paura oppure assieme. Questione di attimi. Difficile dirlo.

“Signora spinga… deve farlo… adesso”… lui non capiva quelle parole, ma qualcosa stava accadendo e c’era lui di mezzo. Pensò a quanto siamo legati alla nostra casa. All’emozione che proviamo nel rientrarci a distanza di anni. Quel “signora spinga… deve farlo… adesso”, era il suo primo sfratto. Lo stavano cacciando di casa. Paura e dolore. E lei spingeva e più spingeva e lui più si teneva al cordone ombelicale. Gli duolevano le mani ed il cordone, cazzo!, era pure scivoloso. “brava spinga… un altro sforzo… ci siamo…” e lui capì che era finita e sperò che lo fosse anche quel travaglio, il suo! Era sfinito. Mollò il cordone e venne fuori per gravità, urlando e piangendo. Come tutti. E urlò e pianse ancora al taglio del cordone. Ecchecazzo, pure quello?! Altro che amore. Paura e dolore. L’amore un cazzo! L’universo è pervaso d’amore. L’amore è in ogni cosa. Ma andate a cag… zzzz… zzz.

Si svegliò due ore dopo, erano le quattro. Andò in bagno, s’infilò sotto la doccia poi si asciugò. Lavò i denti. Si rivestì. Prese il suo zainetto. Uscì. Prese il pickup e tornò al Campo Base. Entrò ed andò in camera sua. Tolse la pistola dallo zainetto e la infilò nella fessura tra materasso e spalliera. Si tolse le scarpe e si distese sul letto. Fu la mano di Angela a svegliarlo. Seduta sulla sponda del letto, gli accarezzava i capelli. Lui si girò dall’altra parte e scese dal letto.
“Che ore sono?” chiese.
“Sono le sei meno dieci. Scusami, non volevo svegliarti”, disse Angela restando seduta sulla sponda, cercando il suo sguardo.
Bruno prese una sigaretta ed andò alla finestra. L’alba era livida.
“Ti prego, parlami”, disse Angela.
“Buongiorno”, rispose lui, continuando a guardare fuori.
Angela aspettò ancora, poi si alzò dal letto ed uscì dalla camera. Fece la doccia. Si asciugò. Indossò una camicia, le mutandine, i fantasmini, un jeans e le reebok. Asciugò i capelli. Poi andò in cucina e, dopo un po’, tornò da Bruno.
“Ho preparato la colazione, vieni?”
“No, dopo prendo il caffè, grazie.”
Lei tornò in cucina, lui un po’ dopo. Si versò il caffè e tornò in camera lasciandola fare colazione da sola. Dopo la notte, anche quella fu una prima volta. Intanto Daniele si era svegliato. Andò in bagno e poi in cucina. Bruno tornò in cucina e si versò un altro caffè.
“Ciao Bruno, oggi che si fa?”, chiese Daniele.
“Stamattina torno alla stazione di benzina. Voglio prendere qualcos’altro di utile, vieni con me?”, gli chiese Bruno.
“No, stamattina voglio andarmene un po’ in giro”, disse Daniele.
“Io sarò di ritorno nel pomeriggio”, disse Bruno.
Angela non disse una parola. Si sentiva sempre più esclusa da Bruno.
“Faccio una doccia”, disse Daniele alzandosi.
Bruno restò in cucina con l’orecchio teso al rumore della doccia. Angela lo guardava senza parlare.
Quando Bruno sentì il rumore dell’acqua, andò in camera di Daniele. Tirò fuori dalla tasca un taglierino, fece una fessura invisibile nel suo zaino e vi infilò qualcosa. Fece lo stesso in una delle sue scarpe. Uscì, andò in camera sua, prese la pistola, la mise nello zainetto ed uscì dalla camera mentre Daniele usciva dal bagno.
“A più tardi”, salutò Bruno.
“Ciao”, rispose Daniele.

6
Bruno uscì, montò sul pickup e partì. Entrò in un palazzo. Scese dal pickup salì un piano a piedi. Prese l’ascensore e salì all’ultimo piano. Entrò in un appartamento ed andò al balcone. Aprì un mobiletto e prese il binocolo. Di là poteva osservare il Campo Base e tutta la zona circostante. Aveva una panoramica collaudata e completa. Il balcone era completamente protetto alla visibilità dall’esterno grazie ad un traliccio e una fitta rete di edera finta. Quella normalmente usata per adornare di sempreverde con qualcosa che è solo sempreplastica, ma funzionava. Accese una sigaretta, dal mobiletto tirò fuori un ricevitore satellitare, lo poggiò sul mobiletto, vi inserì le cuffie, il registratore digitale e si sedette continuando a tenere d’occhio il Campo Base.
“Scrrrr…. scrrrr…. scrrr”
In cuffia avvertì i primi segnali di ricezione. Sintonizzò meglio il ricevitore e vide Daniele col suo zaino in spalla uscire. Lo seguì col binocolo. Attraversò la strada e girò a destra. Aveva un passo veloce. Camminò per un centinaio di metri e s’infilò nel Centro Massaggi.
“Ehi, sei arrivato!”, disse Andrea.
“Renato dov’è?”, disse Daniele.
“Arriverà alle 11. Allora, che si fa?”, chiese Andrea.
“Lei è sola in casa fino al pomeriggio e non dobbiamo allarmarla. Tu e Renato beccate lui quando torna. E’ andato alla stazione di servizio. Quella di ieri. Deve essere un lavoro pulito. E’ un fesso, non sospetta nulla. Lo fate fuori e lo riportate col suo pickup in un garage qualunque. Ad operazione completata mettete uno straccio bianco al cancello del Campo Base, così capisco che è andato tutto bene. In ogni caso, tornate qua e restateci. Io se c’è lo straccio, m’invento una scusa e passo qua, poi torno al Campo Base. Se non c’è lo straccio, vengo lo stesso e mi spiegate. Non fate nodi allo straccio. Se fila tutto liscio, io e lei domani ci metteremo in movimento alla ricerca di lui. Voi due vi farete trovare alla stazione di servizio alle 11 del mattino. Uno fa carburante e l’altro che cerca cose fra il negozio ed il bar. Ci presentiamo, ci conosciamo. Così vi unirete a noi. Quando parlo io ascoltate e non dite mai di no. Il gioco lo conduco io. Non facciamo sbagli. La donna è il bene più prezioso per noi perché, almeno per ora, è l’unica donna sul pianeta”, disse Daniele.
“Finalmente si chiava! Non vedo l’ora, facciamo tutto quello che dici”, disse Andrea.
“Ecco bravo, e ti posso garantire che con lei ce n’è per tutti e tre. Io ora ritorno al Campo Base. Oggi pomeriggio controllerò se c’è lo straccio al cancello. Tutto chiaro?”, rispose Daniele.
“Sì, tutto chiaro”, disse Andrea.
“Vado”, disse Daniele.
Bruno controllò col binocolo. Daniele uscì dal Centro Massaggi e si avviò verso il Campo Base. Lui lo seguì col binocolo fino a quando rientrò in casa.

Guardò l’ora, erano le 9:20. Posò il ricevitore, la cuffia ed il binocolo. Entrò in casa. Aprì un cassetto, prese un’altra pistola, gli avvitò il silenziatore. Controllò il caricatore. La infilò nello zainetto assieme ad un secondo caricatore ed uscì. Scese. Prese un’altra macchina lasciando là il pickup. Fece un’altra strada. Parcheggiò in una traversa prima del Centro Massaggi. Tirò fuori la pistola, la impugnò e scese dalla macchina. Fece 250 metri a piedi ed entrò nel Centro Massaggi con passo rapido.
“Renato?”, disse Andrea dalla stanza a sinistra della reception.
Bruno fece due passi verso la porta che intanto si aprì e comparve Andrea. Gli sparò due colpi rapidi. Entrambi al petto. Scavalcò il corpo crollato al pavimento e lo trascinò all’interno della stanza. Lo finì con un colpo in bocca ed uno alla fronte. Guardò l’ora. Le 9:50, andò in una delle salette massaggi. Aprì un cassetto e prese due teli bagno. Ritornò nella stanza. Sovrappose i due teli ed avvolse il cadavere dalla testa alla cintura. Trascinò il corpo fino a lasciarlo vicino alla parete. Tornò nella saletta massaggi e prese altri due teli. Tornò nella stanza e mise i due teli sotto la schiena del cadavere per assorbire il sangue che fuorusciva. Ripulì il pavimento nella reception, si lavò le mani. Le asciugò. Tornò nella reception, prese una sedia e si sedette con le spalle alla parete che fiancheggiava la porta a vetri. Controllò la pistola ed attese vincendo la voglia di fumare. Di lì a poco, il rumore di un motore lo riportò a dov’era. Si alzò e rimase con le spalle alla parete. Il rumore dei passi di Renato era attutito dalle scarpe sportive.
“Andrea, sono Renato”, disse aprendo la porta ed entrando. Neanche si voltò verso la parete. Andò diretto all’altra porta. Bruno gli fischiò dandogli il tempo di girarsi e gli sparò il primo colpo sempre al petto. Stramazzò a terra. Si avvicinò e gli sparò un colpo alle palle ed uno in fronte. Trascinò anche il suo corpo nell’altra stanza. Fece come con Andrea. Prese qualche altro telo bagno ed avvolse ancora i due cadaveri per assorbire sangue. Prese qualche rotolo di adesivo e lo avvolse attorno ai teli per tenerli fermi. Uscì, andò alla macchina e la portò davanti all’ingresso del Centro Massaggi. Abbassò i sedili posteriori, aprì il cofano. Prese altri due teli bagno li sovrappose, ci appoggiò metà cadavere e per i piedi lo trascinò, lo sollevò e lo depositò in macchina. Rientrò, fece lo stesso con l’altro corpo. Chiuse il cofano. Ritornò dentro. Pulì il pavimento, si lavò accuratamente le mani. Uscì e riprese la macchina. Andò al Centro Commerciale. Fece la rampa e lasciò la macchina con i due cadaveri nel parcheggio coperto. Prese un’altra delle varie macchine che usava per tenere sempre le batterie cariche. Tornò al palazzo dove aveva lasciato il pickup. Salì sopra. Andò al balcone e prese il registratore digitale. Guardò l’ora. Erano le 13:10. Andò in bagno, prese una tovaglietta bianca, tagliò i bordi cuciti facendone uno straccio. Qui aveva finito, chiuse tutto e tornò giù. Prese il pickup e tornò verso il Centro Massaggi. Parcheggiò in una traversa. Camminò a piedi facendo il giro intorno all’isolato. Vide la macchina rossa parcheggiata. Non si era sbagliato. Andò verso la macchina tenendo la pistola dietro. Aprì la porta. Prese le chiavi ed aprì il cofano. C’erano due fucili e tre pistole. Salì in macchina e la spostò in un’altra traversa. Aprì il finestrino. Fumò una sigaretta. Aveva la mente vuota ed era stanco. Doveva però completare il tris prima di riprendersi la propria vita ed evitò di pensare se con Angela sarebbe stata la stessa. Chiuse la macchina e si recò a piedi al Campo Base guardandosi attorno con circospezione. Arrivato al cancello appoggiò lo straccio bianco su uno dei ferri e tornò al Centro Massaggi. Entrò e si sedette nello stesso posto in cui aveva atteso Renato. Infilò la mano nello zainetto e tirò fuori la pistola.

