Puoi chiamarmi come vuoi

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Di lei
Un marinaio di terraferma…l’immagine che si era fatto di lei. Non sapeva bene cosa volesse dire, (ora lo sa), ma era ciò che sentiva, quando guardava a quel suo tratto parola/movimento che la ritraeva. Affiorava con ritmo incalzante, come un uragano lento, che prova a caricarsi di energia fino all’esplosione, per poi disperdersi in parole nitide o a tratti opache…un turbinio marino di risacca dove il senso si perdeva sugli scogli o più spesso sprofondando in mare.

Di lui
Un albero, con le foglie protese verso il cielo, che non temeva il vento e scuoteva la sua chioma quasi timidamente. E a volte si rifugiava dentro il suo tronco e da là nessuna traccia di lui. In altre si staccava foglie lasciando i suoi messaggi tra linfa e stomi. Di lui …altro non sapeva. Perché i suoi frutti erano sconosciuti, segreti, quasi misteriosi e si protendeva poco, molto poco, giusto per donare un sorso di ombra. E poi si spegneva. Anzi non c’era.

Di lei
Capitava, a volte, di sorprenderla al mattino presto sulla spiaggia, mentre inseguiva un aquilone buffo, che insidiava ai gabbiani improbabili traiettorie di volo. S’inebriava non tanto del consueto, infantile gioco di portarlo a spasso, quanto dell’attesa “dello strappo”, dell’intuizione del cielo, il suo ignoto desiderio di collassare in basso.

Di lui
Sovente si sorprendeva nell’osservarne i tratti e lo trovava a volte bimbo a volte uomo duro, fermo, quasi difficile; avrebbe voluto dirglielo, ma non poteva, perché ci sono cose che possono scivolare, solo quando il fiume ha solcato i palmi, non prima, mai prima. E loro avevano i palmi asciutti e lontani. “ E le mani si bagnano con gli occhi”; così credeva lei, – che parlava di sé -, mentre credeva di parlare di lui. Così senza specchio, perché sempre ci si ritrova in uno specchio d’acqua a procedere per strade sconosciute, sotto frammenti di cieli ignoti, che poi è lo stesso.

Di lei
Che poi era lo stesso, gli sembrava di ricordare…specchi opachi, ma di una opacità luminosa, capace di sondare con il suo sguardo tutti i meandri più oscuri delle cose, di quel pulviscolo d’ombra che s’annida nei cuori di ognuno, per poi allontanarsene appena in tempo, – al sorgere dei primi indizi di giudizio -, nel punto preciso d’equilibrio precario del battito d’ali di una farfalla ed il suo grido silenzioso.

Di lui
Poco, molto poco giudizio, perché sapeva giocare con l’ombra, esattamente là, dove lei gli chiese un soffio del suo bavero e non si accorse che lui era vestito di bosco e sapeva dipingere la terra con altra terra, quasi fosse il refuso di un patto con il cielo. Questo lei non lo chiese. E non smise di raccogliere i frammenti del prato, perché ne intuiva le radici e ci soffiò sopra tutto il silenzio di cui era capace, perché lui lo sapeva apprezzare, come solo sa, chi ha tanto dentro di sé.

Di lei
Nelle tasche nascondeva sempre una radice sottile, appena un po’ più spessa di una metafora, che mescolava con i sassolini raccolti sui bordi delle pozzanghere, mai lungo il greto dei fiumi; altre volte nei romitaggi dei supermercati; quegli angoli, insomma, dove ti aspetti di trovare nessuno, intento a misurare il ticchettio dei sogni, quando scompaiono all’ombra di un altro orizzonte, un altro vuoto, una lattina di birra abbandonata o un altro universo, che prova ancora a collassare – senza riuscirci -, prendendo in ostaggio la tua vita, scontata, per mille punti di spesa.

Di lui
Ma chi era? Si avvertiva la contaminazione dei giorni ordinari e il desiderio di una serenità fatta di cose semplici…lei credeva che lui fosse così…ora che aveva sentito la sua voce lo sapeva…ne era certa…lui era un albero con la voce da albero.

