L’ATLANTE (per chi ama la complessità palindroma)

William T. Vollmann quote: So he lent her books. After all, one of life's...

Il libro di William T. Vollmann meriterebbe d’essere letto sulla fiducia, solo basandosi sull’originalità della Nota del compilatore. Senza dimenticare che, al di là del guizzo quasi geniale di organizzare i racconti della raccolta in un palindromo, avremmo comunque tra le mani il libro di uno dei più grandi scrittori americani viventi. Unica avvertenza: essere avvezzi alla sovrabbondanza di aggettivi e alle frasi lunghe e complesse che tuttavia, e va sottolineato, nulla tolgono all’umanità del narrato.

Nota del compilatore

“Questo libro è ispirato ai Racconti in un palmo di mano di Yasunari Kawabata, che amo rileggere prima di dormire, nei cinque minuti tra quando mi metto a letto e quando spengo la luce. Così come è un piacere per me sfogliare un mio grande atlante, fermandomi su paesi ignoti mentre aspetto che la mia compagna della serata finisca di lavarsi i denti. Scrivere questi racconti mi ha dato lo stesso tipo di gioia rapsodica. Come osserva James Branch Cabell: «Nessuno dei temi predominanti nella mia epoca mi induce a occuparmene in maniera intelligente e spassionata». Quello che hai in mano, allora, non è che un atlante frammentario del mondo in cui io penso. Spero ti piaccia, malgrado l’omissione di un paio di continenti. E se lo terrai sul comodino e lo leggerai senza un ordine particolare, saltando i racconti che ti annoiano, appisolandoti sui brani più soporiferi, avrò l’impressione di aver finalmente fatto del bene al mondo quanto i produttori dei nostri sciroppi di codeina più potenti. Nascondilo sotto il sedere quando darai inizio ai piaceri notturni. Ammazza le orride mosche del sonno con la sua copertina rigida. Appoggialo sugli occhi per ripararti dalla luce. E che la tua anima volteggi libera su quel mondo! Perché, malgrado l’opinione di un certo trascendentalista, dal quale apprendiamo che «viaggiare è il paradiso degli sciocchi», altri filosofi venerano i cambiamenti d’aria perché sono salubri. Considera il componimento scolastico di un alunno di seconda elementare d’origine cambogiana. Il tema assegnato in classe era: «Il futuro». Il bambino scrisse:

NEL futuro vorrei che il mondo fosse una zona di guerra in CINA. Spero che sarò nella MARINA per aiutare la MARINA USA a Uccidere gli ALLEATI. Ucciderò polpot e i suoi uomini e familia. Tornerò da eore. Sarò l’unico CANBOGIANO sulla nave. Che si possa tutti uccidere i nostri migliori alleati prima che loro uccidano noi. E con questo, lettore, buonanotte.1

1A chi ha bisogno di giochi e calcoli per prendere sonno, sarà bene precisare che la raccolta è organizzata come un palindromo: il motivo del primo racconto viene ripreso nell’ultimo; il secondo racconto riecheggia nel penultimo, e così via. Inoltre, alcune storie hanno lo stesso titolo di libri che ho scritto in precedenza; sono riduzioni tematiche alla maniera di «Il paese delle nevi», il racconto di Kawabata derivato dal suo romanzo Il paese delle nevi(Tuttavia, mentre la metonimia di Kawabata contiene materiale presente nella storia madre, la mia tenta di usare materiale nuovo, perché noi americani amiamo le novità.) La storia che dà il titolo al libro invece contiene un poco di tutte le altre”.

È troppo difficile da spiegare

Sarajevo, Bosnia-Erzegovina (1992)

Sedeva a tavola vicino a me, totalmente prigioniera del silenzio mentre le risate le esplodevano intorno come bombe. Alla fine le chiesi perché era così infelice.

È difficile da spiegare, disse lei. 

Prova.

Ti mancano le parole. Mi mancano le parole.

Allora non è per la guerra, dissi. Secondo me sei sempre stata infelice.

Si sporse verso di me. Sì, disse.

Anch’io, dissi.

Sorrise. Posò la mano pallida sulla mia. Provai una violenta tenerezza per lei.

Vieni, disse. Devo cucinare per queste persone. Puoi farmi compagnia.

Mentre uscivamo insieme, gli altri gridarono di giubilo perché credevano che avessi fatto una conquista. Il padrone di casa, ferito due volte da quando era andato volontario un mese prima, era ubriaco fradicio. Il suo appartamento era fra quelli ancora intatti (o forse ristrutturato grazie alla speciale liquidità che la proprietà acquisisce in tempo di guerra), con moquette, vetrinette e finestre (incredibile vederle indenni), tappeti di pelliccia, Ballantine’s e vodka a volontà. Nel bel mezzo della festa aveva estratto la pistola e annunciato che voleva collaudare il mio giubbotto antiproiettile, direttamente addosso a me. Nei suoi occhi balenò una risata disperata, la canna della pistola ondeggiò. Prima posso finire di bere?, chiesi. Mi piace il tuo stile, James Bond!, esclamò. Avanzò verso la finestra e sparò tre volte, con un ruggito. Forse uccise un vicino o forse le pallottole andarono a vuoto. Ricordo che lei rabbrividì di dolore e disperazione, tremando al rumore degli spari. Sai, ho una paura patologica, mi disse. Vorrei venire con te, ma non posso. Ho paura di andare da qualunque parte. Questa strada si trova in centro. È una delle peggiori per i cecchini. E ogni mattina devo andare al lavoro, e anche dal medico per mia madre. Devo sempre correre. E la notte non chiudo occhio. Il rumore dell’artiglieria mi terrorizza. In quel momento avrei dato la vita per lei se fosse servito, ma niente poteva aiutarla. Così ci avviammo verso la porta insieme, e gli altri risero.

