“Eccolo, l’inizio di tutto, si dice, il primo incidente della giornata, che ha scatenato tutti gli altri di questa giornta di continui incidenti, ma mentre guarda ancora il pentolino di alluminio carbonizzato all’altro capo della stanza, i suoi pensieri si allontanano piano piano dai capitomboli da mimo di stamane e tornano al passato, il lontano passato che balugina ai confini della memoria e, un pezzo minuscolo alla volta, gli torna tutto in mente, il mondo perduto di Allora, ed eccolo lì, nel suo corpo di quasi ventunenne, studente universitario povero in canna nell’Upper-Upper West Side di Manhattan che s’incammina nella luce di un pomeriggio di fine settembre alla ricerca di qualche oggetto per il primo appartamento in cui abbia mai vissuto da solo, diretto da Goodwill in Amsterdam Avenue a comprare tutte le stoviglie usate e di seconda scelta che riuscirà a far entrare nel pensile del suo microscopico angolo cottura, ed ecco il negozio squallido ma stracolmo con le pareti ingiallite e la luce debole dei neon dove aveva visto per la prima volta Anna, la ragazza dagli occhi lucenti, onniveggenti, che aveva sì e no diciotto anni e studiava anche lei da quelle parti. Non avevano scambiato nemmeno una parola, giusto un paio di sguardi per studiarsi, valutare i possibili pro e contro di quello che poteva essere o non poteva cominciare a succedere se fosse cominciato a succedere qualcosa, un piccolo sorriso lei, un piccolo sorriso lui, ma non c’era stato altro, e lei se ne era andata nel pomeriggio di settembre mentre il signor Timido era rimasto lì da bravo asino che era ed è tuttora, e aveva finito per comprare quella schifezza di pentolino d’alluminio, che gli era costato dieci centesimi e non lo aveva più lasciato per tutti quegli anni finché stamane non è andato definitivamente distrutto.
Erano passati otto mesi prima che la incontrasse di nuovo, ma ovviamente si ricordava di lei, e per motivi che ancora gli sfuggono, anche lei si ricordava di lui, e così era iniziata, era iniziata poco alla volta finché cinque anni dopo si erano sposati e lui aveva cominciato la sua vera vita, la sua sola e unica vita, che era durata fino a nove estati fa, quando lei era corsa incontro ai cavalloni di Cape Cod imbattendosi nell’onda mostruosa e feroce che le aveva spezzato la schiena e l’aveva uccisa, e da quel pomeriggio, da quel pomeriggio – no, si dice Baumgartner, non ci devi pensare, stronzo patetico che non sei altro, stringi i denti e stacca gli occhi da quel pentolino, coglione, o ti strozzo con le mie mani”.
Paul Auster, Baumgartner
Benché la prosa sia troppo liquida per incontrare il mio gusto, nondimeno Paul Auster affabula. E paradossalmente riesce nell’intento attraverso un personaggio che non fa nulla per essere simpatico. Anzi. Trenta pagine sono poche per dire che questo libro entrerà a far parte della rosa dei miei preferiti di sempre, ma il Baumgartner dall’ironia leggera e mai corrosiva è il vicino di casa che mi piacerebbe avere.
Condivido quel “cinico abbastanza” per un motivo diverso dal tuo (“per innamorarsene”), ma per non far comprendere se gli dispiacesse di più l’aver perduto lei o quella schifezza di pentolino da 10 cents.
(Certo che t’innamori di gente strana…)
(Certo che t’innamori di gente strana…)
L’hai capito, allora, qual è stato il guaio più grande della mia vita 🙂
Comunque, Baumgarten sarebbe il mio compagno ideale innanzitutto perché è uno scrittore e poi perché nella scena che avrai la bontà di leggere prima di mandarmi al diavolo, descrive qualcosa che dev’essermi appartenuta in un’altra vita:
“Per i primi sei mesi aveva vissuto in uno stato di confusione così profonda che a volte si svegliava al mattino senza ricordare che Anna era morta. Si era sempre alzata prima di lui, era già in piedi almeno quaranta minuti o un’ora prima che lui riuscisse ad aprire gli occhi, perciò era abituato a scendere dal letto vuoto e a entrare come un sonnambulo nella cucina deserta a prepararsi una tazza di caffè, spesso accompagnato dal ticchettio sommesso di una macchina da scrivere nella piccola stanza in fondo al corridoio o dai passi di lei che si aggiravano in una delle stanze al piano di sopra oppure dall’assenza totale di rumori, segno inequivocabile che Anna stava leggendo un libro o guardando fuori dalla finestra o era impegnata in qualche silenziosa attività in un’altra parte della casa. Questo spiega perché tutti i suoi grotteschi vuoti di memoria si verificavano di prima mattina, quando era ancora in stato di semincoscienza e agiva intontito sotto l’influsso delle vecchie abitudini formate in tanti anni di vita in comune con Anna, come la mattina in cui, solo dieci giorni dopo il funerale, mentre si accomodava su una delle sedie in cucina con la sua tazza di caffè fumante, gli era caduto l’occhio su un fascio di riviste aperte disordinatamente sul tavolo. Una pagina in particolare spiccava su tutte le altre, dove lui aveva letto quello che sembrava un titolo della ‘New York Review of Books’ che diceva: Che tempo fa. Il libro che veniva recensito si chiamava Acque del mondo, e l’autrice era una certa Sarah Dry.
Acque del mondo – di Sarah Dry! Ovverossia: “Acque del mondo, di Sarah Asciutta”.
La combinazione era così inattesa eppure così grossolana nella sua sciocca simmetria che Baumgartner era sbottato in una breve risata di stupore, aveva appoggiato di scatto le mani sul tavolo e si era alzato.