Al Campo Base, Angela era in cucina, Daniele giocava con la playstation. Si alzò e la raggiunse in cucina.
“Che fai?”, le chiese.
“Preparo qualcosa da mangiare. Bruno aveva detto che tornava nel pomeriggio. Tu vuoi mangiare?”
“No mangiamo quando torna Bruno. Do un’occhiata fuori”, disse Daniele.
“Ok, fai.”
Daniele uscì, svoltò l’angolo e vide lo straccio bianco sul cancello. Si avvicinò, lo prese, sorrise e lo lasciò cadere fuori dal cancello. Rientrò in casa ed andò in cucina. Si sedette al tavolo.
“Senti Angela, volevo dirti che io domattina vado via.”
“Perché?”, chiese Angela sedendosi di fronte a lui.
“Perché ho capito che io qua non sono accettato da Bruno e lo capisco. Sono piombato nella vostra vita e gli sto togliendo qualcosa che gli appartiene.”
“Io non sono proprietà di nessuno, tranne che di me stessa”, disse Angela.
“Sì certo, ma è indubbio che questa situazione crea disagio a tutti”, disse Daniele.
“E quindi?”, chiese Angela.
“E quindi io domani mattina vado via. Lascio a te decidere se vuoi restare con lui o venire via con me… no, non rispondere adesso. Anzi, io adesso esco. Faccio quattro passi qui intorno. Non ti metto fretta. Pensaci e sappi che quello che deciderai va bene. Se decidi di restare con lui, ok. Se decidi di venire via con me hai anche modo di parlarne con lui”, si alzò ed uscì.
Angela restò seduta. Mise il gomito sul tavolo ed appoggiò la testa alla mano. Daniele con passo spedito andò verso il Centro Massaggi. Bruno sentì il passo, si alzò e restò spalle alla parete. Daniele aprì la porta dicendo:
“Andrea, Renato”, ed entrò. Fece in tempo solo a girarsi al fischio di Bruno che gli sparò alle gambe. Due colpi.
Daniele crollò sul pavimento.
“Che cazzo hai fatto?”
“Ti ho sparato”, rispose Bruno prendendo la sedia ed avvicinandola. Daniele era a terra sanguinante. Cercava di trascinarsi e Bruno si sedette davanti a lui con totale indifferenza.
“Stai facendo un grosso errore… non sono solo, siamo in tre e gli altri due sono con Angela… se non torno fanno a pezzi prima lei e poi te… mi hai sentito?”, urlò Daniele guardando Bruno che non lo guardava più. Cercava qualcosa nello zainetto. Tirò fuori il registratore. Lo accese e gli fece ascoltare la registrazione. Daniele capì che era fottuto.
“Dove sono Andrea e Renato?”
“Stanno aspettando che li raggiungi”, disse Bruno.
Gli puntò la pistola e gli sparò un terzo colpo nelle palle. Daniele urlava. Bruno si alzò, il quarto colpo glielo sparò al cuore ed il quinto in fronte. Rimise la pistola ed il registratore nello zainetto. Uscì ed abbassò la saracinesca del Centro Massaggi. Riprese il pickup, andò alla macchina rossa, l’aprì, prese i due fucili e le pistole mettendole nel pickup e tornò al Campo Base. Lo straccio bianco era a terra. Aprì il cancello e portò il pickup in garage.

7
Entrò in casa. Angela era in camera sua con l’accappatoio addosso ed armeggiava col trolley aperto sul letto. In cucina c’era il tavolo apparecchiato. Lui andò in camera sua, si spogliò ed andò in bagno per farsi una doccia.
Quando uscì andò in cucina, prese un bicchiere e si versò della vodka dal frigo. Tornò in camera mentre Angela entrava in bagno. Lui s’infilò i boxer ed una maglietta, aprì la finestra, accese una sigaretta e si distese sul letto. Fece un altro sorso di vodka. Un’altra boccata di fumo. Spense la sigaretta nel bicchiere e chiuse gli occhi. Angela aveva evitato di parlargli. Si era rotto qualcosa in Bruno e lei aveva provato a ricucire, ma Bruno continuava ad evitarla. Decise di riprovarci. Entrò, prese una sedia e si sedette accanto al letto. Aveva l’accappatoio e la piastra per i capelli in mano.
“Non hai mangiato nulla. Non hai fame?”, gli chiese.
“Sei in partenza?”, chiese lui. Lei rimase un attimo in silenzio.
“Ho capito. Hai incontrato Daniele. Te l’ha detto”, disse lei.
“Sei in partenza?”, ripeté Bruno.
“Tu cosa faresti?”, gli chiese Angela dopo attimi di silenzio.
“Quello che ho sempre fatto. Rimetterei il trolley a posto oppure finirei di riempirlo. Non lascio le cose a metà, io”, e si girò dall’altro lato come per dormire.
“Ho capito”, disse Angela. Si alzò ed uscì.
Bruno non si sorprese, anzi fu felice delle lacrime che cominciavano a sgorgargli scaricando nel cuscino due giorni di una tensione che non aveva mai vissuto prima. Una guerra che non aveva voluto. La concentrazione nel fare tutto così come l’aveva programmato unita all’attenzione a non sbagliare nulla nell’affrontare un nemico che non conosceva e farlo vivendo contemporaneamente uno stato di disagio che non riusciva a decifrare. Fra l’altro, nel momento in cui più avrebbe avuto necessità di non esser solo, si ritrovò ad esserlo. Il pugno alla schiena che però senti nello stomaco. Il cambiamento. La tensione che si scaricava e gli occhi cominciavano a chiudersi quando sentì la risata di Angela che entrò in camera agitando in mano la sua piastra dei capelli ed esclamando:
“Idiota!”
Lui si era girato di scatto e si era sollevato sulle braccia. Lei guardando i suoi occhi e le guance si bloccò e poi si tuffò quasi sulla sponda del letto dandogli involontariamente una ginocchiata nello stomaco e nemmeno se ne accorse. Gli prese la testa per abbracciarlo e lo colpì sulla fronte con la piastra e nemmeno se ne accorse.
“Bruno, che succede?”, gli disse stringendolo così forte al seno che lui a stento respirava.
“Che succede, Bruno, ti prego parlami”, disse.
Bruno respirava a fatica ed aveva le labbra bloccate nel seno di Angela. Stava per svenire. Per fortuna lei allentò la presa. Lui respirò come uscendo da un’apnea. Angela gli appoggiò la mano aperta sulla guancia e nell’altra aveva la piastra ben stretta nel pugno. Nella piastra ben stretta non si era accorta che c’erano i capelli di Bruno. Gli accarezzava la guancia anche col pugno col quale stringeva la piastra che a sua volta gli stringeva i capelli tirandoglieli. Bruno non poteva muovere le mani perché con quelle si teneva sollevato sul letto. Una giornata così non l’avrebbe più dimenticata, sempreché ne fosse uscito vivo.
“Angela”, sibilò con un filo di voce.
Lei si fermò.
“La piastra… i capelli…”, le disse.
“Ohhh, scusami”, disse e l’aprì, la poggiò sul letto e gli accarezzò i capelli. Bruno respirò, finalmente.
“Adesso spiegami dalla risata in poi, perché non ho capito nulla”, le disse.
“Dunque, sono uscita e tornata in bagno per finire di dare la piastra ai capelli. Ripensavo al tuo evitarmi. Avevo capito che volevi che andassi via. Ripensavo alle tue parole sul trolley ed uscendo dal bagno ho capito che il problema era stato quello. Mi avevi vista con le mani nel trolley e avevi pensato che lo stavo preparando per andarmene con Daniele. Invece l’avevo aperto per cercare la piastra per i capelli. Così sono entrata qui per dirti che il trolley era aperto sul letto per la piastra… ma tu davvero hai pensato che potessi andarmene?”