Di lei
A volte tornava senza accorgersene, tornava con quel silenzio colmo di passi, che lasciano tracce e un profumo “a perdersi” nella lontananza di un’altra vita, un altro sogno, altri silenzi, come arse tende sbrindellate, lacerate, lasciate appese a dondolare, alle finestre di edifici diroccati, sbriciolati, rasi al suolo. Nella fitta nebbia di zucchero filato o tra le stringhe scure di una notte densa, ripercorreva a piedi nudi ognuno dei suoi viaggi; guardava (senza calzarle), le sue scarpe spaiate, ma eleganti, utili ancora per altri viaggi, altri amori, altri inganni, per i necessari travisamenti di vita.

Di lui
Una creatura fantastica e misteriosa…recitava la reclame pubblicitaria, che aveva letto di sfuggita su di un frammento di carta finito nella spazzatura. Ricordava il passo e la sua peculiare voce di albero, quel tipo di albero –la yucca-, di cui si favoleggia, che si muova nel deserto sulla scia di rivoli d’acqua sotterranei. Ricordava a tratti, non tanto le sue parole, quanto la suggestione che ne rimaneva, come di un “appostamento”, l’attesa fiduciosa ed imprevista di una magnifica nevicata alla vigilia di Natale. –“Che cosa stai guardando?”-, gli domandava, quando lo sorprendeva, a volte con lo sguardo immobile di fronte al mare. –“Guardo il mare”- le rispondeva. Così, semplicemente, rispondeva. Proprio così, come se stesse guardando, davvero, solamente il mare…

Di lei
Puoi chiamarmi come vuoi…gli aveva detto, -senza parlare- nella prolusione cadenzata, quasi filmica, di due palpebre evanescenti, al sopraggiungere inaspettata della memoria di una antica promessa, che la immobilizzava, ancora e senza scampo, nel traffico d’auto e di ricordi, lei, intrappolatrice scaltra di sogni rari.

Di lui
I treni e null’altro, da bambino, riuscivano a dargli una così improvvisa e intensa felicità…l’apparizione di un treno era, per lui, una magia inspiegabile, entusiasmante . Affondava la mano nel sacchetto delle ghiande, che aveva raccattate con cura –scegliendo sempre le più grandi-, e si preparava a mirare per colpire il treno che sopraggiungeva, senza mancarne uno…era come quando i suoi genitori, nei loro frequenti alterchi, si lanciavano parole – come lui con le sue ghiande- senza mai sbagliare il bersaglio. Rattristato, ma anche incantato dalla maestria condivisa della loro precisione, non doveva fare altro, che raccoglierle con cura e metterle da conto nel fardello inestricabile del suo cuore.

Di lei
Ascoltava sempre il mattino prima che accadesse, quando la luce riusciva a sorprenderla un attimo prima di sopraggiungere, quando il suo sogno –che da sempre ritornava-, scompariva un’altra volta senza lasciare traccia, per poter di nuovo ritornare a specchiare se stessa e altro ancora nella distanza incerta delle cose, la più indecifrabile, per lei: le cose che le appartenevano.

Di lui
C’erano labili suoni, accenti, note sparse, frammenti appena percepibili che lui udiva, trasmessi dagli sguardi incrociati per caso, dallo scarto improvviso tra l’intenzione di un gesto e il suo compiersi, come nella migrazione anomala di un bacio che si fa carezza…La sinfonia di tutti gli istanti cruciali che si perdono nel contrappunto delle note imprecise e fatali della disattenzione.

Di lei
Il suo gioco preferito, da bambina, era nascondersi. Si rintanava per ore negli anfratti più impervi e inaccessibili della sua fantasia, (sotto al letto, negli armadi, dietro al divano) o in quelli che desiderava immaginare ancora “più sicuri” (seduta in solitudine). Riuscire a trovarla era impossibile…Una volta appena, la madre l’aveva sorpresa in uno di questi “nascondigli inaccessibili”,(in giardino le si era seduta accanto, accarezzandola). In giardino, da allora, pur incontrandola spesso, non l’aveva più vista…