Fuori dell’appartamento al lume di candela era buio pesto, neanche a dirlo. Scendemmo a tentoni le due rampe di scale fino al pianerottolo dove si trovava la stufa e lei vi si chinò sopra. Non va, disse. Mi appoggiò la mano sulla stufa e scoprii che era fredda. Quel giorno non avrebbero cucinato niente.

Così tornammo alla festa e gli altri ci fissarono. Pensavano che avessimo litigato.

Lei mi disse: Non capisco perché dobbiamo vivere. La vita è solo tristezza.

Ma hai detto che amavi la musica. Non ti capita qualche momento di felicità?

Felicità? Oh, sì, a sprazzi. E poi tristezza per anni.

Cosa ti renderebbe felice?

Non dover lavorare. Vivere da sola. Ma non posso, perché non ho soldi. E non capisco perché i soldi sono indispensabili per vivere.

Quanti soldi ti servirebbero per essere felice?

Non lo so. Ma tanto è impossibile.

Centomila marchi tedeschi al mese?

No, no, sono troppi.

Quanto?

Forse duecento.

Al mese?

Sì.

Quindi se ti dessi duecento marchi tedeschi potresti essere felice per un mese?

Sorrise per la seconda volta. Pensava che scherzassi, ma lo scherzo le piaceva. Sì. Sei una brava persona…

Quando fu ora di andarmene tirai fuori i soldi e glieli diedi. Dovetti inginocchiarmi di fronte all’unica candela al centro della stanza per distinguere le banconote, e così tutti stettero a guardare e sentii le loro risa spegnersi misteriosamente nel nulla. L’ombra della mia mano e delle banconote tremò mostruosa sulla tenda anti cecchino. Macchiò di buio i loro volti.

Non voleva accettarli. Non capisci niente, ripeteva. Per favore, per favore.

Infatti non capisco niente, dissi. Prendili. Io posso farne a meno.

No, no. Per favore.

Alla fine ci rinunciai. Ma mentre uscivo, preparandomi a scendere con gli altri ospiti quelle scale fredde e immerse nel buio, ricordando la ringhiera marcia in fondo, poi il pericolo terribile quando dovevano aprire la porta d’ingresso e correre a cielo aperto; mentre il miliziano urlava di rabbia e di dolore perché si era ubriacato e aveva fatto qualcosa che gli aveva aperto la ferita al braccio dove la pallottola continuava a triturargli l’osso che adesso sanguinava dalla manica; mentre il padrone di casa mi urlava ridendo: ti vuole baciare, James!; mentre l’autista infilava una pallottola nella camera della pistola; mentre le donne si rimboccavano i vestiti per correre, lei venne da me e mi strinse forte la mano.

William T. Vollmann, L’atlante

L’ATLANTE (per chi ama la complessità palindroma)ultima modifica: 2023-09-02T12:50:56+02:00da hyponoia

8 pensieri riguardo “L’ATLANTE (per chi ama la complessità palindroma)”

  1. “il libro di uno dei più grandi scrittori americani viventi”.

    Come certi cocktail, è la giusta dose di follia a renderli strepitosi. Lui, però, ha avuto il vantaggio di una fronte altissima e la giusta dose di follia ce l’ha negli occhi.
    Una pagina strepitosa. Un libro così lo si beve in un nulla e ti fa amare la vita.

  2. Posso dirlo? Lo dico, sapevo che ti sarebbe piaciuto (anch’io, che pure con i particolari non vado a nozze, ho notato lo sguardo folle, a dire il vero per niente rassicurante).
    Per “pagina strepitosa” intendi “È troppo difficile da spiegare”, giusto?

    1. Strepitosa perché c’è una certa dose di surrealismo noir alla Quentin Tarantino (lo adoro) che non guasta la bellezza magica di quel dialogo con lei su quella cifra che sembra essere il prezzo della felicità.
      Posso dirlo? Lo dico, certe pagine è più facile amarle che spiegarle… e poi, a spiegare certe follie, è togliere poesia.

  3. “Strepitosa perché c’è una certa dose di surrealismo noir alla Quentin Tarantino (lo adoro)”
    mannaggia, e ora? ho appena scritto qualcosa in cui cito Tarantino ma prima di leggere questo tuo commento. Mi credi?

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