8
Il primo segnale di risveglio fu intorno alle 18, Bruno aveva gli occhi chiusi ed alcune lacrime gli scesero sul viso. Fu Marina, l’infermiera che gli stava cambiando il lavaggio, a notare quelle lacrime ed a chiamare il medico:
“Dottoressa, dottoressa corra”, gridò fuori dalla stanza.
Angela accorse uscendo dalla sua stanza.
“Che succede, Marina?”
“Guardi, sta piangendo”, disse Marina alla dottoressa.
“Oh mio dio!”, esclamò Angela guardando quelle lacrime e guardò immediatamente sul monitor il tracciato che evidenziava segnali di attività cerebrale.
“Cazzo, la flebo!”, esclamò Marina. Nella foga non aveva aperto il flusso. Lo aprì, controllò la frequenza delle gocce.
L’elettroencefalogramma, intanto, continuava a dare segnali di attività. Discontinua, ma c’era e sempre in ripresa.
“Che si fa, adesso?”, chiese Marina.
“Nulla, si presidia. Possiamo solo aspettare. Voglio solo i valori del sangue. Facciamogli un prelievo immediatamente. Voglio anche gli enzimi e facciamogli subito anche un tracciato. Voglio sapere come sta reagendo il cuore. Prendi il cardiolino… anzi no, tu fagli i prelievi e portali subito in laboratorio. Andò alla porta e senza uscire chiamò: “Nicola, porta subito il cardiolino”.
Si avvicinò di nuovo a Bruno che proprio in quel momento ebbe un leggero sobbalzo.
“Ha visto? Cos’è stato?”, disse Marina.
“Non so, una reazione nervosa o muscolare. Difficile dirlo. Dai, fagli il prelievo”, disse Angela.
Bruno ebbe un’altra reazione violenta. Stavolta sollevò il braccio portandosi la mano ai capelli.
“Dottoressa, ha visto? Come se stesse sognando”, disse Marina.
“Altro che sogno, sembra un incubo. Gli tengo il braccio, facciamogli stò prelievo, dai”, disse Angela.
Marina riempì due fiale di sangue.
Bruno aprì la bocca. Come per prendere aria.
“Non respiraaaaa”, esclamò Angela, prese la mascherina, gliela premette sul viso ed aprì l’ossigeno. Bruno si stabilizzò e riprese a respirare.
“Si svegliano tutti così, dottoressa?”, chiese Marina.
“No. Non è che ne abbia visti molti di risvegli. Così però, nessuno. Vai muoviti, in laboratorio”, disse a Marina. Intanto Nicola era entrato col cardiolino. Abbassò il lenzuolo, scoprì il petto a Bruno, lo disinfettò e gli mise i sensori. Fece lo stesso ai polsi ed alle caviglie.
Fece partire l’elettrocardiogramma.
Staccò il tracciato, lo guardò.
“Bene, smonta tutto e chiedi al cardiologo un parere sul tracciato”.
Nicola tolse i sensori a Bruno, lo ricoprì ed uscì portandosi via il cardiolino.
Angela si avvicinò al letto di Bruno, gli prese la mano e la tenne guardando il tracciato che, con pause sempre più brevi, diventava sempre più regolare. Avvertì perfino una impercettibile stretta dalla mano di Bruno. Anche lei la strinse appena appena di più.

9
La mattina dopo Angela alle 8 era già in ospedale. Chiese al medico di notte come procedeva Bruno.
“Continua a migliorare. La notte l’ha trascorsa senza problemi. Il cuore è in perfette condizioni. I valori idem. La respirazione è completamente autonoma. Niente ossigeno tutta la notte. Io vado a casa. Ti lascio la cartella sulla scrivania, c’è tutto. Ciao.”
“Ciao, grazie.”
Angela si avvicinò al letto di Bruno. Dormiva serenamente. Guardò il tracciato al monitor. Le sembrava incredibile il progresso. Arrivò l’infermiere:
“Dottoressa, dovremmo lavarlo e cambiargli le lenzuola.”
“No, controlli solo se sta sporco.”
L’infermiere controllò ed era pulito.
“Bene, lasciamolo riposare per altre due ore. Tornate dopo.”
“Va bene.”
“Marina c’è stamattina?”
“No, c’è Rossana. Ve la mando?”
“Sì, grazie.”
Dopo un po’ arrivò Rossana: “Buongiorno dottoressa.”
“Buongiorno Rossana, senti io vado in stanza. Alle 10 inizio il giro delle visite. Voglio che lui sia controllato a vista. Qualunque anomalia mi deve essere segnalata all’istante, anche durante il giro. Se ti devi spostare anche per andare solo in bagno, devi farti sostituire. Chiaro?”, disse Angela.
“Va bene dottoressa.”
Era il pregio di Angela e, oltre a stimarla, le volevano un gran bene. Non era solo bene e stima, per i suoi burrascosi trascorsi e per come li aveva affrontati e superati, si era guadagnata un rispetto enorme.

Due anni prima era assistente del primario di una clinica privata che la assillava con tutte le avance possibili. Era diventato quasi un incubo. I suoi rifiuti anziché farlo desistere erano diventati una sfida. La cosa durò per qualche mese, poi ebbe l’opportunità di lavorare in un ospedale pubblico ed accettò. Il primario della clinica non la prese bene ed una notte, con la complicità di un infermiere, la violentarono entrambi.
Il processo si concluse con l’assoluzione dei due che avevano messo in piedi un piano perfetto. Un terzo infermiere fornì la sua testimonianza decisiva. A loro dire, un infermiere aveva avuto con lei un rapporto consenziente. A dire del secondo infermiere, il primario pur essendo presente in clinica non era mai entrato in quella stanza e lui stesso non si era mai allontanato dal corridoio perché, quella notte, era di presidio e in quella stanza erano entrati prima la dottoressa, dopo qualche minuto, l’infermiere. Dopo circa mezzora era uscito l’infermiere e dopo dieci minuti era uscita la dottoressa. Lui, inoltre non aveva sentito nessun rumore, urla o qualcosa che potesse allertarlo.
Nella stanza in cui si consumò la violenza, ironia della sorte, c’era anche un testimone: Bruno. Era stato ricoverato, in commozione cerebrale, la sera prima dello stupro. Angela gli aveva prestato la prima assistenza in terapia intensiva. La mattina dopo lo stupro, Bruno fu trasferito in ospedale dove gli fu rimosso l’ematoma ma rimase in coma.
Ironia della sorte, venti giorni dopo, si ritrovò ad essere seguito in ospedale di nuovo da Angela.

10
Intorno alle 11 e 30, finito il giro delle visite, Angela tornò nella stanza di Bruno.
“Allora Rossana, come va?”
“Nessun problema dottoressa, sembra sereno. Gli abbiamo rifatto un prelievo. Sono venuti per lavarlo, ma non l’hanno fatto perché vogliono essere autorizzati da lei.”
“Ah, sì. Digli di venire.”
“Sì… ah dottoressa, non so se è importante ma ha mosso le dita più di una volta.”
“Mosse come?”
“La mano aperta e poi come cercare di chiuderla… ma non la chiudeva tutta.”
“Solo la destra?”
“No quando lo faceva, con entrambe.”
“Mmmmm, è positivo… ma aspettiamo”, disse Angela.
“Chiamo per lavarlo allora”, ed uscì.
“Sì”, disse Angela prendendo il cellulare che le squillava.
“Pronto?”
“Buongiorno Angela sono l’avvocato Foschi”
“Sì avvocato, buongiorno, mi dica”
“Angela, hanno ammazzato il dottor Patti”
Angela si sentì mancare. Si lasciò cadere sulla sedia.
“Angela… Angela… mi sente?”
“Sì”, disse con un filo di voce.
“Ascolti, è importante che la veda. E’ in ospedale adesso?”
“Sì”
“Dieci minuti e la raggiungo. Va bene?”
“Sì… ok… certo”, disse Angela.
“Dottoressa… dottoressa scusi… possiamo?”
Angela si girò verso la porta, c’erano i due infermieri che dovevano lavare Bruno. Lei era sgomenta, ma doveva riprendere il controllo.
“Aspettate solo un attimo”, ed andò nella sua stanza. Aprì la bottiglietta dell’acqua e bevve un po’. Tornò di là.
Ragazzi lavatelo con la massima cautela. Senza nemmeno sfiorargli il collo e la testa. Solo intimo, gambe, piedi. Senza piegargliele.”
“Tranquilla non glielo rompiamo.”
“Ecco, bravi”, e sorrise.
Durante tutta l’operazione di lavaggio, Angela non tolse gli occhi dal monitor. Il tracciato era sempre più regolare.
Arrivò Rossana: “Dottoressa c’è una persona per lei.”
“Sì fallo accomodare nella mia stanza, lo raggiungo. E torna qua”, poi rivolta agli infermieri, “quanto manca?”
“Abbiamo finito dottoressa”
“Ok, grazie.”
Uscirono e Rossana entrò: “Mi dica.”
“Vado nella mia stanza per dieci minuti, stai qua. Un occhio al monitor e l’altro a lui. Chiamami se serve.”
Rossana annuì ed Angela andò nella sua stanza.