Di lui
Non ricordava come fosse accaduto…il vetro rifletteva la stessa concentrazione di vuoto di sempre. Appena una svista, una vaga impressione di ombra sfuggente frammista a suono…gli era parsa. Una variazione impercettibile della luminosità sonora che accompagnava la torsione lenta del suo corpo in procinto di svanire. Scomparire per sempre nella congettura infinita di un’assenza irrevocabile.

bach1962
daunfiore

(c)

E ti scorgo distratta

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E ti scorgo distratta
Col tuo passo convulso
Che è già tardi se parti
E non sai se ritorni
Io mi aggiro tuttora
Nei quartieri più ignoti
Per i vicoli angusti
Dileguati di gente
Mi parlavi rapita
Del tuo mondo incantato
Dei tuoi sogni assillanti
Per poterli ignorare
E già solo, a ogni passo,
Mi vedevo passare
Ti abbracciavo più stretta
Per poterti lasciare
Ti guardavo più spesso
Per poterti scordare
Com’è andato il tuo viaggio?
Io son qui che mi aspetto
Ho cambiato altri luoghi
E lavori e altre stanze
E ho sorrisi più inermi
Solitudini rare
Corri dietro ad un bimbo?
Ad un uomo più saldo?
E del nostro racconto
Ti sovviene ogni tanto
Seppur vaga, la trama?

(c)

Il tempo fermo degli dei

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Il vento soffia ostinato
Su quest’isola arcaica
Intrisa di miti e sassi
Lambita da un mare burrascoso
Che non si lascia interrogare
Tacciono gli antichi dei
Precipitati dai loro effimeri carri alati
Nel vortice frastornante
Di una sgraziata modernità
Aviotrasportata
Altre genti altri idiomi
Giungono ad affollare
Le invisibili strade
Occultate sotto spessi strati
Di bazar sedimentati
Archeologia liquida
La distrofia del tempo fermo
Che stenta a camminare.

Kremasti, Lalissos, Rodi 5-10 settembre 2017

(c)

Ho provato da sempre un piacere segreto nel parlare a me stesso…

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Ho provato da sempre un piacere segreto nel parlare a me stesso…
Passeggiare da solo, per strada, distratto ed immerso nei miei ameni pensieri, oppure intento a scrutare il paesaggio su cui posa il mio sguardo.
Guardo spesso i semplici oggetti e mi piace sorprenderli nella loro abitudine consueta o godere del piacevole gioco d’ingannarne l’aspetto, trasformandoli in rarissime cose mai viste.
Un tempo m’incantavano i visi degli altri…
Ora più non mi accade, perché forse è mutato lo sguardo, che è lo specchio dell’anima e sempre più spesso riflette, di sé, solamente, un’assenza diffusa …o forse son io che non so più guardare.
Un tempo ci perdevo le ore a inseguire gli sguardi. Mi piaceva fissare le linee dei volti, non solo di quelli più belli, ma di tutti, perché ogni volto nasconde nei tratti una storia.
Ogni ruga è una traccia…ogni traccia è un racconto.
Ci son visi che celano storie infinite, molti altri nessuna…ma anche questa è una storia.
A volte sembra che i visi mi parlino, più di quanto san fare le stesse persone con i loro discorsi.
La parola ci occulta, mentre il corpo ci svela…
A Venezia ci torno, ogni tanto e non so dirne il motivo. Ci son luoghi, che ad un certo momento il richiamo mi prende, mi costringe a incontrarli di nuovo.
Per me è come averli vissuti in un altro frangente e li riconosco…come i visi, gli accenti, la grazia dei corpi gentili, le movenze armoniose che io sento di avere intravisto; persone con le quali ho vissuto in un altro momento e non so riconoscerle, ma delle quali posseggo un’istintiva memoria.
A Venezia come a Genova ci torno per questo, per poterle incontrare, aggirarmi in quei luoghi che un tempo devono avermi visto passare…Io che vengo dal Sud, dove l’acqua è soltanto un miraggio…Così come lungo il delta del Po, che ho scoperto “per caso” …Ritrovati come luoghi “familiari” del cuore.