Anna, guarda un po’ qua, aveva detto, incamminandosi verso il salotto. Te la farai addosso dal ridere.
Sarà andata in salotto, aveva pensato, dato che la macchina da scrivere taceva e le assi del pavimento di sopra non facevano rumore. Ciò significava che era rannicchiata sul divano con un libro, mano destra armata di matita per sottolineare i brani che le interessavano, e se in quel momento non stava usando la matita, l’aveva senz’altro messa in bocca e stava masticando distrattamente la fascetta metallica stretta intorno al gommino rosa. Tutte immagini che gli erano passate per la testa mentre camminava verso di lei nella nebbia della dimenticanza – poi era entrato nel salotto deserto e si era ricordato”.
“non sbizzarrirti, non abbiamo scelto il divano rosso”
Malgrado ci fosse abbondante spazio, mi sedetti attaccato attaccato a lei sorridendo di quel “non sbizzarrirti, non abbiamo scelto il divano rosso”. Alle volte, quando mi mancava, mi chiedevo quanta parte avesse il suo lato ironico nel mio amarla e, ogni volta, mi rispondevo con la stessa affermazione: “la giusta parte”.
Tornai alla pagina che mi impose di leggere prima di “mandarla al diavolo”, e la lessi perché a me non sarebbe costato niente. Il rischio era tutto suo e lei lo sapeva perché ero molto critico verso quegli scrittori di cui s’innamorava a giorni alterni. Una roba tipo leggere l’oroscopo e convincersi che fosse stato scritto proprio per lei. Stavolta, il ruolo dell’astrologo era toccato a Baumgarter.
Non nascondo che leggevo e cercavo di concentrarmi su quale affinità poteva esserci tra lei e quella pagina che a suo dire le era appartenuto in un’altra vita. Alla fine l’unica cosa che mi sembrava affine a lei era che Anna si svegliava prima di Baumgarter e, per quello che ne so, lei è quella che nell’Olimpo ha il ruolo di svegliare il Sole però, a differenza di Anna, almeno prepara il caffè e imburra anche un paio di fette di pane prima di mettersi alla macchina da scrivere, caro il mio Baumgarter in quelle che chiami “vecchie abitudini formate in tanti anni di vita in comune con Anna”. In comune? Ma, forse, sono io quello che, proprio perché mi piacerebbe, non sarei capace di mettermi in moto senza dirle “buongiorno” e darle un bacio. Poi, sicuramente, le “Acque del Mondo di Sarah Asciutta o Sarah in secca”, diventano un moltiplicatore emotivo della mancanza e del dolore di una perdita che non si è ancora metabolizzata o si rifiuta di metabolizzare.
Ora però, finita la lettura di quella pagina, toccava a me ed ero in difficoltà perché anche quando avevo buoni motivi per mandarla al diavolo non mi riusciva di farlo, figuriamoci adesso che stavamo seduti sotto quell’albero che anche se sui generis era pur sempre un albero di Natale.
“Allora?”, mi chiese.
“Direi intimamente vera e molto toccante la sua narrazione sulla difficoltà di abituarci ad una mancanza che essendo parte di noi equivale ad un’amputazione. In fondo e non è poco, il tuo Baumgarter con quel passaggio sul cercare Anna per farla ridere sul gioco di parole fra l’Acqua ed il Dry di Sarah, ha tirato una riga, quando si parla di dolore, fra le più gettonate cicatrici e l’amputazione, dove la prima devi toccarla per sentirla e, quindi, è più facile abituarsi mentre con la seconda è davvero complicato perché ci sono troppe cose che te la riportano in mente in modo anche del tutto involontario“, le dissi.
“Ad esempio?”, mi chiese.
“Non so… ecco, diciamo che se ti hanno amputato la mano destra, tu appena sveglio e quindi ancora rincoglionito di sonno, vai in bagno per pisciare e cerchi di tirar fuori l’uccello con la destra prima di renderti conto che quella non ce l’hai più… così come ancora rincoglionito di sonno cerchi la tua Anna perché se la farà sotto dal ridere…”, le risposi.
“Colpa mia”, disse scuotendo rassegnata il capo.
“Colpa tua cosa?”, le chiesi.
“Averti chiesto di farmi un esempio… Baumgarter non sarebbe mai ricorso al pisciare”
“Eddai, parlando delle “Acque del mondo”, ho provato di restare in tema.”
Lei scodinzolò di nuovo con la testa e disse: “Mi arrendo”.
Approfittai della sua resa e la baciai.
Mannaggia, quando la bellezza mi commuove resto senza parole – non che io ne abbia mai in abbondanza, questo va detto. Comunque, ho fatto bene a buttare lì, ancora una volta, quel “dai, racconta tu”. In realtà, i miei inviti nascondono il piacere sadico di metterlo alla prova e per onestà dovrò confessarglielo prima o poi. Sì. Ma perché privarlo, qualora non si prestasse più al gioco, di quel sottile compiacimento che lo investe ogni qual volta è chiamato a sublimare la sua abilità?
(lo sapevo, si è offeso…ora è capace di tenermi il muso per settimane e settimane)
(anche per mesi perché, oltre al suo lato ironico adoro anche quel suo insistere nello sbagliare a leggere alcune mie assenze. Un po’ mi diverte e un po’, egoisticamente, mi fa dire “ben venga” se questo serve a non allontanarla… e ti sorrido)
Bene, siamo contorti in due 🙂
Nessuna abilitò, il mio sottile compiacimento sei tu 🙂
p.s. abilitò non perché riferendola a me l’ho messa al maschile, ma solo perché ho tastato male. Quando anche i tasti, come sul divanetto verde, sono vicini vicini :))
e va bene, la mia matita blu resterà spuntata in eterno :))