11
L’avvocato si alzò, le strinse la mano, Angela si sedette.
“Allora Angela, l’ho appreso in tribunale. Un collega mi ha detto che stamattina in un Centro Massaggi hanno trovato il cadavere di Daniele Patti crivellato di proiettili. Per ora non so altro, ti ho chiamata subito perché sicuramente sarai coinvolta… tranquilla… parlo dei media. Anche la giustizia ti romperà un po’ le palle ma, in questo caso, sarebbe assurdo che non lo facessero. Non sono qua come avvocato perché non ne avrai bisogno, ma come amico. So quello che hai vissuto e pretendo due cose da te, e le pretendo: uno, chiamami anche di notte anche solo perché desideri un bicchiere d’acqua; due, non voglio che ti fai coinvolgere emotivamente in questa faccenda. Sei stata una grande nel superare quello che hai vissuto, non crollarmi nel momento migliore. Quello che non ti ha dato la giustizia te lo ha dato una mano benedetta e non sto giustificando un crimine, mi conosci.”
Angela, con gli occhi lucidi, gli prese la mano e la strinse fra le sue:
“Avvocato, la ringrazio…”
“Eh no, mica te la cavi con un grazie. Ti ho detto quello che voglio da te. Due cose e me le devi promettere. Promettimi che mi chiami in qualunque momento ti servisse farlo… dici ‘prometto’…”
Angela sorrise: “Prometto”
“E promettimi che non ti fai coinvolgere emotivamente… dici ‘prometto’…”
Angela sorrise ancora: “Prometto”, e gli strinse ancora più forte la mano.
La porta si aprì di colpo, era il prof. Gravina, il primario del reparto che li sorprese mani nelle mani:
“Ah, bene, vi ho beccati, qui ci si scambia effusioni! Ho sempre sospettato che tu fossi un porco”, disse rivolto all’avvocato Foschi chiudendo la porta alle sue spalle mentre Angela rise.
“Pensavo di conquistare io questa donna, dandole la bella notizia per primo, ma tu, vecchio porco, mi hai fottuto sul tempo”, disse Gravina a Foschi.
“E tu da quale fonte l’hai appresa”, chiese Foschi.
“Dal notiziario tv. Cinque colpi. Due alle gambe, uno al cuore ed uno in fronte”, disse Gravina.
“Allora quattro colpi non cinque”, replicò Foschi.
“Eheh, il quinto è stato un capolavoro. Indovina dove Angela”, disse Gravina.
“No, non dirmelo, non ci credo”, disse Angela.
“E invece sì, il quinto colpo proprio nei gioielli di famiglia, ahahah. Dio, a quest’uomo gli bacerei il culo”, disse Gravina.
“Al morto?”, chiese Foschi facendo scoppiare a ridere Angela.
“Ma vaffanculo, porco”, replicò Gravina.
Bussarono alla porta.
“Avanti”, disse Angela.
“Chiedo scusa, dottoressa può venire?”, disse Rossana.
“Vengo subito”, rispose Angela alzandosi, “avvocato la chiamo e ci prendiamo un caffè con calma. Grazie”.
“Quando hai finito con lui – indicando Foschi – chiama me, vengo con lo champagne”, le disse Gravina.
Angela sorrise e corse di là.
“Che ne pensi”, chiese Gravina a Foschi.
“Questo le raccomandavo, non farsi coinvolgere. E’ ancora fragile”, disse Foschi.
“E’ vero, stalle vicino. Lo farò anch’io cercando di mettere una barriera fra lei ed il mondo quando è qui in ospedale. Facendo attenzione che lei non se ne accorga”, disse Gravina.
“Se lo merita per quanto ha sofferto”, disse Foschi alzandosi.
“Fatti vivo”, gli disse Gravina stringendogli la mano.

Angela arrivò di corsa. Rossana era impalata davanti a Bruno. Si girò ed aveva le lacrime che le sgorgavano. Angela vide gli occhi di Bruno. Aperti. Abbracciò Rossana. Pianse. Strinse forte gli occhi. Li riaprì e fissò il monitor. Il tracciato era normale. Pianse a dirotto. Scaricò tutta la tensione dei tre anni e quella dei minuti precedenti. Rossana la tenne così, abbracciata finché Angela non si riprese, poi strappò due fogli dal rotolone di carta e li diede ad Angela. Ne strappò altri due per lei. Angela si abbassò su Bruno, gli guardò le pupille e gli passò le dita davanti.
“Rossana, per favore vai da Gravina e digli che Bruno ha aperto gli occhi.”
Mentre Rossana andava, lei si sedette al tavolino, guardò l’ora ed annotò il progressivo medico sulla cartella clinica di Bruno. Si girò e lesse i valori sul monitor e li riportò. Si alzò, prese il polso di Bruno e ne controllò il battito. Il prof. Gravina, entrò seguito da Rossana. Si avvicinò al letto, guardò Bruno e sporse le labbra annuendo. Angela gli porse la cartella. Lui diede una scorsa soffermandosi ovviamente sulla progressione dei tracciati e dei valori elettrici indicando con le dita i momenti che evidenziavano la progressione della ripresa neuronale.
Chiuse la cartella, tolse gli occhiali e la diede ad Angela:
“Splendido lavoro, ora tiramelo fuori da quel letto. So che lo farai”, uscì.
Angela disse a Rossana, di restare in camera qualche minuto ed andò nella sua stanza. Lei uscì mentre entrava Marina che doveva dare il cambio a Rossana.
“Ciao Marina, ancora qualche minuto e vado via”, le disse Rossana.
“Ho saputo che hanno assassinato Daniele”, disse Marina.
“Sì, hanno trovato il suo corpo in un Centro Massaggi”, disse Rossana.
“Solo lui?”
La voce appena percettibile di Bruno, le fece girare di scatto.
“Cos’ha detto?”, chiese Marina.
“Non ho capito… chiama Angela”, disse Rossana.
Angela entrò di corsa.
“Cos’ha detto?”
“Non lo so, parlavo con Marina, ma non abbiamo capito”.
Angela prese la sedia e si sedette vicino a Bruno. Rossana chiese con un gesto se poteva andare. Angela annuì guardando sul monitor il tracciato. Si alzò, si avvicinò a Marina e le chiese a bassa voce: “Se non sono indiscreta, di cosa stavate parlando quando avete sentito la sua voce”.
“Stavamo parlando dell’omicidio di Daniele. Dottoressa, vado a cambiarmi, posso?”, chiese Marina.
“Sì vai”, disse Angela sedendosi vicino a Bruno e poggiando la sua mano su quella sua.
“Solo lui?”, ripeté Bruno.
Angela sobbalzò. Non sapeva cosa dire.
“Lui chi?”, chiese con un filo di voce.
Bruno non rispose.

12
La mattina dopo, intorno alle 11, mentre Angela completava il suo giro di visite, il prof. Gravina si affacciò alla porta e le disse:
“Angela, appena puoi sali da me.”
Lei completò l’ultima visita e salì da Gravina.
“Entra”, le disse.
“Dimmi”, chiese Angela a Gravina.
“Te lo dico perché, se non stasera, lo saprai domani. Stamattina, nel parcheggio del Centro Commerciale, in un’auto hanno trovato due cadaveri. I nomi non sono stati fatti ma… non è certo, Angela…”
“Ma?”
“Potrebbero essere Renato ed Andrea…”
“Oh mio Dio… tu cosa ne sai?”
“Me lo ha detto Foschi”
“Perché a te e non a me?
“Ha detto che in questo momento meglio evitare di parlare al telefono con te”
“Io non ho nulla da temere e nulla da cui difendermi.”
“Certo, ma non puoi nemmeno escludere che qualcuno, senza che tu lo sappia, non stia usandoti. Foschi vuole che tu stia tranquilla, ma informata. Cerca di ricordare tutto quello che hai fatto in questi giorni. Scontrini, compagnie, orari, luoghi. Sarai coinvolta. E’ normale.”
“Sì, certo. Altro?”
“No, torna giù”.
Angela uscì. Scese giù in reparto. Si fermò al distributore. Prese un caffè. Passò per la stanza di Bruno.
“Rossana, tutto tranquillo?”
“Sì dottoressa. E’ tranquillo.”
“Ha detto qualcosa?”
“No.”
“Bene, sto in stanza. Se serve chiamami.”

Il giorno dopo giornali e televisione ufficializzarono il ritrovamento dei due corpi nell’auto al Centro Commerciale confermando che erano proprio quelli di Renato ed Andrea. Il cerchio si chiudeva. Sia il medico che i due infermieri coinvolti, tre anni prima, da Angela nella violenza da lei subita, erano stati uccisi.
Qualche giorno dopo, Angela fu convocata presso la Procura per essere ascoltata e, malgrado l’insistenza dell’avv. Foschi, non volle andarci con lui. Le fu detto che l’interrogatorio era rivolto a sommarie informazioni perché era stata coinvolta in passato in un fatto che, casualmente, coinvolgeva i tre morti e lei.
Quell’interrogatorio era un atto dovuto come persona che conosceva tutti e tre gli uomini assassinati. Il tutto durò circa due ore.
Tre settimane dopo la Procura ufficializzò che i riscontri scientifici confermavano che i tre uomini erano stati uccisi tutti con la stessa pistola, molto probabilmente tutti nella stessa giornata e tutti nel Centro Massaggi. I tre omicidi avevano tutti la connotazione di una vera e propria esecuzione. Il primo omicidio, quello di Daniele, il medico, fu realizzato sparandogli due colpi alle gambe, uno nelle palle, uno al cuore ed il quinto in fronte. L’infermiere Renato era stato ucciso con un colpo al petto, uno alle palle ed uno in fronte. L’altro infermiere, Andrea, era stato ucciso con due colpi al petto, uno in bocca ed uno alla nuca.
I giornalisti chiesero se quel triplice omicidio potesse essere messo in relazione con l’accusa di stupro di Angela, tre anni prima. Non a caso le coincidenze erano evidentissime ma anche l’esecuzione ovvero i colpi sparati nei genitali di Daniele e Renato, entrambi accusati di stupro da Angela mentre ad Andrea era stato riservato il colpo alla bocca. I giornalisti ricordarono infatti che Andrea, nella versione che fornì Angela, fu quello che non partecipò allo stupro ma le sue dichiarazioni furono decisive perché Daniele e Renato venissero assolti.
La Procura non rispose alle domande dei giornalisti trincerandosi dietro la riservatezza delle indagini in corso.