(c)

In questa notte persa in fondo al viale

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In questa notte persa in fondo al viale
Falò di gomme sul ponte ad aspettare
Un sogno breve dove puoi inciampare
E un passaporto falso per non tornare
E ancora cerchi dove ti puoi fermare
E ancora parti per dimenticare
Un abbaglio in curva, ti sorprende il mare
Come un sollievo quel precipitare

Per te che non ti sai ascoltare
Per me che non ti so parlare
Per te che non ti sai guardare
Per me che ancora non ti so cercare

E corri corri di miglia in miglia
Come un vascello vuoto in una bottiglia
Con i tuoi amori usati da autenticare
In questo sogno ancora da sognare
E il fango cola giù dal soffitto
Dalle pareti bianche di quel relitto
Intento sempre più a naufragare
Mentre tu già ti stai a svegliare

Per te che non ti sai ascoltare
Per me che non ti so parlare
Per te che non ti sai guardare
Per me che ancora non ti so cercare.

(c)

Disequilibra il passo

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Disequilibra il passo
Sgomenta è la ragione
Che male si governa
Aliena raggruma un nome
Un’impressione
Un ricordo lieto di bambina
E’ nello specchio
Che la donna più non si ritrova
Là dove affila
Obliqui tagli di sguardi
A deturpare il volto minaccioso
Che incerto si riflette
Nei tratti sconosciuto
Solo il canto
Che ora intona d’improvviso
Per un istante ancora
Forse le appartiene.

Desenzano del Garda 19-25 febbraio 2019

(c)

Alchimia del colore – Palazzo Libera – Villa Lagarina TN – Intervista

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Intervista di Daniela Larentis – L’Adigetto.it

  • Quando e come nasce l’idea di questa mostra?
  • L’idea di questa mostra nasce dall’incontro stimolante con la talentuosa e sensibile curatrice Stefania Segatta. E’ stata lei ad individuare il contenitore ideale e di conseguenza la traduzione espressiva di questa mostra. La mia intenzione, che poi abbiamo condiviso, è stata solo quella di provare a strutturare una mostra che fosse “poetica ed accessibile”, nella quale il colore, poi, (lei ha aggiunto) avesse una forte predominanza. L’ambito di ricerca ha condizionato fortemente la scelta dei quadri, costringendoci a trascurarne alcuni altri, piuttosto significativi, a cui sono particolarmente legato. Il valore aggiunto, inoltre, è rappresentato dal magnifico spazio di Palazzo Libera, messo a disposizione dal Comune di Villa Lagarina in persona del vicesindaco, assessore alla cultura Marco Vender, che in buona parte hanno reso possibile questo evento valorizzandolo adeguatamente. A noi sembra di aver ben colto nel segno, però lasciamo ai visitatori la personale valutazione.
  • Quando si è avvicinato alla pittura per la prima volta?
  • Ho sempre avuto una forte, istintiva, inclinazione per il disegno e per la pittura, fin da bambino molto piccolo, tanto da riuscire a farlo per un piccolo periodo, durante la scuola elementare, “di mestiere”, perché ogni anno per tutto il mese di dicembre venivo esentato in una buona parte dalle incombenze scolastiche per potermi dedicare agli addobbi pittorico-natalizi. Insomma venivo nominato pittore ufficiale dell’istituto, ma ancora ignoro se a scapito o a vantaggio della mia formazione scolastica o della scuola.
