The Bear (every second counts)

  • The Bear - Hulu Series - Where To Watch

Che peccato. Era partita così bene da mettere d’accordo pubblico e critica: serie imperdibile, dicevano. Poi è arrivata la terza stagione ed è parso subito evidente che la forza affabulatoria che aveva decretato la spettacolarità delle prime due si era dissolta. Non è bastato l’innesto di ulteriori flashback, né hanno fatto la differenza le canzoni usate pretestuosamente a riempire spazi che la trama scarna aveva lasciato vuoti di parole. Sono mancate le nevrosi di chef Carmy (in realtà ancora presenti ma sotto forma di digressioni inutili) e l’irascibilità di Richie, redento dallo stage a base di every second counts della seconda stagione. Ma, soprattutto, a mancare sono state scene come quella in cui un’impareggiabile Jamie Lee Curtis, nel ruolo della madre alcolista dei fratelli Berzatto, durante la cena di Natale perde il controllo e lascia affiorare il peggio di sé.

Ora, è noto a tutti che se un prodotto funziona va tenuto in vita, e che in assenza di spunti interessanti si opta per una ricetta svuotafrigo (fuor di metafora un escamotage interessante, meno se si ha la pretesa di intrattenere). Ma cosa dire degli spettatori che, nonostante subodorino fin dal primo episodio che niente è come prima, sono incapaci di scavallare l’asfittica prolissità di un racconto che non racconta più? C’entra forse quella forma di attaccamento morboso che ci tiene uniti all’altro/a pur consci che l’amore ha saldato il debito alla delusione? Va da sé che non sarà d’aiuto dare la stura alle lagnanze, specialmente se precedenti sessioni di binge watching ci avevano messo sull’avviso. Meglio, dovessero ripresentarsi le stesse premesse, risolversi per una sollevazione di tipo gandhiano. Sollevazione dalla poltrona, of course.

Fire the bastards

Dicono che d’estate si legge di più. Non è vero. Si comprano più libri, questo sì, ma solo perché resiste la tradizione di portarsi un best seller in vacanza: il piacere della lettura non c’entra una mazza, direbbe l’amico Arien. I libri più venduti sono i romanzi, i meno venduti i libri difficili, ovvio. Ma siamo proprio certi dell’esistenza dei libri difficili? non sarebbe più corretto dire che ogni lettore sceglie in base al sostrato culturale, e che se tale sostrato è poca cosa opta per un titolo che non lo affatichi? Ora, posto che ognuno fa come gli pare e che scegliere un libro facile non è di per sé un disvalore, resta il problema dell’approccio sbagliato, e imperdonabile, che certa critica ha con i libri difficili. Illuminante a tal proposito quanto scrive Vanni Santoni recensendo Le peripezie di William Gaddis:

“Decisivo nella rivalutazione della Peripezie fu il critico Jack Green, con un pezzo uscito sulla rivista autoprodotta «Newspaper» e intitolato Fire the bastards, ovvero «licenziate quei bastardi», in cui i bastardi in questione erano i critici che avevano ignorato il romanzo o ne avevano parlato male; e tanto veemente fu Green nella difesa dello status di capolavoro delle Peripezie da essere accusato di essere egli stesso William Gaddis”.

Ecco, in questo momento vorrei essere Jack Green e fustigare la giuria del Premio Strega 2024, perché è lampante che quei signori il libro di Tommaso Giartosio, benché non lo abbiano ignorato, lo hanno letto solo in parte. Forse i libri difficili esistono… per beffarsi dei critici incompetenti.

HEIMAT

Ellen von Unwerth: Bildband "Heimat" als Hommage an Bayern | STERN.de

Parlo poco e male. Forse perché pigra e sostanzialmente disinteressata a galleggiare sul chiacchiericcio. Osservare, invece, è la mia specialità. Subisco perfino l’attrazione delle cose inanimate: un muro scrostato o la polvere depositata dal tempo possono fare di me una filosofa. Si direbbe che esageri e si sarebbe nel giusto, a patto però di non sapere che sono i corti circuiti introspettivi a far scaturire visionarietà, poesia, sogno. Ovvio che se mi basta “un’inezia” per rendicontare l’invisibile, quando mi imbatto in qualcosa di manifestamente bello, congelo il flusso di coscienza e vinco facile: fanno tutto gli occhi! Come con queste foto di Ellen von Unwerth, che belle lo sono per davvero pur peccando di lesa maestà nei confronti del politicamente corretto – lampante il rimando allo stereotipo di donna caro all’immaginario boomer. Ma se per una volta ci liberassimo degli amplessi neuronali corretti, vedremmo Heidi, Hilda e Traudel per quello che sono: belle ragazze. Certo, diabolicamente belle. Ma non è mica obbligatorio cercare il diavolo nei dettagli, giusto?

P.S. E il latte che cola dalla bocca?

     Ah, quello… be’, ma lo sanno tutti che certi strascichi infantili ci accompagnano fin nella tomba.

Ellen von Unwerth: Bildband "Heimat" als Hommage an Bayern | STERN.de

Ellen von Unwerth's Heimat - For Sale on Artsy