13
Quattro giorni dopo, il commissario Lojanni e l’ispettore Franzi si presentarono in ospedale e salirono direttamente dal prof. Gravina che li fece accomodare.
“Professore, siamo qua per il caso dei tre omicidi, il medico ed i due infermieri, ma basteranno pochi minuti”, gli disse Lojanni.
“Cosa posso fare per voi?”
“Abbiamo bisogno di due cose. La prima è la Cartella Clinica del paziente Bruno Campoli. Se può indicare all’ispettore Franzi dove recuperare la cartella e farne fare una copia da portare via.”
“Campoli? Che c’entra Campoli!? E’ in coma da due anni!”
“Sì, lo sappiamo e pensiamo anche noi che sia solo un errore ma siamo obbligati a procedere per sgombrare ogni dubbio. Infatti la seconda cosa che ci necessita è rilevare nuovamente le impronte digitali del Campoli e devo chiederle se possiamo farlo stamattina stessa. Mi creda vorrei darle qualche spiegazione ma non posso farlo. Il segreto istruttorio non me lo consente. In via del tutto confidenziale posso solo dirle che le impronte digitali del Campoli sono già nella banca dati giudiziaria per un vecchissimo fatto. Una lite che finì in tribunale. Nulla di che. Quelle impronte ora, proprio per l’incoerenza rispetto alla situazione clinica del Campoli, necessita riscontrarle. Non posso dirle altro, comprende?”
“Penso di aver capito. E’ assurdo ma siete obbligati a verificare.”
“Infatti.”
“Va bene chiamo la dottoressa e mi faccio portare la cartella di Campoli, così le chiediamo se ci sono controindicazioni per le impronte”, ed allungò la mano al telefono. Il commissario poggiò la sua mano su quella di Gravina, bloccandolo.
“No, professore. Mi deve scusare. E’ la procedura. Andiamo a prendere personalmente la cartella e sarà l’ispettore a fotocopiarla. Così chiederemo personalmente alla dottoressa l’autorizzazione o meno al rilievo delle impronte del Campoli.”
“Ok, se è la procedura, andiamo… ah dimenticavo… c’è anche un’altra cartella clinica…”
“Sì, quella della clinica dove fu ricoverato prima di passare qua. Quella l’abbiamo già sequestrata. Partendo dalle sue impronte digitali, siamo arrivati a casa sua. L’abbiamo perquisita ed abbiamo trovato la pistola. Poi, la clinica e siamo arrivati qua”, disse il commissario.
“La pistola? La pistola degli omicidi?”, chiese Gravina.
Il commissario si portò pollice ed indice alle labbra e fece il segno della zip che gli chiudeva la bocca.
“Andiamo”, disse il professore e scesero giù.

Angela era nella stanza di Bruno.
“Buongiorno Angela, scusa, la sua cartella è qua o nella tua stanza?”
“Buongiorno, no è nella mia stanza”, rispose Angela notando le due persone con le quali era il professore.
“Vieni, prendiamola”, ed uscì assieme ai due. Angela li seguì ed entrarono nella stanza di Angela. Lei, la sfilò dalle cartelle che aveva sulla scrivania e la consegnò a Gravina.
“Angela, ti presento…”
“Siamo il commissario Lojanni e l’ispettore Franzi”, disse il commissario dandole la mano, come fece poi l’ispettore.
“Angela, il commissario avrebbe la necessità di prendere le impronte digitali di Bruno. Pensi che la cosa sia fattibile o potrebbe essere pericolosa per lui?”, le chiese Gravina.
“Tampone inchiostrato e rilevare singolarmente le 10 impronte?”, chiese Angela al commissario.
“Sì, dottoressa. L’ispettore sarà rapido e delicato e, naturalmente, in presenza sia sua che del professore”, rispose Lojanni.
“Va bene”, rispose Angela.
“Devo informarvi che su questa operazione c’è il segreto istruttorio, quindi non potete dare a nessuno l’informazione che abbiamo rilevato le impronte al paziente. Nella stanza non dovrà esserci nessun altro oltre a noi quattro. Potrete procedere voi stessi a lavare le dita del paziente in modo che non si noti la cosa dopo?”, disse Lojanni.
“Con cosa va via l’inchiostro”, chiese Angela.
“Un detergente qualunque. Anche l’alcool va bene”, disse l’ispettore.
“Va bene, possiamo anche procedere”, rispose Angela.
Rientrarono nella stanza e si chiusero dentro. Intorno alle 11, dopo aver fatto firmare a Gravina ed Angela il verbale, il commissario e l’ispettore andarono via. Il professore disse ad Angela di andare su da lui.
Qualche minuto dopo, Angela salì e Gravina le disse di sedersi.
“Angela, tutto quello che ci diciamo in questa stanza resta qui. So che ti stai chiedendo cosa c’entri Bruno, vero?”
“Infatti, non ci sto capendo nulla”, disse Angela.
“Posso dirti solo quello che ho capito dalle poche cose che ha detto il commissario. A Bruno sono arrivati dalle indagini che stanno facendo sui tre delitti. Le impronte che hanno rilevato le hanno confrontate con i loro archivi, e sono risultate compatibili con quelle di Bruno. Le sue le avevano per un fatto, mi pare parlassero di una rissa avvenuta anni fa che era sfociata in un procedimento giudiziario. Tramite quelle impronte sono andati a casa di Bruno e, pare, che abbiano trovato in casa una pistola. Poi sono andati alla clinica dove fu ricoverato dopo l’incidente con la moto e là hanno sequestrato la cartella clinica e, quindi, sono arrivati qua. E’ chiaro che Bruno non c’entri nulla con questi omicidi, quindi stanno ipotizzando ad un errore sulle impronte ecco perché gliele hanno dovute riprendere. Solo una formalità.”
“Certo, è un errore grosso quanto una casa”, disse Angela.
“Indubbiamente. Di sicuro questa faccenda ha l’apparenza evidente di una vendetta riferibile a quella notte, ma quello che m’interessa è che tu la stai vivendo con la massima serenità e distanza. E’ così?”, le chiese Gravina.
“Sì Enrico, ti ringrazio. Certo sono turbata ma, stai tranquillo, non sono minimamente coinvolta o scossa. Dentro di me non sono nemmeno felice di quanto sia accaduto. La morte di quei tre la sto vivendo come se il giudice avesse espresso la sentenza di condanna ma, il danno che mi hanno fatto, nulla potrà più cancellarlo. Ti dirò di più, io credo che la loro morte sia stata invece una soluzione per la loro coscienza. Un bonus immeritato. Va beh, comunque stai tranquillo, sono a posto”, e fece un sorriso a labbra strette.
Si alzò e tornò giù.

14
Tre settimane dopo, s’incontrarono in procura per fare il punto della situazione, il procuratore dott.ssa Milani, il commissario Lojanni, l’ispettore Franzi ed il perito balistico Cicala. Si sedettero tutti al tavolo di riunione. La Milani si rivolse a Lojanni:
“Cominciamo dalle impronte?”
“Sì, dottoressa. Dunque, le impronte ritrovate prima nel Centro Massaggi e poi sull’auto con i due corpi corrispondono esattamente a quelle del Campoli e corrispondono a quelle rilevate al Campoli presso l’ospedale. Quindi, sulle impronte può esserci un solo dubbio ovvero che ci sia qualche altra persona ad avere le stesse identiche impronte del Campoli. La cosa è poco credibile, ma non ci sono alternative”, disse Lojanni.
“Certo, mettiamo in standby la faccenda impronte. Pistola?”, chiese la Milani.
“La pistola che ha ucciso i tre uomini è una sola. Stesso modello e calibro e, caso vuole, è la stessa che abbiamo ritrovato nell’appartamento del Campoli. Qui preferirei che fosse il perito Cicala a darci delle precisazioni”, disse Lojanni.
“Sì. La pistola che ha ucciso i tre uomini è sicuramente una sola. L’analisi balistica ce ne da la certezza assoluta. Per essere più precisi abbiamo analizzato anche la pistola trovata in casa del Campoli. E’ dello stesso modello e calibro di quella incriminata, ma non è quella che ha sparato. Quella pistola non ha mai sparato. Neanche una sola volta”, disse Cicala.
“In effetti, la pistola che abbiamo sequestrato a casa di Campoli era stata acquistata solo due giorni prima dell’incidente che ebbe in moto ed è molto probabile che non l’avesse ancora usata. Lui ha un regolare porto d’armi ed era iscritto al poligono di tiro dove si recava per sparare. L’ultima volta che era andato al poligono era stato 9 giorni prima dell’incidente e, quindi, non con quella pistola”, aggiunse Lojanni.
“Perfetto, la pistola del Campoli pur essendo la stessa per modello e calibro non può essere quella del triplice omicidio, giusto?”, disse la Milani.
“Proprio così”, rispose Lojanni.
“Le impronte in quella macchina e nel Centro Massaggi sono quelle di Campoli, ma lui non poteva essere in quella macchina e nemmeno nel Centro Massaggi perché era in ospedale e per di più in coma, vero?”
“Sì, anche questo è vero, ed anche su questo abbiamo fatto tutte le verifiche possibili. Abbiamo anche perizie sulla cartella clinica e sulla possibilità che una persona in quelle condizioni potesse essersi mosso dal letto. Dottoressa, il Campoli è fuori da ogni ipotesi”, disse Lojanni.
“Sì Lojanni, lo escludo anch’io. Quello che mi avvilisce è la straordinaria convergenza fra impronte e pistola che punta il dito sul Campoli pur confermandone la sua assoluta e totale estraneità”, disse la Milani.
Ci fu un minuto di silenzio, poi la Milani riprese:
“Lojanni, le chiavi di casa del Campoli dov’erano?”, chiese.
“Dottoressa, quando ebbe l’incidente con la moto, erano nel vano sotto al sedile, in un borsello. Quando arrivarono i carabinieri, a seguito dell’incidente, dopo i rilievi di rito fecero prelevare la moto e la portarono presso un garage in stato di sequestro. Prelevarono il borsello e lo custodirono in caserma presso gli oggetti sequestrati. E’ là che abbiamo ritirato le chiavi dell’appartamento. Oltre ai carabinieri e noi nessuno ha avuto accesso a quel borsello”, disse il commissario.
“Inoltre, anche se qualcuno avesse avuto accesso a quelle chiavi, anche se avesse preso la pistola che era a casa del Campoli, l’avesse usata e poi rimessa al suo posto, rimettendo poi le chiavi nel borsello, presso i Carabinieri, quella pistola non ha mai sparato”, ribadì Cicala.
“Certo, questo mi è chiaro. La domanda che ho fatto è intesa a chiederci se ci fosse sfuggito anche un solo particolare. Io ho la convinzione che tutti voi abbiate lavorato senza trascurare nulla e, prima di considerare archiviata la posizione del Campoli per dedicarci a piste alternative, voglio avere la matematica certezza che sia il Campoli che un suo fratello, amico o chi per lui possa essere totalmente escluso”, disse la Milani.
“Sì dottoressa, anche su questo abbiamo svolto tutti gli accertamenti possibili. Il Campoli non ha parenti prossimi. Ha degli amici che si sono recati prima in clinica e poi in ospedale, ma nessuno di essi è stato autorizzato ad avvicinarlo perché era in terapia intensiva e potevano solo essere informati dai medici sul suo stato. Dopo circa un mese, non essendo migliorate le sue condizioni anche i pochi amici hanno smesso di recarsi in ospedale anche solo per chiedere”, disse Lojanni.
“Bene, questo aggiunge un altro capitolo alla situazione perché la posizione del Campoli possa considerarsi archiviabile. Lojanni, vorrei che tutto quello che ci siamo detti intorno a questo tavolo, sulle indagini e perizie espletate me lo raccogliessi in una relazione conclusiva. Entro venerdì valuta se può esservi sfuggito o sorto qualche dubbio, in caso negativo portami la relazione ed io disporrò l’archiviazione per Campoli. Diciamo che da settimana prossima ci si deve concentrare su piste alternative. Ne parliamo un attimo, visto che siamo qua?”, chiese la Milani.
“Sì dottoressa. Diciamo che al momento la pista più banale sarebbe la dottoressa… la vendetta riferita allo stupro, ma come le ho già detto settimana scorsa, i movimenti, gli alibi e le intercettazioni, ad oggi, la mettono in una botte di ferro. C’è da fare ancora un po’ di verifiche ma abbiamo la chiara percezione che la dottoressa o qualcuno legato a lei, inteso come braccio esecutore, sia da escludere. Anche per lei però, non stiamo escludendo nulla e non escluderemo nulla”, disse Lojanni.
“Bravo, anch’io sono convinta che lei, poveretta, sia al di sopra di ogni sospetto, però è nostro compito esserne certi al di fuori di ogni dubbio. Bene, mi complimento per il lavoro fin qua svolto e continuate con la stessa professionalità, grazie.”
Si alzò. Anche gli altri si alzarono, salutarono ed andarono via.