  • Da dove trae maggiormente ispirazione, dalla natura o sono le persone a destare in lei curiosità e interesse?
  • L’ispirazione è un’idea romantica. C’è moltissimo lavoro dietro qualsiasi espressione che attiene minimamente all’arte. Un artista è necessariamente interessato, talmente dentro a tutta la complessità dell’esistenza, (non solo curioso di qualche aspetto), da poterne essere in alcuni casi persino sopraffatto, fino al punto estremo di negarla. Devo molto, comunque a tutte le persone che mi hanno amato o soltanto dedicato attenzione, contribuendo ad arricchire il mio mondo d’immagini. Spero d’esser riuscito a ricambiare in qualche modo, seppur minimo, il tanto che ho ricevuto. Esporre, per me, è soprattutto l’occasione per comunicare, il tentativo di restituire emozioni; una parte intima di me, che non è sempre capace di affiorare, di donarsi naturalmente, a volte sopraffatta da un atteggiamento un po’ cinico e disincantato.
  • C’è qualche particolare messaggio che desidera trasmettere attraverso i suoi lavori artistici?
  • Proteggere sempre, ad ogni costo, la bellezza. E’ una virtù molto fragile e a rischio anche quando si cerca, in buona fede, di favorirla.
  • Qual è la tecnica che lei predilige fra quelle da lei utilizzate?
  • Dipende da cosa desidero esprimere. Preferisco l’olio per la sua versatilità.
  • I suoi quadri sembrano descrivere scenari onirici, sono stati associati al sonetto “Vocali” di Rimbaud, in cui “il poeta maledetto” trasforma le lettere in colori e i colori in immagini, la sua poesia è simbolista. I colori nei suoi dipinti sono dei significanti che rimandano a precisi significati? Che valore assumono nell’opera?
  • A volte sì, ma non è importante neppure svelarli. Un quadro astratto è come un viaggio, che può rimanere anche ignoto fino alla fine e ognuno di noi che guarda lo può organizzare come meglio crede in forza dei suoi bisogni e del proprio vissuto. Esattamente come con la nostra vita.
  • Secondo lei è più potente l’immagine o la parola?
  • Parole ed immagini si correlano, da sempre, in quell’istanza significante/significato che ci consente di elaborare pensieri, emozioni, sentimenti e tutto quell’immane patrimonio di senso che costituisce la nostra più intima e peculiare natura umana. Possono legarsi in alchimie complesse di idee narrative, e persino disporsi a formare, esse stesse, geometrie di segni articolati. Ci sono immagini sature di informazioni, o parole appropriate, che disvelano mondi, universi sensibili di verità e concretezza. Entrambe sono molto efficaci se usate con grande abilità, anche se ritengo che non si possa parlare di una forma più potente di un’altra in assoluto.
  • Progetti futuri e sogni nel cassetto?
  • Trovare spazi espositivi è piuttosto difficile. Spero di poter allestire ancora delle belle mostre come questa in corso a Villa Lagarina. Vorrei che l’arte fosse percepita più diffusamente come una necessità dello spirito, più che come un ameno passatempo e con la consapevolezza di un arricchimento che passa dalla riflessione condivisa sulla nostra condizione umana.

