Almeno erano le lettere di lei

“[…] L’amavo? L’amo? Era sposata da tanti anni con un altro. Adesso aveva il cancro. Sulle buste delle sue lettere c’erano francobolli con le farfalle da tredici centesimi. Nell’angolo in alto a sinistra c’era il suo indirizzo da ragazza. Se mai l’avesse cercata, non sarebbe andato nella casa dove viveva con il marito e i tre figli. Sarebbe tornato nella città dove le strade non erano più popolate da persone che conosceva, ma lunghe, deserte e ampie come i viali di Tamatave. In realtà non ricordava affatto la città di quando lei era ragazza. La memoria cala, sprofonda sotto il proprio peso negli stagni melmosi. Il nuovo virus che a quanto aveva letto trasforma in tre giorni una persona in poltiglia nera forse era solo il contraltare di quello che l’oblio fa all’anima molto lentamente. Perché lui poteva ricordare l’emozione che aveva provato quando le sue lettere si erano posate, una dopo l’altra, nella cassetta della posta, ma ormai poteva solo simulare, non ricapitolare, l’emozione flagrante e fragrante che gli aveva invaso i polmoni quando aveva aperto ogni busta tanti anni prima. Ormai le lettere avevano quasi la stessa età di loro due da ragazzi. Una volta si mise a rileggerle, ma alcune erano battute a macchina e altre scritte nella sua calligrafia intensa e scontrosa; aveva letto solo le parti scritte a macchina perché era stanco e gli dolevano gli occhi. Sta andando troppo per le lunghe, gli aveva scritto, e lui pensò: Mi sa che vale anche per la mia vita. Volevo essere educata ma non amichevole. Ora sono egoista e meschina, quasi mai gentile. La mia vita mi piace così com’è perché è appartata e quasi tutta mia. Poi aveva cancellato due o tre righe e continuato: Ora sono maleducata. Voglio solo allontanarmi a pensare. Gli parve di ricordare (non ne era certo) di aver passato un’ora o più a cercare di individuare la parte maleducata e adesso, se proprio avesse voluto farlo, gli sarebbe toccato chiamare la CIA. Non perché non gli interessasse; la sua mente e la sua anima erano andate all’estero così tante volte, intrappolandolo ogni volta in nuove esperienze da cui, lottando per liberarsene o immergersi di più, aveva sparso polvere e sepolto il suo passato. Tutti quegli strati gli fecero venire il dubbio che amarla ancora (o amarne il ricordo) potesse essere grottesco. Tutto lo affaticava. Pensare a lei gli dava piacere anche adesso, ma quelle lettere ammuffite erano come ganci per trascinarlo in basso. Chiuse gli occhi e vide la sua firma formarsi all’interno delle palpebre come una scritta nel cielo. Le parole che lei aveva messo sulla carta erano immutabili. Il tempo l’aveva separata sempre di più da ciò che era stata. Almeno erano le lettere di lei. Le sue sarebbero state peggiori. I riflessi dei ciuffi d’erba nell’acqua scura circostante inverdivano anche la terra sul fondo che sembrava fluttuare nel buio. Si sarebbe tuffato a cercare le donne che lo avevano amato. Avrebbe vissuto per saltare sulle isole di roccia rossa nella foresta. Un uccello batteva le ali al ritmo del suo cuore.

Una madre lesse al figlio: Gli irochesi aspettavano nella foresta.

Il cielo era un soffitto di cristallo azzurro sorretto da colonne di betulle bianche rivestite di rigogliose felci crepuscolari. Era l’ora in cui la luce esce dai laghi. […]”

William T. Vollmann

Almeno erano le lettere di leiultima modifica: 2023-10-19T14:20:56+02:00da hyponoia

4 pensieri riguardo “Almeno erano le lettere di lei”

  1. Non per fare un passo indietro, ma è sicuramente il dialogo la parte forte di Vollman. Riesce a dire assai di più con molti meno pixel. Detto ciò:

    “I riflessi dei ciuffi d’erba nell’acqua scura circostante inverdivano anche la terra sul fondo che sembrava fluttuare nel buio. Si sarebbe tuffato a cercare le donne che lo avevano amato.”

    Infatti, non per risparmiare pixel, ma per risparmiare fatica alla memoria, io mi sarei tuffato solo per cercare quelle che ho amato perché, quelle che ti hanno amato senza essere riamate, la memoria le sbiadisce col tempo. Funziona così la memoria, almeno la mia.

  2. Anche la mia memoria funzionava così. Ha tenuto a lungo un paio di nomi, poi da qualche tempo non mi restituisce più niente. Solo ricordi che riaffiorano casualmente e nessuna nostalgia per quel che è stato.
    Quanto a Vollmann, a me queste due pagine piacciono tantissimo, direi che, a differenza dei dialoghi che sono molto “maschi”, queste hanno un’impronta femminile.

    1. Se funzionava come la mia, funzionava bene :)))
      Non ho detto che non sono belle però, stilisticamente, preferisco quando lo scrittore mi tiene sveglio e reattivo. Aprire una parentesi, uno schiaffo, un bacio, una mano sul sedere.
      Su quei dialoghi, non sarei così sicuro che fossero “maschi” perché lei ha fatto la sua parte e non era da meno :))
      Queste pagine, invece, fermo restando che sono belle e scritte bene, più che un’impronta femminile direi asessuata.
      Un bacio.

  3. E adesso come te lo spiego? 🙂 vado terra terra perché i meccanismi della mente non sono facili da rendere. Io leggo ogni settimana due inserti dedicati ai libri, e in particolare su uno dei due mi diverto così: leggo il titolo dell’articolo ma non la firma. Comincio a “scansionare” e cerco di indovinare se è stato scritto da mano femminile o maschile. In genere c’azzecco, anche perché se la recensione mi colpisce particolarmente con ogni probabilità dietro c’è un uomo. Non me ne vorranno le donne e non me ne vorrai nemmeno tu se ti coinvolgo in certi contorsionismi da lettrice incallita. Però sia chiaro, ho capito perfettamente quello che intendevi, e direi che hai reso un servizio niente male a Vollmann con quell’aggettivo “asessuata”, ovvero l’hai elevato al di sopra del concetto di identità di genere. Letterariamente parlando. 🙂

Lascia un commento

Se possiedi già una registrazione clicca su entra, oppure lascia un commento come anonimo (Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog).
I campi obbligatori sono contrassegnati *.