15
In ospedale, intanto, Bruno migliorava di giorno in giorno ed Angela lo seguiva sempre più da vicino. Muoveva regolarmente le dita, sollevava, anche se non del tutto, le gambe e le braccia. Riusciva a rispondere alle domande rispondendo con le palpebre. Girava il collo. Iniziava a farsi nutrire ed a bere. Non sorrideva ancora e dopo quelle due parole “solo lui”, rimaste impresse nella mente di Angela, non aveva detto più nulla.
Erano le sei del pomeriggio. Angela aveva ancora due ore da trascorrere in ospedale. Si sedette a fianco al letto di Bruno in modo da guardare lui ed anche il tracciato sul monitor. Gli prese la mano. Lui girò appena il capo. Aveva gli occhi aperti e la guardava.
“Come va Bruno? Lo sai che stai facendo progressi giorno per giorno? Devi esserne contento.”
Lui abbassò le palpebre in segno di assenso. Angela guardò il tracciato e mise le dita in modo da sentirgli il polso. Decise di provarci. Nella stanza c’erano solo lui e lei.
“Lo sai che hanno trovato anche gli altri due?”
Il tracciato reagì ed anche il polso di Bruno. Una reazione non violenta ma evidente.
“Andrea e Renato, i due infermieri?”, disse Bruno in modo appena percettibile.
Angela si raggelò, cercò di non farlo trapelare, ma ci sono momenti in cui le cose avvengono e non si può nasconderle. Lei sentì la mano di Bruno muoversi piano fino a prendere la sua e tenergliela. Come un movimento automatico, lei strinse.
Bruno con la lingua si umettò le labbra.
“Vuoi bere?”, gli chiese Angela.
Abbassò le palpebre. Angela si alzò e continuando a guardarlo negli occhi, attese. Bruno aprì le dita lasciandole la mano. Lei versò dell’acqua in un bicchiere. Gli infilò il braccio dietro al collo e lo alzò appena appoggiandogli il bicchiere alle labbra. Lui bevve piano. Piccoli sorsi. Entrò Marina.
“Dottoressa l’aiuto”, e infilò il braccio dietro le spalle di Bruno aiutando Angela a tenerlo appena sollevato.
“Grazie Marina, solleviamogli appena appena la spalliera… bene così Marina… Senti, vado nella mia stanza… resta qua”
“Sì, dottoressa”
Angela andò nella sua stanza. Era stanca. Si sedette e appoggiò la testa alla spalliera. Pensava a Bruno. Non sapeva per quale motivo, quando avevano trovato i corpi di Renato ed Andrea, aveva pensato a quando aveva detto “solo lui”. Se quel “solo lui” si riferiva a Daniele, allora sapeva anche di Renato ed Andrea? E infatti. Angela si chiese cosa c’entrasse Bruno con quei tre e come faceva a sapere? Ritornò mentalmente indietro di due anni. Quando in quella clinica fu violentata prima da Daniele e dopo da Renato. In quella stanza c’era anche Bruno ma non poteva aver visto o sentito. Oppure sì? Forse non era ancora entrato in coma. Forse era solo in commozione cerebrale ma, anche se fosse… anche se avesse sentito o visto, dopo era stato trasferito in ospedale ed era in coma… e comunque da quella notte agli omicidi erano trascorsi due anni e lui era immobilizzato a letto.

Trascorsero altre due settimane. Bruno si era ripreso al punto che poteva salire e scendere da solo dal letto. Un po’ camminava ed un po’ si muoveva sulla sedia a rotelle. Capiva e rispondeva solo con il capo. Solo con Angela pronunciava qualche parola e lei non entrò più nel merito di quel discorso. Anche se la curiosità era fortissima, aveva paura di farlo perché riteneva che la mente di Bruno fosse ancora pericolosamente fragile.
“Bruno, questo è l’elenco di quelli che sono venuti in ospedale dopo il tuo incidente. Sono otto persone. Nessuno ha potuto parlare con te ovviamente. Alcuni sono tornati più di una volta e poi, visto che eri in coma, hanno chiesto di informarli se fosse stato necessario. Ora volevo chiederti se vuoi che informiamo queste persone o solo qualcuna di esse”, gli chiese Angela.
“Grazie, ma ti dirò io se e quando.”
“Va bene, come vuoi. Posso chiederti di cosa ti occupavi prima dell’incidente?”
“Lavoravo nel campo dell’automazione. Programmo sistemi automatizzati tipo robot industriali, macchine a controllo numerico e robe così”
“Wooow, lavoro dipendente?”
“No, sono un freelander. Anzi lo ero. Ormai ho perso tutti i miei clienti. Quando esco di qua, mi toccherà trovare un’anima pia che mi ospiti, altrimenti finirò sotto i ponti”.
In quelle settimane, Angela, era stata informata da Foschi, l’avvocato, che le indagini si erano arenate. Gli inquirenti, dopo Bruno, avevano archiviato anche la sua posizione. Anche per lei non c’era nulla di nulla che potesse ricondurla ai tre omicidi e non c’erano altri indiziati. Nessun testimone. Nessun sospettato. Nulla.

16
Due giorni prima che Foschi informasse Angela che la sua posizione era stata archiviata, il commissario Lojanni si recò dal procuratore. Era pomeriggio inoltrato.
“Ciao Lojanni, vieni, siediti. Dimmi.”
“Dottoressa, credo che dovremmo archiviare anche la posizione della neurologa.”
“Angela?”
“Sì, non c’è nulla su di lei e nulla troveremo.”
“Sì, lo penso anch’io. Per il resto? Brancoliamo nel buio, vero?”
“Se fosse per me archivierei tutto.”
“Eh no, quei tre qualcuno li ha uccisi… e guardami quando parli.”
Lojanni alzò lo sguardo dalla scrivania e la guardò, anche se faceva visibilmente fatica a reggere lo sguardo della Milani.
“Dottoressa, abbiamo scavato nella vita privata di quei tre. Non abbiamo trovato nulla. Sono stati uccisi da una mano sola, nel giro di poche ore. Tutti e tre nello stesso luogo. Chi li ha uccisi aveva un conto in sospeso con tutti e tre, ma non ci sono traffici fra loro tre e non ce ne sono fra ciascuno di essi ed altri. Nulla. E nulla verrà fuori anche se continuiamo a scavare”
“Dobbiamo farlo. Siamo tenuti a farlo.”
“Certo, infatti ho detto ‘se fosse per me’. E’ solo la mia sensazione, ma continueremo ad indagare.”
La Milani prese il telefono:
“Martina, non ci sono per nessuno. Non passarmi nessuna telefonata. Grazie.”
Si alzò ed andò a sedersi di fianco a Lojanni.
“Allora, dimmi cosa pensi.”
“Su questa faccenda?”
“Certo. Che idea ti sei fatto. Chi li ha uccisi quei tre?”
“Dottoressa, se lo sapessi…”
“Naaaa, non fare il vago con me. Ci conosciamo da vent’anni, da quand’ero giovane e bella…”
“Lo è ancora… bella, intendo”
“Perché, sono vecchia adesso?”
“Lo ha detto lei che era giovane.”
“Già… allora che pensi?… anzi no. Questo non è il posto giusto per gli inciuci sulle faccende di lavoro. Hai impegni stasera?”
“No.”
“Ceniamo assieme?”
“Suo marito?”
“E’ in Francia, rientra sabato”
“La sua azienda va bene?”
“A gonfie vele”, guardò l’orologio, “facciamo alle 21 da Carmine?”
“Ok, alle 21 da Carmine. Prenota lei?”
“Sì, se ci sono intoppi ti chiamo. A dopo.”

