Era la mattina dopo la sua prima notte di lavoro al ristorante cinese che era anche una sala da ballo.
Con quanti uomini hai ballato?, dissi.
Due.
E hai solo ballato?
Mi guardò negli occhi. No.
Com’erano?, dissi.
Meglio di te.
Prima mi dicevi che ero bravo.
È passato tanto tempo.
Quindi sono stati bravi anche loro.
Il primo mi ha fatto venire sei volte. Voleva andare avanti per tutta la notte, ma non aveva pagato per tutta la notte, perciò l’ho fatto smettere.
E il secondo?
È così bravo che me lo sposerò. Non mi stanco mai di averlo dentro.
Quanto ti ha dato?
Niente. È stato così bravo che non ho voluto i soldi. Ho preso tutti quelli che mi ha dato il primo e li ho dati a lui. Per questo mi hanno licenziata.
E sei felice?
Certo che sono felice. Ti lascio e sto per sposarmi. Avrò il migliore cazzo del mondo tutto per me.
Pare di sì.
Pare proprio di sì, caro.
Che lavoro farai?
Conosce la signora di qui. Cercherà di farmi riavere il lavoro. Le racconterà che sono stata bravissima.
Quindi lavorerai qui?
Spero.
Adesso lavori?
In che senso?
Cioè, se adesso ti pago, ci vieni a letto con me un’altra volta?
Con te? No. Non sei mio cliente.
Se ti pagassi, sì.
Non potrai mai essere mio cliente. Non sei altro che uno con cui scopavo tanto tempo fa.
Ieri non è tanto tempo fa.
Sì, invece.
Quanto ti ha dato il primo?
Un milione di dollari, va bene? Adesso lasciami in pace.
Ho cinquecento dollari. Te li do se mi concedi mezz’ora con te.
Dove li hai presi cinquecento dollari?
Li ho rimediati per darli a te.
Quando stavamo insieme non mi hai mai comprato nemmeno un mazzo di rose.
Era diverso. Prima stavamo insieme. Ma tu hai detto che non stiamo più insieme, per cui devo darti qualcosa di speciale se voglio fare l’amore con te un’altra volta.
Be’, cinquecento dollari sono abbastanza speciali, credo. Mezz’ora. Vieni in questa camera. Però ti devi mettere il preservativo, e non puoi baciarmi.
Perché?
Perché non ti amo più. Sono fidanzata con un altro.
E se ti bacio che fai?
La tua mezz’ora è appena iniziata. È già passato un minuto. Devo solo vederti per altri ventinove minuti, poi avrò cinquecento dollari e non dovrò vederti più.
Però non è giusto iniziare a contare prima di chiudere la porta.
Ecco. Adesso è chiusa. Mi slacci i bottoni dietro della camicetta?
Gli altri due l’hanno fatto?
Non portavo questa camicetta. Ma lo avrebbero fatto, anche ben volentieri.
Ecco qua.
Ti piace come me la sfilo? Sento che mi guardi la schiena. Sento il tuo sguardo sul gancio del reggiseno. Mi vuoi sganciare il reggiseno? Ho le tette eccitate. Ho i capezzoli duri perché tra un attimo mi sgancerai il reggiseno e io mi volterò e ti ficcherò le tette in bocca e sarà l’ultima volta che potrai ciucciarmi le tette.
Che cosa sono quei lividi sulla clavicola?
Succhiotti. Di quei due. Soprattutto il secondo. Tutto il mio corpo odora di lui.
Io non sento nessun odore a parte il tuo.
Hai voglia se lo senti. Mi senti addosso l’odore di tutti gli altri uomini. È un odore forte come quello di benzina. Vedi i graffi che mi hanno lasciato e tutto il resto. Però non lo ammetti. Sarebbe troppo umiliante. Ti metteresti a piangere, coglione patetico che non sei altro.
Gli slip te li togli?
Mi hai sentito. Ti ho detto che prima di fare qualsiasi altra cosa devi ciucciarmi le tette. Me le devi ciucciare finché non senti la saliva, l’alito e il sudore degli altri uomini.
No.
Me lo vuoi mettere dentro o no?
Non mi va più.
Ci hai ripensato? Bene. Ma mi devi ancora cinquecento dollari.
No.
Come, scusa?
Ho detto di no.
Ma infatti. Lo sapevo. Be’, mio marito ti pesterà a sangue. Perché non corri a casa ad aspettare? Gli do le mie chiavi. Verrà oggi a spezzarti braccia e gambe. È bravissimo a farlo. Lo fa di mestiere. Ecco, mi rimetto la camicetta. Me l’abbottoni o ti tiri indietro anche su questo?
Adesso ti strappo gli slip e ti violento.
Voglio proprio vedere. Basta che ti guardo e ti si ammoscia. Non potresti violentare neanche una medusa.
Mi hai amato?
Non mi ricordo. Non credo. Ma a volte mi facevi pena. Mi fai pena anche adesso. Non ce li hai i cinquecento dollari, vero?
No.
Volevi solo guardarmi un’altra volta.
Esatto.
Quanto mi ami?
Ti amo tantissimo.
Vuoi scoparmi adesso? Ci tieni tanto? Vai! vedi, mi ritolgo la camicetta. Ecco qua. Adesso mi puoi toccare. Ma non ho più le tette dure. Non stare lì a fissarmi. Guarda, anche gli slip mi tolgo; ho allargato le gambe, che altro vuoi? Ah, ma certo. Devo dire che ti amo. Ti amo. Te lo dico quando stai per venire. Serve altro?
No.
Be’, allora, lo fai o no?
Sì, grazie. Lo faccio.
Bravo. Eccoti il preservativo. Aspetta che mi spalmo il gel.
Sentiamo come ti alleni a dire ti amo.
Ti amo ti amo ti amo, va bene? Sbrigati.
Non sento niente.
Perché non sei abituato al preservativo. Non stai più scopando con me per davvero, stai scopando con un pezzo di lattice che casualmente si trova dentro di me.
Non mi riferivo a quello.
D’accordo. Quei due che mi hanno trombato hanno detto di avere l’AIDS. Quindi io ho l’AIDS. Togliti il preservativo, scopami e prenditi l’AIDS, se proprio ci tieni. Sai che me ne importa. Ecco. Tolto. Come sbucciare una banana. Adesso me lo rimetto dentro. Com’è?
È bello.
La senti la morte che s’insinua dentro di te?
Oh, è bellissimo.
Stai affondando sempre di più nella mia morte. Adesso la mia morte è dentro di te. Allora, stai per venire? Sembrerebbe di sì. Ti amo. Stavolta parlo sul serio. Ti amo. Ti amo perché morirai per me.
William T. Vollman
La perfezione di un racconto che pur avendo come perno il cinismo di lei, si chiude con un finale inaspettato, degno della migliore tradizione romantica.