Transfert

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Traslucido
Transfert
Trasumanare
In esiti trasversali
I labirinti del cuore
Ad estensione rettilinea
Vibrano di un impulso ferale
Impronte fiorite
Sogni evanescenti
Petali di sentimenti sbiaditi
Adagiati in soglia/segmento
Di sublime lucida follia
Un bagliore d’umore
A sequenza binaria
Contro/avviene
La vita meravigliosa
Che ti porti a spasso
Lungo i viali notturni
Illuminati a giorno
Si librano repentini
E aggraziati
I fenicotteri rosa
Caricati a molla.

(c)

Quasi una biografia

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Segno zodiacale: / Pesci / Pietra zodiacale: / Ametista / Colore zodiacale: / Blu / Fiore zodiacale: / Ninfea / Fiore preferito: / Tulipano / Interessi: / Cura e conservazione “per sempre” e a regola d’arte dello stesso prato / (se vedo delle erbacce o zone morte mi dispero al punto di rasentare la depressione) / Isolamento tattico / Di sopravvivenza / Perché il mondo degli esseri umani è irrazionalmente / Alternativamente / Buono/Cattivo / Comprensibile/Incomprensibile / Terribilmente complesso / Stavamo meglio / Quando stavamo peggio… / (difficilmente definibile, instabile, nella sua istantanea polarità) / Ed è subito sera… / Una grande fissità nell’osservare il mare / Una media fissità nell’osservare le onde del mare / Assenza di fissità nel guardare i pesci / Passare in rassegna i calzini dei supermercati per sorprendere/mi di trovarne / Ancora / Almeno un paio / Lungo / Di colore marrone / Scommettere sulla frequenza temporale delle volgarità profferite sui mezzi di trasporto pubblici / Da alcuni prototipi umani / (inversamente proporzionale all’età, direttamente proporzionale all’assenza di dialogo con sé stessi) / Scommettere sulla frequenza temporale degli squilli dei telefoni cellulari sui treni / Nelle rare occasioni in cui ho il piacere/dispiacere di salirci / Scommettere sulla frequenza temporale dei rumori provenienti dai vicini del piano di sopra / Scommettere sulla maleducazione diffusa della gente / Scommettere sugli esseri umani / A volte vincere / Spesso perdere / Scommettere su di me / Il banco vince / Andare in bicicletta lungo gli argini dei fiumi / Del mare / Delle pozzanghere / Dell’umor acqueo degli occhi / Guardare intensamente il viso delle persone / Per il tempo necessario e sufficiente / A non creare imbarazzo / Guardare / Molto intensamente / Per compensazione / Con tutto il rapimento dell’anima / Il viso delle donne di cui non ci innamoreremo mai / Guardare / Poco intensamente / Per compensazione / Il viso delle donne che non innamoreremo mai / Perché tanto è inutile / Camminare da solo quando spunta il sole / Inaspettatamente / Una mattina d’inverno / Camminare da solo / Sempre / In riva al mare / Perché dinanzi al mare non si può che stare in silenzio / (anche in compagnia e discorrere, ma allora non è “lo stesso mare”) / Camminare da solo se devo pensare, ma non troppo / Altrimenti mi siedo / Camminare da solo dopo esser riuscito / Abilmente / A farmi dimenticare da tutti… Interessi: / La musica / L’Opera Lirica / La pittura. Necessità vitale della musica / Malessere fisico in assenza prolungata di musica / Desiderio irrefrenabile di procurarmi sempre nuova musica / Tantissime / Diversissime / Esecuzioni dello stesso componimento / Potrei avere il cattivo gusto di diventare ricco / Solo a condizione di fondare un’orchestra stabile / Che mi allieti la vita / Suonando incessantemente nel mio bilocale / Potrei avere il cattivo gusto di diventare ricco / Solo a condizione di spendere / L’altra metà del patrimonio / Nell’acquisto di dischi / Incrementando / Almeno / Di mille unità giornaliere / La mia non trascurabile collezione / Studio degli strumenti ad arco / Studio quadriennale del violino / Preso atto che in questo caso la natura mi è stata matrigna / Studio quadriennale del violoncello / Preso atto che in questo caso avrei anche potuto fare il dilettante che si diverte / Non adesso / Ma più avanti / Se mi prende il cattivo gusto come sopra. Collezione: un violino / Una viola / Un violoncello / Rimane il sogno di un contrabbasso / Ma nel bilocale “stona”… Desideri: 1) Poter un giorno vivere al mare / Su di un’isola magari / Magari non proprio deserta…2) Se torno a vivere…Mi astengo / Ma se proprio devo / Vorrei nascere violoncellista / Un violoncellista insonne e pazzo che suona Bach / Le cellosuiten di Bach / Nell’aurora di un’isola / Di un giorno qualunque / Che nasce in riva al mare.

(c)

Paesaggi di-versi

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Parole ed immagini si correlano, da sempre, in quell’istanza significante/significato che ci consente di elaborare pensieri, emozioni, sentimenti e tutto quell’immane patrimonio di senso, che costituisce la nostra più intima e peculiare natura umana. Possono legarsi in alchimie complesse di idee narrative, e persino disporsi a formare, esse stesse, geometrie di segni articolati. Ci sono immagini sature di informazioni, o parole appropriate, che disvelano mondi, universi sensibili di verità e concretezza.

I dipinti in esposizione documentano un periodo di lavoro piuttosto lungo, che si snoda attraverso la sperimentazione della pittura astratta eseguita sia con tecniche tradizionali (olio, tempera, acquarello), sia con l’utilizzo di sabbie e pigmenti colorati. I “paesaggi di-versi” sono “contrappunti dialettici alla mente”, immagini e parole trasfigurate nei simboli dello spazio interiore e della percezione emozionale.