17
Il locale era piccolo. Solo due sale. Dal soffitto scendeva un lume per ogni tavolo. Un modo soft che rendeva ogni tavolo un’isola discreta. Come le altre volte in cui avevano cenato assieme, non presero le stesse cose. Erano diversi anche in questo.
“Allora, spara. Cosa pensi?”
“Gliel’ho detto. Non troveremo nient’altro anche se proseguiamo le indagini per i prossimi dieci anni. Abbiamo tre cadaveri ed abbiamo anche l’assassino, ma non possiamo arrestarlo. Non abbiamo nulla che possa confermarlo. Credo che abbiamo anche il movente. In vent’anni non mi è mai successa una roba simile.”
“Ma tu guarda, il commissario Lojanni, l’uomo più razionale che abbia mai conosciuto, ora, mi risolve il caso incriminando gli spiriti maligni.”
“Infatti, proprio perché sono estremamente razionale so che andare avanti con le indagini è del tutto irrazionale. Spiriti maligni, no. L’assassino è vivo e vegeto. Sono i delitti, nel loro compimento che esulano dalla realtà e questo, in termini di razionalità, conferma solo una cosa, i nostri limiti. Fra cent’anni o giù di lì, comprenderemo anche questo.”
“Lasciando perdere Bruno… immagino che tu sia convinto che sia stato lui…”
Lojanni annuì.
“Bene, messo da parte lui e, ripeto, conoscendo la tua profonda razionalità, sul lavoro ovviamente, perché sul resto sei l’opposto…” – e sorrise guardandolo dritto negli occhi – “cosa ti fa escludere con certezza che non possa essere stato un altro, anche solo un folle”.
“Una cosa. Tre morti legati fra loro solo ed esclusivamente dal precedente di tre anni prima, la violenza sulla dottoressa. Stiamo scavando su loro tre e, finora, non è uscito nulla che li coniughi assieme in qualche losco traffico che li possa ricollegare a qualcuno che potesse avere un motivo per ucciderli. Al contrario, abbiamo scoperto un fatto che li riporta a quella violenza di due anni prima. Il Centro Massaggi era inizialmente di proprietà della moglie di Andrea, l’infermiere che con la sua testimonianza aveva inchiodato Angela e salvato Daniele e Renato. Sei mesi fa, però, Andrea era diventato socio della moglie nella proprietà del Centro…”
“Mmmm, aveva investito i soldi che gli aveva fruttato quella testimonianza falsa.”
“E’ quello che ho pensato anch’io scoprendo questa cosa, ma ormai a che serve. Sono tutti morti.”
“No, serve ad Angela. Almeno a riabilitarla per essere passata per troia e falsa. Andrea avrà fatto sparire ogni traccia della corruzione, ma indagare su una loro eventuale leggerezza è qualcosa che dobbiamo ad Angela.”
“E’ vero… non ci avevo pensato…”
“Questo è il motivo per il quale io sono procuratore e tu un banale commissario…”
“Vero, anche a questo non ci avevo pensato…”
“A che pro avresti dovuto farlo… per darti del pirla da solo?”
Il cameriere stava passando vicino al loro tavolo.
“Scusi – gli fa il commissario – quando finiamo, il conto lo porti alla signora” e con la forchetta indica la Milani.
“Va bene”, risponde il cameriere e si allontana.
“Vendetta da mentecatto” – rivolto a Lojanni – “quindi le chiavi del Centro le aveva Andrea”
La Milani fa una pausa mentre Lojanni versa il vino. Pensierosa beve un sorso. Si asciuga le labbra.
“Ancora una cosa, vediamo se ti frego… messo da parte chi è l’assassino. Cosa ha portato quei tre ad incontrarsi al Centro Massaggi?”
“Impossibile da dire, ma anche su questo ho la mia idea. Sia Daniele che Andrea, sapevano che c’era un testimone durante quella loro violenza. Sapevano anche che quel testimone era in coma e, quindi, sempreché fosse sopravvissuto non avrebbe mai parlato. Un bel giorno però il testimone si risveglia e ricorda tutto. Chiama Daniele o Andrea e li ricatta. Daniele sa che la cosa è clinicamente verosimile. Ha assoluta necessità di incontrarlo per capire davvero quali ricordi conserva Bruno e quanto possano essere credibili. Il Centro Massaggi, per quell’incontro è il luogo ideale per qualunque soluzione. In caso estremo anche la più criminale e definitiva.”
“Concordo, messo da parte che fisicamente Bruno è fuori da ogni possibile imputazione, anche questa tua ipotesi non fa una piega. Sai una cosa? Se non ci fosse quel letto d’ospedale, il coma, l’impossibilità di muoversi e perfino quella di delegare qualcuno a commettere quei tre delitti, Bruno ci ha tolto il piacere di sbattergli la lampada in faccia e di dirgli “adesso, stronzo, raccontaci tutto. Ti abbiamo in pugno!!!”
“Mi crede? Ho pensato la stessa cosa e non so se odiarlo o volergli bene… anche se so che continuerò a volergli bene finché vivrò. Ma qui parla l’uomo e non il commissario.”
“Dovrei denunciarti per quello che hai detto. Voler bene ad un triplice ed efferato omicida non è da servo dello Stato”, intanto passa di nuovo il cameriere di prima.
La Milani gli si rivolge:
“Scusi, quando avremo finito, il conto lo dia al signore”, e con la forchetta indica Lojanni.
“Va bene, signora”, dice il cameriere e si allontana pensando “stì due verranno alle mani”.
“Questo è un volgare e sporco ricatto”, dice Lojanni senza guardarla.
“Eheh, certo che questa faccenda è completamente assurda… ma basta con gli inciuci di lavoro. Dimmi un po’, hai messo la testa a posto e smesso di fare il gigolò?”
“Mai fatto il gigolò ed è troppo tardi per mettere la testa a posto. Ormai convivo con la mia solitudine. Finirò i miei giorni in una casa di riposo”.
“Spero di no, porteresti lo scompiglio fra le infermiere… eheh… caro mio, solo quello che non si fa, non si sa…”
“Non ho nulla da nascondere…”
“Davvero? Gigolò non lo dico io…”
“Piuttosto come vanno le cose con suo marito?”, chiede Lojanni cercando di spostare il discorso da lui a lei.
“In modo felicemente uguale. Mi chiama ogni giorno. Mi ama, a modo suo, senza attenzioni particolari ed io lo amo. Siamo diversi, tutto qua”.
“Inutile che glielo dica, io ci sono”
“Già… ci sei… ma non come dovresti… alle volte sembra che non hai capito nulla delle donne, ma considerato il successo che hai, forse, pur conoscendoci da vent’anni, è me che non hai capito.”
“Avrò successo con le altre, ma non con lei. Cosa non avrei capito?”
“Te lo spiego facendo un discorso più in generale. Ci sono tantissime donne che, anche se non felici del tutto, hanno raggiunto una loro stabilità complessiva. Una stabilità che può anche accettare alcune disattenzioni quando non sono così enormi da decidere di buttare tutto all’aria e rifarsi una vita. Io amo Giacomo e sono soddisfatta della mia vita, di quello che ho realizzato e di quella che conduco assieme a lui. Le disattenzioni sono nel suo modo di essere. Alle volte, mi fanno pensare e, infatti, ho detto che io lo amo. Avrei potuto dire che noi ci amiamo, ma qualche dubbio, giusto o ingiusto che sia, ogni tanto ce l’ho…”
“Io ci sono”
“Allora proprio non capisci”
“Cosa?”
“Non conosci le donne… non capisci che siamo uguali a voi… se un giorno abbiamo voglia di fare una follia rompendo un menage consolidato e comunque felice, non lo facciamo per buttar all’aria tutto quello che abbiamo, facilmente o faticosamente, messo assieme in certezze e benessere. Anche a un re o a una regina può venir voglia di trasformare una serata in una botta d’orgasmo fuori dal castello ma, passata la sbronza si torna alla propria vita. Può accadere che anche la regina, occasionalmente, possa lasciarsi andare al gioco reciproco della seduzione e del desiderio, rispondendo a parole o gesti, non allo sguardo da pesce lesso, ma a quello arrapato del tizio occasionale. In quell’occasione la regina non sta cercando l’amore, i due cuori e la capanna, ma sta mettendo in gioco la propria voglia sintonizzandola con l’altro per non ridurla, stavolta, alla solitudine di due dita sotto le lenzuola, magari guardandosi un porno, mentre il suo re è andato in guerra. Poi, indubbiamente, può anche esserci la regina il cui menage è diventato un inferno, ma quello è tutt’altro, non una banale scopata fuori dal castello. Lojanni, non in tutto per nostra fortuna, ma in alcune cose, siamo come voi.”
“Quindi innamorarsi è uno sbaglio.”
“Ho detto che l’amore è uno sbaglio forse? Dico che saper gestire il proprio innamoramento, ci rende maturi e ci fa fare quel salto di qualità rendendoci veramente donne o veramente uomini. Quando lo capiremo e, mi spiace dirlo, quando lo capirete soprattutto voi, non sentiremo più parlare, ad esempio, di femminicidi e violenza sulle donne. L’amore, finalmente, sarà depurato da quel concetto di possesso, di proprietà e di giuramento del cazzo di restarsi fedeli finché vita non ci separi.”
“Quindi la fedeltà è una stronzata…”
“Ma non ti riesce proprio di volare un po’ più alto? La fedeltà è una gran cosa, ma essere maturi significa anche mettere a preventivo che l’amore non è detto che sia eterno. Ben venga se lo è, ma se non lo fosse, per motivi d’infedeltà o d’altro, non è ammissibile che diventi motivo di vendetta o di violenza! L’amore è quel sentimento che rende esclusivi non proprietari.”
“Si, ma questo è fare filosofia. Stai solo girando intorno a noi due.”
Quel “noi due” spiazzò completamente la Milani. Come sentirsi tirata in mezzo in qualcosa che nemmeno la sfiorava. La delusione che provò le fece realizzare di aver sbagliato ad invitarlo a cena. In quel momento sentì il disagio che si prova a stare nel posto sbagliato con la persona sbagliata.
“Comunque, sappi che io ci sono”, disse Lojanni e questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. A lei arrivò il latte alle ginocchia. Quando realizzi che hai sprecato fiato non sapendo che parlavi con un sordo o con un tordo. Si arrese. Spostò lo sguardo dal pesce lesso verso il corridoio e fece segno al cameriere. Scorse il menù e gli indicò il dolce. Lojanni, invece, non scorse il menù ma si limitò:
“Lo stesso che ha preso lei”, si alzò, “scusami un attimo”.
Il cameriere portò i due dessert accompagnati da due flute di Prosecco. La Milani, in attesa di Lojanni, sorseggiò il Prosecco, poi incurante di eventuali sguardi altrui, infilò due dita nel bicchiere bagnando i polpastrelli come se fosse acqua santa. Non li asciugò, ma lasciò che si asciugassero da soli. La sua follia, per quella sera, finiva là. Avrebbe riassaporato il Prosecco succhiando le dita prima d’infilarle sotto le lenzuola. Magari guardando un porno.

18
La settimana successiva, era un venerdì, Angela aveva il turno di notte. Intorno all’una prese la sedia, chiuse la porta ed andò a sedersi vicino a Bruno. Era sveglio. Leggeva.
“Non hai sonno?”, gli chiese.
“Non ancora”, rispose Bruno appoggiando il giornale sul ventre.
“Cosa farai quando uscirai di qua… credo che non manchi molto e devi cominciare a pensarci”
“Ci penserò quando uscirò… ho già troppe domande alle quali dare una risposta”.
“Immagino”, disse Angela.
“Sai cosa mi piacerebbe fare?”
“Cosa?”, gli chiese Angela.
“Trascorrere qualche ora a passeggio con te. Anche solo sulla sedia… prima che le nostre strade si separino vorrei raccontarti il pezzo di storia che non conosci”, le disse.
“Domenica pomeriggio. Sono di festa. Vengo apposta e ci facciamo un giro nel parco. Va bene?”
“La considero una promessa?”, le chiese Bruno.
“Solenne”, gli rispose Angela, “adesso dormi” e gli accarezzò la fronte.
Bruno spense la luce sul letto, si girò sul lato e ripensò ad Angela. La sua Angela.

La domenica pomeriggio Angela arrivò alle 17. Bruno era già da un’ora sulla sedia a rotelle. Si fermarono prima al distributore automatico. Bruno prese un’aranciata per sé ed Angela un caffè. Dopo tre anni era la prima passeggiata fuori, anche se solo nel parco interno all’ospedale, nei viali fra aceri e pini.
“Fermiamoci là”, disse Bruno, indicando una panchina in un angolo d’ombra.
Angela fermò la sedia davanti alla panchina dove si sedette. Bruno sorseggiò l’aranciata. Angela il suo caffè ed accese una sigaretta.
“Non sapevo che fumassi. Non fumavi prima”, le disse Bruno.
“Prima quando?”
“Nella storia che non conosci…”
“Racconta”, gli chiese Angela.
Lui sorrise di nuovo ed iniziò a raccontargliela. Dal primo incontro con Angela. Dal tempo vissuto assieme. Dal sesso fatto con lei. Quando era sesso. Dall’incontro con Daniele. Del sesso fra lei e Daniele. Sorseggiò ancora l’aranciata. Lei accese un’altra sigaretta. Le raccontò quindi come aveva ucciso Renato, Andrea e Daniele. Ogni cosa di quella giornata pazzesca. La cura nei dettagli. La spietatezza cinica e senza nessuna emozione.
“E’ successo tutto nella tua mente, allora. Come in un sogno”, disse Angela.
“Quei tre, però, sono morti. Là dove io li ho uccisi e li hanno ritrovati là dove io li ho fatti ritrovare. C’è ancora qualcosa che non hanno ritrovato. Quei corpi non stanno nella mia mente e non sono un sogno”.
“Bruno, la sera in cui fui violentata…”
“Non lo so… non ricordo nulla… tranne che gliel’avrei fatta pagare, ma non so se lo giurai quella notte o quando registrai le loro voci in quello che sembra un sogno. Un sogno nel quale, oltre a me, c’era Angela e loro tre.”
“Perché hai detto Angela e loro tre e non hai detto, voi quattro?”
Bruno non rispose.
“Bruno, perché quei tre sono quelli che quella notte hanno fatto del male a me, e quell’Angela del sogno non sono io?”
Ancora una volta, Bruno non rispose.
“Ricordi che viso avevano quei tre?”
“No.”
“E Angela? Com’era. Mi somigliava?”
“Non lo so com’era. La sua voce sì. Quella era come la tua.”
Angela si alzò e disse: “Passeggiamo?”
“Come vuoi. Spingimi però. Preferisco stare seduto.”
“Sì”, rispose Angela, contenta di evitare i suoi occhi.
“Angela come reagì quando seppe che li avevi ammazzati tutti”
“Non l’ha saputo. L’ultima cosa che mi disse fu: ‘Davvero hai pensato che potessi andarmene?’. Poi mi sono svegliato qua. Lei non sa nulla.”
“Ti manca?”
“L’ho lasciata da sola proprio quando non dovevo. Quando dovevamo dare entrambi un senso a noi stessi. Qualunque fosse stato”, disse con la voce che tremava.
“Bruno, è un sogno…”
Bruno strinse forte le ruote bloccando la sedia. Angela comprese la gaffe.
“Scusami… è tutto così complicato… sono stata stupida… non si può chiamare sogno solo quello che ci conviene…”, disse Angela sentendo la necessità di accarezzargli le spalle, ma non lo fece.
Restarono così, fermi ed in silenzio per un po’.
“Riportami dentro, ho freddo”, disse Bruno.
“Aspetta… solo una cosa… se quei tre sono Daniele, Renato ed Andrea… perché non sono io quell’Angela?”
Bruno restò zitto.
“… intendo dire, in questa storia in cui ci sono due realtà parallele, perché concedi a te e a quei tre di esistere in entrambe le realtà mentre proprio ad Angela non glielo concedi?”
“Non lo so… ho freddo”, rispose Bruno.
“Io lo so”, disse Angela con un filo di voce, riprendendo a spingere la sedia.
“Cosa sai?”, chiese Bruno bloccando di nuovo la sedia.
“Io sono l’Angela di questa realtà e non l’Angela di quella. Solo le nostre voci ed i nostri nomi coincidono. Tu hai ucciso quei tre non per quello che fecero a me, ma per quello che volevano fare a te. Io sono solo una coincidenza.”
Bruno non disse nulla, ma lasciò la presa sulle ruote. Angela riprese a spingere mentre Marina veniva verso di loro.
“Buonasera dottoressa, ciao Bruno!”
“Ciao Marina”, disse Angela, “senti devo scappare, sono in ritardo. Per favore, accompagna Bruno in camera. Grazie. Buona notte”, ed andò via.

Rewindultima modifica: 2020-05-08T00:03:09+02:00da arienpassant

8 pensieri riguardo “Rewind”

  1. Be’, credo che in questa occasione tu ti sia superato, ovviamente in relazione alla produzione a me nota; sei andato sul distopico e non mi meraviglio, la fantasia non ti fa difetto e neppure il rigore scientifico necessario per combinare gli elementi che afferiscono all’uno e all’altro ramo. Mettiamoci pure la componente sentimentale e il gioco è fatto. Complimenti.

  2. Il correttore di bozze ha rilevato: “shirt” al posto di “t-shirt”, paragr. 3; “rebook” al posto di “reebok”, paragr. 5; “senti” al posto di “sentì”, paragr.7; “sia” al posto di “si”, paragr.9″. Il correttore specifica che nei primi due casi potrebbe trattarsi di licenze narrative, ma negli altri due è certo di aver individuato due refusi. 🙂

  3. Unica nota stonata: l’opera di Virginia Fabbri, perché quel viso di donna incorniciato da quel cappello non s’addice né all’Angela del sogno né al suo alter ego reale. A meno che tu non ravveda in quell’immagine l’eterno femminino.

  4. Te l’ho detto che ti voglio bene? Credo di sì, ma ricordarlo ogni tanto non guasta e poi rinnova. Stavolta te ne voglio perché mi hai dato la possibilità di spiegarti l’immagine e soprattutto quel cappello. Infatti non si addice a nessuna delle due Angela. La scelta è stata un’altra. Non ci sono gli occhi e, malgrado gli occhi non è certo che svelino qualcuno, di sicuro ti danno qualche certezza in più per affermare che, almeno un poco, conosci quella persona. Tutt’e due le Angela sono donne di cui Bruno potrebbe innamorarsi ma, almeno nella mia testa, Bruno non conosce nessuna delle due e questo va bene, ma neanche ci prova.
    In un primo momento avevo pensato ad un viso di donna con la mascherina. Qualcosa di veneziano, hai presente? Ma l’idea l’ho scartata subito perché la mascherina è una volontà di mascherarsi e le mie Angela non hanno motivo di farlo e non è colpa loro se Bruno nemmeno ci prova a guardare sotto al cappello. Anche lui, in realtà, è pieno di sé e non conosce le donne. Più volte Angela ha provato a parlargli ma lui ha preferito evitarla. Poteva provare ad ascoltare, ma non l’ha fatto. E non l’ha fatto neanche con l’altra Angela. Per raccontarle tutta la storia, nei dettagli e nei particolari, non aveva lesinato parole. In fondo raccontava di sé, non di Angela e di quello che gli aveva agitato dentro. Quando, invece, Angela ti chiede qual è il motivo per il quale le tratta come universi separati, perde la parola. Ha freddo. No, non ha freddo, lui lo genera il freddo, lo provoca al punto che Angela lo inchioda. Bruno, non conosce le donne e non ha nessuna voglia di farlo, proprio come chi, pieno di sé, ritiene invece di conoscerle. La Milani lo dice a Lojanni, ma in realtà, lo dice a tutti noi.

    Sono contento che ti sia piaciuto. Ho corretto i refusi, tranne il “senti in sentì”, perché lui sta descrivendo una sensazione che somigliava a quella che raccontiamo “come il pugno alla schiena che senti nello stomaco”. Ci stava bene anche il “sentì”, era più diretto, senza descriverla come se.

  5. Hai ragione, il senso del discorso reggeva il presente “senti” e non il passato remoto; avrei dovuto rileggere prima di appuntarmelo, ma, siccome la storia si dipana su più piani temporali, avevo paura di perdere il filo…:)

  6. è lui è lui! 🙂
    però non portarlo al primo reading party che di lettori di razza c’è sempre penuria

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